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Occupate nell’agosto del 1945 dalle truppe sovietiche e note come territori del Nord (hoppō ryōdo) in Giappone, le Curili meridionali sono al centro della guerra mai terminata – ma solo congelata nel 1956 – tra Mosca e Tokyo e comprendono le isole di Habomai, Kunashir, Shikotan e Iturup.
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Crollata l’Unione sovietica, sia Boris El'cin sia il suo successore Vladimir Putin hanno promesso a vario grado di risolvere la questione delle Curili, senza mai giungere alla firma di un accordo definitivo ed effettivo.
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Tra gli effetti della guerra in Ucraina sull’Asia-Pacifico c’è quello di aver riaperto conti lasciati in sospeso dalla fine della Seconda guerra mondiale. Chiuderli sarà complesso.
«Territorio inalienabile del Giappone». È con quest’espressione che lo scorso marzo, il capo del governo di Tokyo, Kishida Fumio, si è riferito alle isole Curili meridionali, un gruppo di isole nel mar di Ochotsk, situate tra la penisola della Kamchatka, circondario federale dell’estremo oriente russo, e l’isola di Hokkaido, prefettura più settentrionale dell’arcipelago giapponese.
Occupate nell’agosto del 1945 dalle truppe sovietiche e note come territori del Nord (hoppō ryōdo) in Giappone, le Curili meridionali sono al centro della guerra mai terminata – ma solo congelata nel 1956 – tra Mosca e Tokyo e comprendono le isole di Habomai, Kunashir, Shikotan e Iturup.
Rottura diplomatica
L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo la decisione dal Consiglio di sicurezza nazionale di Tokyo, un ente creato nel 2014 per rafforzare la struttura decisionale dell’esecutivo in materia di difesa e diplomazia, di fornire materiali, come giubbotti antiproiettili e guanti, in dotazione alle Forze di autodifesa – le forze armate de facto del paese arcipelago – all’esercito ucraino impegnato nella difesa dall’aggressione russa.
Da marzo a oggi, Tokyo ha approvato una serie di sanzioni economiche contro centinaia di individui e banche russe e imposto uno stop al trasferimento di beni tecnologici a enti russi anche nel settore della ricerca scientifica. Sta inoltre valutando l’adozione di un embargo sulle importazioni di petrolio russo. Ma soprattutto, ha rotto con il suo recente passato di accondiscendenza con Mosca.
Oltre a condividere migliaia di chilometri di confine con l’Unione europea, la Federazione russa amministra infatti un’enorme regione asiatica la cui superficie è di circa sette milioni di km quadrati – per intenderci, più del doppio dell’India e oltre venti volte l’Italia – le cui propaggini lambiscono le coste giapponesi. I due paesi sono separati, nel loro punto più vicino, da un tratto di mare di appena 3,7 km che va da capo Nosappu in Hokkaido alla costa di Habomai.
A stretto giro dalle parole di Kishida e dalle sanzioni giapponesi, quindi, è arrivata anche la risposta di Mosca, che a fine marzo ha annunciato il proprio ritiro dalle negoziazioni su un trattato di pace in piedi dalla metà degli anni Cinquanta. Questo porrebbe formalmente fine alla Seconda guerra mondiale e al trasferimento di sovranità di due (Habomai e Shikotan) delle quattro isole contese dalla Russia al Giappone.
Anche in virtù di questi negoziati, definitivamente archiviati dall’attuale conflitto russo-ucraino, le isole Curili meridionali erano state definite a livello ufficiale territori “su cui il Giappone detiene sovranità” (shuken o yūsuru), una perifrasi che lasciava ampi margini di interpretazione.
“Territorio inalienabile” (koyū no ryōdo) invece ha tutt’altra efficacia comunicativa. La dichiarazione di Kishida oltre a essere importante per i futuri assetti strategici dell’area dell’Asia-Pacifico, evidenzia la rottura con una linea diplomatica accondiscendente nei confronti di Mosca tracciata dall’ex primo ministro Abe Shinzō, uomo forte del partito di maggioranza e governo in Giappone (il partito liberaldemocratico), tra il 2012 e il 2020.
Allerta crescente
Gli effetti sono stati immediati in particolare per quanto riguarda l’allerta nelle acque territoriali. Ai primi di marzo di quest’anno, il ministero della Difesa giapponese aveva comunicato via Twitter di aver innalzato il livello di allerta delle Forze di autodifesa giapponesi in seguito a «dimostrazioni di forza» da parte della Russia nel mare di Ochotsk, poco lontano dalle isole contese con Tokyo, e aveva espresso «preoccupazione» (kenen) per un rinnovato attivismo militare russo nello spazio aereo e marittimo condiviso.
Tra marzo e aprile scorsi, la timeline del profilo Twitter del ministero ha dato conto del passaggio di alcune navi militari, tra cui un cacciatorpediniere, un sottomarino e navi per il trasporto di mezzi e truppe, della marina russa e da trasporto di armatori privati negli stretti di La Pérouse o Sōya (mar di Ochotsk), Tsushima (mar del Giappone) e Tsugaru (mar del Giappone settentrionale-Pacifico).
