Niente conflitto diretto, niente regime change, niente ruolo attivo nei negoziati per conto di Kiev. Nel tentativo di rassicurare gli americani sul fatto che non sarà una “forever war” finanziata da Washington, il presidente finisce per abbracciare la prospettiva inevitabile della guerra lunga
- La scelta del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di scrivere un articolo sul New York Times per chiarire gli obiettivi strategici degli Stati Uniti in Ucraina segnala che quegli obiettivi evidentemente tanto chiari non erano.
- L’obiettivo, ha scritto Biden, è lineare: «Vogliamo vedere un’Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera, con i mezzi per difendersi e scoraggiare un’ulteriore aggressione»
- Ci poi tre cose che gli Stati Uniti non intendono fare: intervenire direttamente nella guerra, provocare un cambio di regime a Mosca e condurre o interferire nei negoziati diplomatici. Ma sono in contrasto con quello che la Casa Bianca ha detto in varie occasioni.
La scelta del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di scrivere un articolo sul New York Times per chiarire gli obiettivi strategici degli Stati Uniti in Ucraina segnala che quegli obiettivi evidentemente tanto chiari non erano.
Almeno per i contribuenti americani che dal 24 febbraio hanno finanziato l’alleato aggredito dalla Russia con circa 54 miliardi di dollari.
Biden ha descritto ciò che gli Stati Uniti vogliono ottenere, ciò che non sono disposti a fare e perché tutto questo rientra nell’«interesse vitale» della prima potenza mondiale.
L’obiettivo, ha scritto Biden, è lineare: «Vogliamo vedere un’Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera, con i mezzi per difendersi e scoraggiare un’ulteriore aggressione». Questa è la ragione che giustifica l’invio di armi ma anche le ingenti spese umanitarie e i finanziamenti per mantenere in funzione il governo di Kiev.
Ci sono poi tre cose che gli Stati Uniti non intendono fare: intervenire direttamente nella guerra, provocare un cambio di regime a Mosca e condurre o interferire nei negoziati diplomatici, che sono l’unica via per chiudere il conflitto e sono appannaggio esclusivo dell’Ucraina.
«Per quanto io sia in disaccordo con Putin, e consideri le sue azioni oltraggiose, gli Stati Uniti non cercheranno di ottenere la sua cacciata», ha scritto Biden, specificando che «non vogliamo prolungare la guerra soltanto per infliggere dolore alla Russia».
Le contraddizioni
Anche ammesso che questo obiettivo si concili con le sanzioni, che per definizione servono a indebolire l’avversario, il chiarimento di Biden è in contrasto con quello che la Casa Bianca ha detto diverse volte, dal famoso «per Dio, quest’uomo non può rimanere al potere» pronunciato a Varsavia, fino alla dichiarazione con cui alla fine di aprile il segretario della Difesa, Lloyd Austin, ha perimetrato lo scopo dell’azione americana: «Vogliamo vedere la Russia indebolita a tal punto da non poter più fare quello che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina».
Difficile dire come i due obiettivi possano convivere. Anche perché Vladimir Putin non ha manifestato la minima intenzione fermare i bombardamenti né di voler cedere il potere, quindi esiste uno scenario in cui la fine di una guerra lunga combattuta dall’Ucraina e sostenuta da Stati Uniti e occidente coincide con il regime change a Mosca.
Se lo scopo è «sostenere lo sforzo dell’Ucraina per arrivare a una fine negoziata del conflitto» ma l’aggressore non intende negoziare, fino a che punto Biden sarà disposto a prolungare ed estendere il coinvolgimento americano?
Il principio razionale sottinteso è che la vittoria militare dell’Ucraina indurrà Putin a cambiare i suoi calcoli. Non ci sarà bisogno di un cambio di regime perché il regime si arrenderà prima di capitolare. Ma se è vero che il presidente russo finora di calcoli ne ha sbagliati parecchi, è vero anche che le previsioni delle azioni formulate in occidente sulla base della presunta razionalità dell’autocrate del Cremlino sono state spesso sballate.
Non negoziare
L’altra cosa che Biden non farà è interferire con i negoziati dell’Ucraina. «Il mio principio durante questa crisi è sempre stato “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”», ha scritto Biden, per spiegare che non farà «pressioni sul governo ucraino, i privato o pubblicamente, perché faccia concessioni territoriali. Sarebbe sbagliato e contrario a principi consolidati».
Che fissare le condizioni per la fine della guerra spetti solo al paese aggredito Biden lo ha sempre detto, ma non è la posizione con cui gli Stati Uniti hanno condotto la propria politica estera nel passato recente, quando sono stati negoziatori e garanti dei tentativi di risolvere i conflitti di mezzo mondo
Con l’ingresso nel quarto mese di guerra, il crescente aiuto americano ed europeo, l’allargamento della Nato a nuovi partner e la proiezione globale del conflitto, si rafforzano gli argomenti di chi ritiene che gli Stati Uniti siano legittimati, e perfino tenuti, a guidare un processo negoziale.
«Penso che le maggiori potenze debbano essere coinvolte», ha detto ad esempio John Quigley, giurista che ha guidato le trattative per lo status del Donbass e della Crimea alla fine della Guerra fredda.
Biden ha spiegato all’opinione pubblica americana che invece vuole starne fuori. Fuori dai piani di regime change, fuori da un catastrofico confronto diretto con la Russia, ma fuori anche da trattative diplomatiche che per il momento vivono soltanto in vaghe dichiarazioni di principio, rigorosamente subordinate all’andamento della conflitto.
È un modo elaborato e rassicurante per dire che la Casa Bianca in questo momento non ha piani alternativi – almeno dichiarati pubblicamente – e quindi non ha obiezioni alla prospettiva della guerra lunga.
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