Fra violenze e irregolarità, l'ultimo dittatore d'Europa vince ancora le elezioni nella Bielorussia lacerata dalla crisi economica e sanitaria. Tre donne hanno guidato la riscossa di un'opposizione finalmente unita
- Il voto di domenica in Bielorussia registra una (non) vittoria del presidente Aleksandr Lukashenko, che deve amministrare un paese profondamente lacerato dalla situazione economica, sanitaria e sociale.
- Tre donne si sono dimostrate capaci di riunire, in nome della solidarietà e dell’amore per il proprio paese, un’opposizione che, dagli anni Novanta, è sempre stata frammentata e poco coesa.
- L’Unione europea esprime disappunto sulla procedura elettorale e la Russia desidera una “crescita dei processi di integrazione” e dei “rapporti militari e politici”. Gli Stati Uniti non sembrano interessati alla Bielorussia in questo momento.
L’esito delle votazioni presidenziali in Bielorussia di ieri ha riconfermato alla guida del paese Aleksandr Lukashenko, ovvero “l’ultimo dittatore d’Europa”, come è stato definito dagli Stati Uniti. In uno scenario elettorale che, per la prima volta dal 1994, ha presentato significativi segnali di cambiamento politico e di destabilizzazione sociale ed economica, il presidente uscente è stato riconfermato con l’80,23 per cento dei voti. Il timore di essere tradito alle urne dal popolo che ha “cresciuto con le sue mani” è stato spazzato via da una serie di misure restrittive senza precedenti che hanno contraddistinto non solo la campagna elettorale, ma anche il giorno della votazione.
Nei diversi canali Telegram bielorussi sono stati forniti numeri e dettagli sull’azione repressiva della polizia: 1.300 arresti nei mesi scorsi e diverse centinaia durante la votazione, l’impiego dell’esercito e dei mezzi militari nelle piazze delle principali città e davanti ai seggi elettorali.
Per limitare ulteriormente l’azione dell’opposizione sono stati anche oscurati e bloccati alcuni siti web (come il portale Tut.by) e numerose sono le testimonianze di oppositori e attivisti anti Lukashenko costretti a fuggire all’estero o a nascondersi per non essere arrestati. D’altronde, come più volte ha espresso durante la campagna elettorale, Lukashenko non avrebbe mai consentito che delle “povere ragazze” potessero determinare un’alternativa alla sua gestione del potere.
Ma chi sono le protagoniste di questo risveglio della “società civile bielorussa”? Alla guida dell'opposizione c'è Svetlana Tichanovskaja, una casalinga di 37 anni, ex insegnante di lingua inglese che dopo l’arresto, avvenuto nel maggio scorso, del marito e famoso blogger Sergej Tichanovsky (autore del canale YouTube Strana dlja zhizni nel quale denuncia casi di corruzione e le ingerenze dei siloviki, gli agenti della sicurezza), ha deciso di sfidare il presidente.
Un’altra figura importante a fianco della Tichanovskaja è Veronika Tsepkalo, moglie di Valerj Tsepkalo, ex ambasciatore bielorusso negli Stati Uniti a cui non sono state riconosciute dalla commissione centrale elettorale ben 130mila su 220mila firme raccolte per la registrazione alla competizione.
Infine, Maria Kolesnikova, rappresentante del comitato elettorale di Viktor Babariko, che è stato presidente della banca Belgazprombank, legata al colosso energetico Gazprom. E’ perciò percepito come l’uomo del presidente russo Vladimir Putin nel tentativo di Mosca di estromettere Lukashenko dal potere. Babariko è riuscito a raccogliere 425mila firme, ma è stato arrestato il 18 giugno con l’accusa di evasione fiscale, eliminando dalla scena l’avversario elettoralmente più temuto da Lukashenko.
La Tichanovskaja - che, nel frattempo, ha trasferito i suoi figli di 4 e 10 anni in una località segreta in occidente - è riuscita a unire tutte le anime dell’opposizione, da sempre poco coesa, costituendo una novità nell’offerta politica di questo paese e puntando sulla solidarietà espressa nei confronti dell’arresto del marito, un atto che ha generato un’azione collettiva contro il presidente.
