I due maggiori partiti americani, a sorpresa, hanno raggiunto un’intesa sul budget per l’anno 2024, anche se bisogna smussare diversi punti contesi. A uscire sconfitta è solo la destra trumpiana del Freedom Caucus. Nonostante l’ottimismo espresso dai leader del Congresso, basterebbe solo un post sui social dell’ex presidente a far saltare tutto
All’inizio del 2024 sembrava che la politica americana, al netto di una gara per le presidenziali che appare in larga parte già scritta, si avviasse nuovamente a ripetere un duello all’ultimo sangue per lo psicodramma politico dello shutdown dovuto a una rottura molto probabile del negoziato per determinare il budget che copra l’intero anno.
Democratici e repubblicani devono accontentare le rispettive basi elettorali, di norma militanti accesi. L’accordo però, a sorpresa, è arrivato subito dopo che il Congresso è tornato in sessione, con un’intesa di massima che ricorda molto quella ottenuta lo scorso anno a giugno dall’allora speaker della Camera Kevin McCarthy dopo intense trattative segrete con la Casa Bianca.
Di fatto i livelli di spesa non vengono tagliati ma nemmeno vengono adeguati all’inflazione. Come in ogni trattativa che si rispetti, però, i capi negoziatori devono presentare la lista della spesa finale, che stabilisce 1.600 miliardi di spesa primaria per l’anno in corso.
Gli ostacoli
Lo speaker Mike Johnson, in carica da novembre proprio perché un pugno di estremisti di destra ha deciso di sfiduciare McCarthy, ha detto che la spesa “non legata alla difesa” è ai livelli più bassi da decenni, a soli 704 miliardi di dollari.
Secondo la leadership dem, invece, guidata dal capogruppo al Senato Chuck Schumer, vengono salvati i servizi garantiti dai soldi pubblici, scongiurando i tagli “indiscriminati” che avrebbe voluto la destra repubblicana ipertrumpista del Freedom Caucus.
Del resto, lo speaker aveva detto, coi modi felpati che lo contraddistinguono, «forse qualcuno sarà scontento» del patto siglato nella giornata del 7 gennaio. Un accordo che peraltro va ripulito da eventuali “polpette avvelenate” che potrebbero farlo saltare, a cominciare da 69 miliardi che secondo i dem sarebbero stati previsti da un’intesa fatta a latere lo scorso giugno e che Johnson non avrebbe esplicitamente sconfessato.
Ad ogni modo questo è uno dei tanti ostacoli nel complesso processo di approvazione di questo budget, che si dovrà realizzare, secondo le rigide regole del Congresso che molte volte sono state aggirate, attraverso il voto su dodici disegni di legge separati.
Un percorso a ostacoli che potrebbe far presto saltare la pretesa unità del fronte del gruppo repubblicano, che di fatto si è già spezzato: il deputato del Texas Chip Roy, forse il più autorevole membro del Freedom Caucus, ha sinteticamente stroncato l’accordo definendolo come «una lista della spesa fatta con soldi che non si hanno».
Nel mondo prima della polarizzazione trumpiana, i voti ci sarebbero in abbondanza per una rapida approvazione dell’intero pacchetto, ma qualora Johnson andasse avanti insieme alla quasi totalità del gruppo dem (non si registrano dissensi significativi nemmeno dalle parti della Squad di Alexandria Ocasio-Cortez) difficilmente rimarrà fuori dal mirino del vero leader del partito repubblicano, quel Donald Trump che ha tutto l’interesse di far saltare il tavolo anche per non far salire il livello di approvazione di un presidente come Joe Biden che forse potrebbe aver toccato il fondo della sua impopolarità, con i salari che hanno cominciato a salire più dell’inflazione nell’anno elettorale.
Vittoria a metà
Del resto, di vittoria autentica da sbandierare per il partito repubblicano che chiede da mesi di ripristinare le politiche migratorie dell’epoca di Trump per “mettere al sicuro” il confine con il Messico, c’è solo il taglio di dieci miliardi all’Irs, l’agenzia delle entrate americana. Un po’ poco.
Dopo l’approvazione di questo gran numero di provvedimenti, poi, il Congresso dovrebbe misurarsi sui 106 miliardi che il presidente vorrebbe dedicare agli aiuti militari da destinare a Ucraina, Israele e Taiwan, un altro tasto dolente per i conservatori, spaccati tra gli internazionalisti guidati dal leader al Senato Mitch McConnell e dagli isolazionisti guidati dall’ex presidente Trump.
Anche se un accordo di massima adesso c’è, ora comincia un lungo percorso a ostacoli di approvazione che può deragliare in qualsiasi momento grazie a un post sui social del tycoon. E allora bisognerebbe ricominciare tutto da capo, e questa volta non ci sarebbe nulla di scontato.
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