- La crisi nasce da contese non risolte dalla fine della guerra del Congo nel 2002.
- Persiste l’ostilità sia tra Congo e Ruanda ma anche tra quest’ultima e l’Uganda.
- Tutto gira attorno allo sfruttamento delle risorse minerarie di cui il paese è ricco.
La tensione si acuisce di nuovo tra la Repubblica democratica del Congo e il Ruanda. Kinshasa accusa Kigali di sostenere il Movimento del 23 marzo (M23), una vecchia ribellione dell’est del Congo.
Secondo le Nazioni unite 75mila persone sono sfollate durante i combattimenti tra l’esercito congolese e l’M23 nella provincia del Nord Kivu e altre 11mila si sono rifugiate in Uganda.
Una nuova ondata di ostilità anti ruandese è ricomparsa nella Rdc dopo anni di miglioramento nelle relazioni. Ma il quadro è complesso: vi sono circa 120 gruppi armati attivi nella parte orientale del paese, la stessa dove perse la vita in un agguato il nostro ambasciatore Luca Attanasio.
Radici coloniali
Le dispute tra i due paesi frontalieri risalgono al periodo coloniale, quando il Belgio aumentò gli insediamenti di agricoltori ruandesi nella parte orientale dell'attuale territorio della Rdc.
Le crisi regionali dopo l’indipendenza hanno rafforzato il mescolarsi delle popolazioni, un mix che è esploso quando gli hutu ruandesi in fuga hanno trovato rifugio in questa regione nel 1994, dopo che il regime di Kigali aveva commesso genocidio e perso la guerra contro il Fronte popolare di Paul Kagame.
Quest’ultimo ha poi partecipato al rovesciamento del dispotismo di Mobutu, andando a conquistare Kinshasa assieme ai suoi alleati congolesi. Da quel momento la guerra ha continuato a travagliare la Rdc per anni, divenendo un conflitto africano con il coinvolgimento di numerosi paesi limitrofi, alcuni dei quali in seguito accusati di aver saccheggiato le risorse naturali della Rdc.
Tutto ciò ha contribuito alla sedimentazione dell’odio per gli stranieri nella popolazione congolese, facilmente manipolabile da politici senza scrupoli. L’atmosfera in Congo è divenuta molto tesa anche perché la guerra del 1997-2002 ha lasciato cattivi ricordi nell’opinione pubblica.
Fino a poco tempo fa i rispettivi presidenti, Félix Tshisekedi e Paul Kagame, avevano avuto rapporti cordiali anche se la fiducia non era mai del tutto stata restaurata.
Secondo l’analista di cose africane Pascal Airault, le relazioni si sono deteriorate dallo scorso novembre quando Tshisekedi ha autorizzato 4mila soldati ugandesi ad entrare nel proprio territorio per dare la caccia all’Alleanza Democratica (Adf), un gruppo armato jihadista di origine ugandese e ostile anche al governo di Kampala che aveva da tempo iniziato ad attaccare obiettivi congolesi installandosi con alcune suoi gruppi nel nord Kivu e in Ituri.
Con la presenza dell’esercito ugandese in suo appoggio, la Rdc voleva garantirsi anche la costruzione di nuove strade per collegare l’Uganda alle città di Beni e Goma, passando lungo il confine con il Ruanda.
La presenza ugandese
È in quel frangente che è riapparso l’M23 di cui si erano perse le tracce da qualche anno. La diatriba affonda le radici nella rivalità economica tra le potenze regionali risalente alla guerra del Congo degli anni Novanta.
Il Ruanda non ha visto di buon occhio la presenza ugandese, che potrebbe permettere a Kampala di recuperare parte della produzione di minerali come il coltan, lo stagno e l’oro, esportati anche dal Ruanda.
L’ultimo soldato ruandese aveva lasciato ufficialmente la Rdc nel 2003 dopo gli accordi di pace. Tuttavia Kigali aveva continuato a sostenere alcuni gruppi armati come il Cndp (congresso nazionale per la difesa del popolo) del ribelle tutsi Laurent Nkunda e, dopo la sua caduta, lo stesso M23.
L’obiettivo di Kigali era di individuare e sconfiggere gli ultimi “genocidari” hutu ancora presenti in Congo, nascosti nelle colline del Kivu. È dalla fine della guerra che Kigali rimprovera regolarmente a Kinshasa di non fare nulla per reprimerli e portarli davanti alla giustizia ruandese.
In una fase precedente della crisi l’M23 era riuscito a conquistare Goma, la capitale provinciale del Kivu, nel novembre 2012, prima di essere sconfitto dalle forze regolari congolesi (Fardc) e dalle forze di peacekeeping dell’ONU.
Il resto dei suoi combattenti era fuggito in Ruanda e in Uganda, dove erano stati disarmati e accolti. L’accordo era che dovevano essere incorporati nelle Fardc.
Tuttavia Kinshasa non ha voluto saperne, pretendendo anzi la loro resa incondizionata nonostante le molteplici promesse di reinserimento e reintegrazione.
Stanco per tali impegni non mantenuti, l’M23 si è rimesso ad arruolare. Secondo l’intelligence militare congolese, a febbraio contava già 250 ribelli guidati dal colonnello Sultani Makenga.
La memoria del genocidio
Composto da gruppi di fuoco estremamente mobili e provvisti di armi leggere, l’M23 è in grado di operare lungo il confine contro un esercito congolese disorganizzato e tradizionalmente minato da nepotismo e corruzione.
I ribelli hanno stabilito il loro quartier generale sul monte Sabyinyo di difficile accesso, e ora hanno occupato la città frontaliera di Bunagana.
Nella contesa l’elemento psicologico prevalente è quello della memoria del genocidio del 1994 del quale le due parti hanno da sempre una diversa narrazione.
Il Ruanda sta usando l’M23 come cuscinetto al suo confine ma né Kigali né Kinshasa hanno interesse ad aggravare la situazione. Da un lato ad un anno e mezzo dalle elezioni presidenziali Félix Tshisekedi non può impegnare il paese in una guerra.
Dall’altro Kagame non vuole tornare ad essere considerato la causa delle difficoltà della Rdc. Per questo entrambi stanno cercando dei mediatori per cercare di abbassare il livello della tensione.
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