Tre donne che sfidano un uomo notoriamente misogino contro il quale è stato anche diffuso un video in cui 42 donne ribadiscono la difesa dei diritti civili e politici e di poter decidere della propria vita senza “dipendere” dalla volontà degli uomini; rivendicano il fatto di essere donne “libere”, “bielorusse”, di “amare” chi desiderano e di opporsi all’idea di Lukashenko di uno stereotipo di donna “incubatrice”, dedita alla famiglia, ma considerata “diversa” perché, ad esempio, supera i 165-170 centimetri di altezza.
In questo contesto così articolato e instabile, ancora prima della chiusura delle urne è stato proclamato vincitore Lukashenko. Durante il corso della serata si sono contrapposte due narrazioni: il grande consenso elettorale ottenuto da Lukashenko nei seggi, ma stimato al 3 per cento in alcuni sondaggi, e il risultato ufficiale che attesta la Tichanovskaja al 9.9 per cento, ma le stime parlano del 70-80 per cento, seguiti dall’1.68 per cento di Anna Kanopazkaja, l’1.04 per cento di Andrej Dmitriev e dall’1.13% di Sergej Cececen’.
Le conseguenze sono inevitabili e prevedibili. Migliaia di persone protestano, in gran parte pacificamente, nelle diverse piazze cittadine contro una “evidente frode naturale”. Il sito NextaLive diffonde continuamente immagini molto forti di pestaggi ad opera della polizia, di persone ferite, di spari e di sommosse che richiamano alla mente i reportage di Maidan a Kiev nel 2014. Il sito Meduza denuncia la morte di un cittadino, registra un centinaio di feriti ricoverati in diversi ospedali e la scomparsa di un suo corrispondente, Maksim Sopolov.
In assenza dell’ufficialità dei risultati da parte della commissione elettorale, la Cina e la Russia hanno già riconosciuto la vittoria di Lukashenko, sebbene i media russi abbiano dato ampia visibilità alla Tichanovskaja e abbiano usato parole piuttosto severe nei confronti di Lukashenko.
Durante la campagna elettorale i rapporti Mosca-Minsk sono stati molto tesi, con accuse di interferenza russa nelle elezioni e l’arresto di 33 cittadini russi ritenuti dal governo bielorusso dipendenti della compagnia militare privata Wagner. Tuttavia, la rielezione di Lukashenko impone alla Russia una strategia, volta a incentivare una maggiore collaborazione e integrazione euroasiatica della Bielorussia e a evitare un secondo caso ucraino.
Al contrario, gli Stati Uniti non sembrano particolarmente interessati, in questa fase, ad assumere un ruolo più significativo; non potrebbe essere altrimenti in vista dell’appuntamento elettorale americano di novembre. La posizione dell’Unione europea è espressa in un tweet della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: “Non c'è posto in Europa per chi bersaglia e reprime con violenza chi protesta pacificamente. I diritti fondamentali in Bielorussia devono essere rispettati. Chiedo alle autorità di assicurare che i voti dell'elezione di ieri siano contati e pubblicati accuratamente".
Le elezioni bielorusse sono sempre state criticate anche dagli osservatori elettorali dell’Osce-Odihr perché inadeguate rispetto agli standard democratici minimi, ma mai come in questo caso la mancanza di trasparenza è stata così evidente. Considerazioni simili sono state espresse dal portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, che ha evidenziato “irregolarità sistematiche” e l’uso della violenza contro manifestanti pacifici. Del medesimo avviso anche il primo ministro polacco, Mateusz Moraviecki, che chiede un summit europeo straordinario per evitare altra violenza.
Non c’è dubbio che queste elezioni bielorusse abbiano sancito la fine della legittimità elettorale del “babbo” (batka) Lukashenko che non gode più della fiducia del “suo popolo”. Proprio per questo motivo il presidente costituisce una minaccia concreta sia per il proprio paese sia per le implicazioni di natura geopolitica.
Le “proteste della ciabatta” attivate dal blogger Tichanovskj per schiacciare lo “scarafaggio baffuto” Lukashenko sono iniziate e difficilmente termineranno nel breve periodo. Come nel videogioco Stracraft 2 la blatta sputa acido sui nemici, così questo “vecchio dittatore” sta reprimendo legittime proteste con la violenza. È quanto mai indispensabile che le cittadine e i cittadini bielorussi non siano lasciati soli dalla comunità internazionale.
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