Mentre lo stato è scosso da una tempesta polare, gli evangelici sostengono con grande entusiasmo l’ex presidente, preferendolo a DeSantis e Haley, visti troppo come scelte fredde e “razionali”. Il tycoon viene visto come uno strumento del disegno divino, come mostrano i video trasmessi sui social della sua campagna elettorale
A conti fatti nei caucus repubblicani dell’Iowa, dove si preannuncia una vittoria netta dell’ex presidente Donald Trump, l’unica variabile è quella climatica.
Da giorni, infatti lo stato rurale dove inizia la corsa delle primarie è percorso da un ciclone di aria gelida proveniente dall’Artico che ha portato le temperature a sfiorare i venti gradi sottozero. Bisogna dunque essere molto motivati per andare a votare in queste assemblee di partito che possono finire molto tardi e dove per giunta bisogna esprimere il proprio voto in maniera palese, davanti a tutti.
Con il concreto rischio di tornare a casa in auto a causa delle condizioni meteo proibitive. Quindi, sondaggi o no, è proprio l’entusiasmo il fattore determinante a spingere i militanti repubblicani a farsi vedere.
Secondo l’ultimo sondaggio svolto prima delle consultazioni, curato congiuntamente dal network televisivo Nbc News, il giornale locale Des Moines Register, autorevole quotidiano della capitale dello stato, e dalla società Mediacom, quelli che sono più convinti della loro scelta sono proprio i sostenitori del tycoon: il 49 per cento di chi ha deciso di votare Trump si dichiara «estremamente entusiasta».
E anche l’82 per cento dei suoi sostenitori dichiara che non cambierà idea. Appare molto largo il gap con i suoi avversari: da un lato il governatore della Florida Ron DeSantis può contare su un 23 per cento di convinti, mentre l’ex ambasciatrice presso le Nazioni Unite Nikki Haley registra solo un 9 per cento di forti sostenitori.
La ragione è presto detta: Haley è vista come una scelta “razionale” contrapposta all’imprevedibilità dell’ex inquilino della Casa Bianca e dal rischio che pongono i numerosi procedimenti giudiziari a suo carico. Poco però, per sfidare il gelo.
La destra religiosa
Non deve dunque stupire però che Trump sia sostenuto e amato soprattutto dagli evangelici, il segmento elettorale di quello che per decenni è stata la colonna portante del conservatorismo di matrice reaganiana e bushiana.
Per anni si sono lette critiche su come alcuni leader, compreso il presidente del gruppo The Family Leader Robert Vander Plaats, fossero diventati scettici del trumpismo, visto come una perversione dei valori cristiani e che quindi sarebbe stato preferibile che il partito repubblicano scegliesse qualcun altro.
Vander Plaats lo ha fatto: lo scorso novembre ha annunciato il suo endorsement a Ron DeSantis. I fedeli che risiedono però non sono con lui in questo, anzi: secondo il teologo Adam Kotsko, gli evangelici vedrebbero Trump non come un leader ipocrita che va raramente in chiesa e ha una conoscenza a dir poco sommaria del testo biblico, ma come la prova che Dio agisce anche usando strumenti imperfetti.
In un vecchio articolo del novembre 2018 intitolato “The Political Theology of Trump”, Kotsko si spingeva oltre, dicendo che per molti l’allora presidente rappresentava qualcosa di più.
Se nel 2016 il tycoon si sforzava di conformarsi all’uso politico di citare alcuni versetti con risultati esilaranti (è noto l’episodio in cui citò “i due Corinzi” di San Paolo”) oggi non ne ha più bisogno. Questi elettori sono già con lui. Anche per questo la sua campagna ha diffuso dei video dal titolo adamantino: «Dio ha fatto Trump”, dove si dice che il Creatore l’abbia scelto come suo “facente funzione” sulla Terra per guidare l’umanità verso “il Paradiso prescelto” e che per farlo Trump sarà disposto anche ad andare “in un nido di vipere».
Il disprezzo del tycoon per la vecchia leadership evangelica è stato forse esemplificato dalla scelta di una delle figure più visibili della campagna elettorale dell’ex presidente, l’ex candidata governatrice dell’Arizona Kari Lake, anche lei non nota per la sua grande Fede, di ascoltare il servizio domenicale nella chiesa frequentata da Vander Plaats a Soteria, un sobborgo nel Sud-Ovest di Des Moines. Apparentemente solo per ragioni religiose, anche se agli osservatori è apparsa come una prova di forza del cerchio magico trumpiano.
Apocalisse e voto
Un declino che già è stato osservato e descritto anche dal giornalista Tim Alberta che nel suo saggio The Kingdom, The Power and The Glory ha descritto la perdita d’influenza di quello che era stato un movimento religioso potente, corteggiato anche da leader democratici come l’ex presidente Jimmy Carter, che si definiva «cristiano rinato» come molti di loro.
La ragione di questo declino, secondo Alberta, è anche nell’eccessivo coinvolgimento politico di alcuni leader che spesso hanno confuso il messaggio cristiano con un neonazionalismo dove l’America, descritta come «la città splendente sulla Collina» diventa tutto ciò per cui bisogna combattere.
Sposando quindi anche una linea dura nei confronti dell’immigrazione dal confine messicano. Da questa parabola, dunque, si può anche comprendere come mai due aspiranti presidenti come l’ex vicepresidente Mike Pence e il senatore del South Carolina Tim Scott, molto abili nel citare passi precisi dell’Antico Testamento, siano anche stati tra i primi a gettare la spugna.
A poco vale dunque che DeSantis abbia conosciuto quasi ogni comunità dello Stato e che lo stesso Vander Plaats abbia scritto un pensoso editoriale sulle pagine del Des Moines Register per esprimere perplessità sulle possibilità che Trump riesca nuovamente a tornare alla Casa Bianca a causa di chi lo odia. Questo non conta. Quello che veramente pesa è la voglia dei sostenitori del tycoon di esprimere apertamente il loro sostegno.
Anche perché sanno benissimo che comunque la quasi totalità di chi sostiene oggi DeSantis o Haley opterà per Trump il prossimo novembre, nonostante tutto.
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