- All’indomani della manifestazione violenta dei militanti di Hezbollah ed Amal, fronteggiata con forza letale da militanti appartenenti alla minoranza cristiana, sale a 7 morti e 32 feriti la conta delle vittime a Beirut.
- Dopo oltre due anni di crisi economica acuta, con la lira locale quasi del tutto svuotata del suo valore, a settembre il Libano si era finalmente dotato di un nuovo governo.
- Il nuovo esecutivo aveva dato un momentaneo sollievo alla moneta, nel contesto di una spirale di svalutazione, un effetto che può venire annullato dagli scontri setta
«Sono appena rientrato dal quartiere di Ain El Remmaneh, la zona cristiana dove si sono verificati gli scontri di giovedì», racconta Heiko Wimmen, analista tedesco distanza a Beirut per il think-tank International Crisis Group (ICG), «Ho sentito degli spari ma credo fossero in aria. La tensione rimane alle stelle e, come al solito in questi casi, si scontrano narrative diverse su quanto avvenuto».
All’indomani della manifestazione violenta dei militanti di Hezbollah ed Amal, formazioni che fanno riferimento alla compagine sciita del Libano, fronteggiata con forza letale da militanti appartenenti alla minoranza cristiana, sale a 7 morti e 32 feriti la conta delle vittime a Beirut.
Lo dicono fonti della Croce Rossa libanese sentite dal quotidiano locale Orient-Le Jour, specificando che diversi feriti sono in condizioni gravi. Dei morti cinque sarebbero militanti sciiti, mentre due sarebbero civili vittime del fuoco incrociato.
Ma la cosa forse più grave è che la tragedia del 4 Agosto 2020 al porto di Beirut, che fece oltre 200 morti e danni incalcolabili a causa di 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate nel modo sbagliato, sta diventando motivo di divisione settaria piuttosto che fattore unificante per la popolazione.
In un Libano segnato da un passato di guerra civile, che fra il 1975 e il 1991 ha coinvolto alleanze variabili ma legate alla popolazione cristiana da una parte e musulmana dall’altra, e da un presente di gravissima crisi economica e sociale.
Il problema Bitar
La manifestazione di Amal e di Hezbollah era stata convocata per chiedere le dimissioni di Tarek Bitar, il giudice libanese responsabile dell’inchiesta che dovrebbe chiarire le dinamiche dell’esplosione del porto, e attribuirne le colpe.
Un incarico delicato, da cui era già stato rimosso per motivi politici il predecessore Fadi Sawwan. E divenuto incandescente quando Bitar ha dimostrato di prenderlo molto sul serio, trasformandosi una figura quasi mitologica per i giovani progressisti disillusi dalla classe politica.
I suoi interrogatori con esponenti politici vicino a Nabih Berri, il presidente del parlamento leader di Amal e dunque vicino ad Hezbollah, hanno messo sul piede di guerra il potente gruppo armato finanziato da Tehran, che ha iniziato una campagna durissima per le sue dimissioni.
«E’ impossibile sapere che cosa abbia scoperto il giudice Bitar, se abbia davvero in mano qualcosa che scotta», spiega sempre Wimmen. «Personalmente non ho visto prove definitive che dimostrino un legame fra l’ammonio ed Hezbollah, ma soltanto indicazioni che sembrano andare in questa direzione. Si sa che in parte veniva utilizzato in Siria, che in parte era stato rubato, ma orientarsi in un contesto in cui qualsiasi dichiarazione ha chiari connotati politici è molto complicato».
Lo stesso vale per la manifestazione di giovedì, degenerata in un bagno di sangue. Fonti cristiane a Beirut sentite da Domani insistono sulla natura bellicosa della manifestazione sciita che, malgrado fosse ufficialmente diretta verso il Palazzo di Giustizia, è penetrata nel quartiere cristiano di Ain El Remmaneh.
«Se arrivano sparando in giro e danneggiando automobili nel nostro quartiere, devono sapere che anche noi abbiamo le armi, e che non abbiamo paura di usarle», dice una signora cristiana di mezza età che vuole rimanere anonima.
«Siamo al collasso e nessuno ci aiuta per colpa di Hezbollah. Per noi oggi (venerdì, ndr) è una giornata di festa, gli abbiamo dato una bella lezione. Gli sciiti devono trarne le dovute conclusioni e ricordarsi della storia».
Il parallelo con la guerra civile
La storia è che proprio a Ain El Remmaneh, nel 1975, si verificò l’episodio che diede il via alla guerra civile, quando miliziani cristiani presero di mira un autobus che trasportava dei palestinesi, uccidendoli. E che lo stesso quartiere rimase fronte cado del conflitto, che negli anni fece oltre 100.000 morti, in quanto si trova proprio a ridosso della linea verde che allora divideva l’oriente cristiano della capitale dall’ovest a maggioranza musulmana.
«Nella guerra civile la zona era nota come ‘fortezza della resistenza’, gli sciiti sanno che marciare qui provoca delle conseguenze», dice sempre la signora cristiana.
Per conoscere la narrativa degli ambienti sciiti basta guardare la prima pagina di Al-Akhbar, giornale vicino ad Hezbollah. Ritrae Samir Geagea, il leader delle milizie cristiane note come “Forze Libanesi”, rappresentato nelle veci di Hitler. Il titolo è «Non c’è dubbio», un’accusa frontale quanto alla responsabilità per la sparatoria di giovedì. «Ricordi sempre a tutti che non puoi vivere senza odio e sangue», ha scritto contro di lui il direttore del giornale, Ibrahim El-Amine.
Dopo oltre due anni di crisi economica acuta, con la lira locale quasi del tutto svuotata del suo valore, a settembre il Libano si era finalmente dotato di un nuovo governo, guidato dal miliardario Najib Mikati.
Il nuovo esecutivo aveva dato un momentaneo sollievo alla moneta, nel contesto di una spirale di svalutazione, un effetto che può venire annullato dagli scontri settari. Nel frattempo le infrastrutture elettriche continuano a perdere colpi.
Nella capitale Beirut i cittadini hanno a disposizione ormai soltanto 1-2 ore di elettricità al giorno, al punto che tanti riparano nei villaggi d’origine dove la situazione non è ancora così grave.
Ora Hezbollah potrebbe fare pressione sul governo, che dipende anche dai suoi deputati, affinché costringa il giudice Bitar a farsi da parte. A rendere ancora più esplosiva l’atmosfera, domenica ricorre il secondo anniversario della rivolta contro il carovita del 2019. E a marzo 2022 dovrebbe essere già tempo di elezioni.
Le iniziative per la ricostruzione del porto, fra cui quella della società Hamburg Port Consulting lanciata alla presenza dell’ambasciatore tedesco lo scorso Aprile, avanzano solo a passi lentissimi. Al contrario, la sua distruzione si trasforma rapidamente in incandescente materia da guerra civile.
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