Inoltre, l’agenzia del governo per la questione dei Territori del Nord (Hokutaikyō), creata nel 2002 per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere i movimenti della società civile a favore del trasferimento di sovranità, ha rafforzato i propri sforzi comunicativi fino a pubblicare a fine aprile un anime sul tema. Intitolato Etopirika (dal nome giapponese del pulcinella, un uccello marino molto comune nel Pacifico settentrionale), il cortometraggio animato raffigura uno scenario utopico di sviluppo armonioso con la natura dei coloni giapponesi giunti sull’isola a partire dal 1875, mettendo in luce le violenze degli occupanti sulla popolazione locale a seguito dell’occupazione sovietica nel 1945. In particolare, il lavoro si sofferma sul trauma del rimpatrio forzato di 17mila giapponesi ordinato nell’agosto del 1947 dalle autorità sovietiche.
Tentativi di risoluzione
Nella dichiarazione congiunta con l’Urss del 1956 firmata, tra gli altri, da Nikita Chruščëv, allora membro del Presidio del soviet supremo, e dall’allora primo ministro giapponese Hatoyama Ichirō, i due paesi si impegnavano ad avviare rapporti di “buon vicinato”, a ristabilire relazioni diplomatiche formali, a rinunciare allo strumento della minaccia risolvendo eventuali divergenze con mezzi diplomatici, a rinunciare alle rivendicazioni territoriali precedenti al 1945 e a rispettare la rispettiva sovranità economica, politica e ideologica senza però rinunciare al diritto all’autodifesa individuale e collettiva. Essi si impegnavano inoltre a collaborare per una gestione delle aree di pesca e delle risorse marittime del Pacifico sostenibile e basata su regole condivise. Infine, si stabiliva che fossero avviati i negoziati per trattati economici e per un trattato di pace che avrebbe portato alla restituzione delle isole di Habomai e Shikotan al Giappone.
Crollata l’Unione sovietica, sia Boris El'cin sia il suo successore Vladimir Putin hanno promesso a vario grado di risolvere la questione delle Curili, senza mai giungere alla firma di un accordo definitivo ed effettivo. Nel 1998 El’cin, incontrando il capo del governo di Tokyo di allora, Obuchi Keizō, promise addirittura una risoluzione della disputa entro il 2000. Fu solo sedici anni più tardi, dopo una visita di Putin in Giappone, che le prospettive di una risoluzione sono sembrate farsi più concrete.
In quell’occasione, il presidente russo raggiunse con il primo ministro Abe l’accordo su un piano di cooperazione economica in “otto punti” – oggi sospeso in virtù delle sanzioni giapponesi – che comprendeva sanità e cura degli anziani, urbanizzazione sostenibile, energia, sostegno alle piccole e medie imprese nel commercio bilaterale e promozione dell’industrializzazione dell’estremo oriente russo. Il risultato più concreto però è stata la concessione di visti turistici speciali, a partire dall’anno successivo, per permettere agli ex residenti giapponesi di visitare le isole o sorvolare a bordo di velivoli leggeri i cimiteri dove sono sepolti i loro cari.
Mancanza di consenso
Oggi le isole contano una popolazione di circa 20mila abitanti di nazionalità russa, la cui stragrande maggioranza (il 96 per cento circa, secondo un sondaggio russo) sarebbe opposta al passaggio sotto l’amministrazione di Tokyo. Per quest’area remota della Federazione russa, fino alla metà degli anni 2000 un’appendice irraggiungibile e sottosviluppata del grande stato eurasiatico, dove metà della popolazione viveva sotto la soglia di povertà ed era costretta a cercare lavoro sul continente o all’estero, l’attaccamento alla Russia è cosa recente. È infatti frutto dei programmi di sviluppo economico e infrastrutturale da oltre 400 milioni di euro avviati a partire dal 2006 da Mosca. Anche se l’economia delle Curili è per lo più stagionale e in parte informale (pesca di frodo), la situazione appare migliore rispetto a vent’anni fa e la prospettiva di un trasferimento di sovranità al Giappone non sembra attirare molti. Oltre a una supposta contrarietà della popolazione, la stessa costituzione russa emendata nel luglio 2020 proibisce la cessione di territori a «potenze straniere».
L’impegno di Mosca per le isole è stato ribadito ancora a luglio 2021, a olimpiadi di Tokyo in corso, da una visita del primo ministro Michail Mišustin che ha irritato la diplomazia di Tokyo. Sullo sfondo, c’era il piano di Putin di fare delle Curili una zona economica speciale, aperta agli investimenti stranieri, anche giapponesi.
Tra gli effetti della guerra in Ucraina sull’Asia-Pacifico c’è quello di aver riaperto conti lasciati in sospeso dalla fine della Seconda guerra mondiale. Chiuderli sarà complesso, perché come dimostra la questione delle Curili, ancora una volta, certe guerre non finiscono. Nemmeno dopo 77 anni.
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