- In Libano lo sfacelo della società pubblica responsabile dell’approvvigionamento di elettricità, “Électricité du Liban”, è stato un fattore determinante nel precipitare il collasso economico.
- Zahle, una località di villeggiatura greco-cattolica dove si producono vino e arak, è famosa come modello di autonomia energetica per tutto il paese, ma ora è costretta a tagliare le forniture.
- Nel Paese ormai dominano il mercato gangster proprietari di generatori privati a diesel, che si spartiscono le zone e impongono i loro tariffari. Zahle era riuscita a imporre un sistema condiviso.
Gli uffici di Electricité a Zahle, cittadina cristiana nell’est del Libano vicino alla frontiera siriana, in piena valle della Beqaa, sono lustri e specchiati nella migliore tradizione del settore privato libanese. La roccaforte greco-cattolica si raggiunge attraversando villaggi musulmani e drusi sulla via di Damasco, e a 945 metri è ricoperta di neve. Le sue vecchie case ottomane allineate sul fiume Berdawni, coi caffè e ristoranti in cui si serve arak, il liquore nazionale all’anice, e vino prodotto dalle cantine locali, ne hanno fatto una meta di villeggiatura privilegiata per i benestanti di Beirut nelle belle stagioni.
Ma ad aver reso famosa Zahle, la “sposa della Bekaa”, come la conoscono i libanesi, non sono né le chiese antiche, né la statua bronzea di dieci metri della vergine Maria a 54 metri di altezza, che torreggia con vista panoramica sulla vallata.
Leggenda energetica del Libano
È il fatto che Zahle sia stata capace di dotarsi di una struttura autonoma, funzionale, per garantirsi da sola gli approvvigionamenti elettrici, mentre nel resto del Paese le infrastrutture cadono a pezzi e il settore è nelle mani di gangster imprenditori di generatori privati.
Assaad Charles Nakad, sessantaduenne proprietario e dirigente di Electricité de Zahlé, l’azienda privata che rifornisce di elettricità alla città e ai 17 villaggi circostanti, firma carte indaffarato.
Fra i paesini ce ne sono di sunniti, riconoscibili per i poster dell’ex premier Rafic Hariri, ucciso in un attentato nel 2005, e del figlio Saad Hariri, che in gennaio ha annunciato il ritiro dalla politica, e sciiti, in cui si vedono immagini del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah o del grande maître à penser sciita Musa Sadr.
Dal 2015, quando ha iniziato a produrre elettricità autonomamente, EdZ è divenuta leggendaria in Libano. Électricité du Liban, l’istituto pubblico responsabile degli approvvigionamenti, l’equivalente dell’Enel italiano, era già in pessime condizioni. Ma non è stata una passeggiata.
«Quando nel 2015 abbiamo iniziato a produrre energia, e siamo gli unici autorizzati a farlo nel paese, a Zahle abbiamo avuto scontri durissimi con i gangster dei generatori privati», racconta vitale e affabile Nakad. «Ci sono state minacce di morte, hanno sparato sui nostri cavi, hanno inscenato manifestazioni violente sulla strada per Beirut», racconta.
EdZ è un’azienda antica, fondata nel 1923, ma fino alla fine del 2014 non era altro che un distributore dell’azienda statale. Nella fase di transizione è stato decisivo il sostegno dei cittadini e la diplomazia di Nakad, che ha cooptato le reti di imprenditori. Ora le sottoscrizioni sono 70mila, per un totale di 300mila persone.
Nakad, sempre attento all’immagine della sua azienda, negli anni ha inondato manifesti e spot televisivi con il suo slogan: 24 ore su 24. In un Paese che da decenni patisce gravi inefficienze nella produzione e distribuzione di energia elettrica, peggiorate ulteriormente negli anni della guerra civile (1975-1990) e infine con la crisi attuale, avere elettricità tutto il giorno nelle case sembrava miracoloso.
Ma ora lo slogan non è più vero: la crisi economica, con la svalutazione della moneta locale (fino a un paio di anni fa, un dollaro valeva 1,500 lire libanesi, mentre oggi sul mercato informale ne vale circa 22,000) e l’inflazione elevata, si fa sentire anche in quest’isola felice. «Per la prima volta dal 2015 da qualche mese siamo costretti a tagliare l’elettricità per quattro ore al giorno», racconta Nakad. «Lo facciamo dalle due alle sei, per limitare i disagi, difficile dire quando la situazione tornerà normale».
Spiega nel dettaglio l’imprenditore francofono, che vive fra Zahle, Beirut e Londra: «Il problema è che le nostre bollette vengono pagate in sterlina libanese, mentre tutto quello che serve alla nostra filiera produttiva, soprattutto il masud (il diesel per la centrale), dobbiamo pagarlo in dollari freschi». «Dollari freschi» è l’espressione con cui in Libano si indicano i dollari non rimasti prigionieri dei controlli sui capitali imposti dalla banca centrale a causa dell’iper-svalutazione. «Con la povertà in crescita le bollette diventerebbero troppo care», dice.
L’azienda pubblica
Già in occasione delle proteste dell’autunno 2019, le inefficienze di “Électricité du Liban” erano al centro delle rimostranze popolari. Nel 2018, infatti, l’azienda pubblica soddisfava soltanto il 63 per cento della richiesta di elettricità nel Paese, mentre a causa di corruzione e cattiva gestione, si calcola le sue perdite abbiano contribuito a formare oltre la metà del debito pubblico. D’altronde, ben il 37 per cento dell’elettricità va dispersa a causa dello stato di usura delle infrastrutture (la rete di EdZ è invece conservata a dovere e disperde solo il 4 per cento).
Quasi la metà delle bollette, secondo dati di qualche anno fa, non venivano pagate, a fronte di una riscossione vicina al 100% nella zona di Zahle. L’azienda pubblica è stata, e continua ad essere, un fattore decisivo nel precipitare la crisi senza precedenti in cui si trova oggi il Libano. Da anni ormai si sono moltiplicati i generatori privati a diesel, altamente inquinanti, senza cui è impossibile usufruire di forniture di elettricità accettabili. Parallelamente è cresciuto il potere dei racket di gestori di quartiere, che si spartiscono il territorio, costruiscono legami con burocrati e politici, e operano in coordinamento sui prezzi come cartelli.
«È pazzesco», dice Nakad dei network di generatori privati, «sono illegali, ma esistono da decine di anni, e con la crisi sono diventati la regola». Malgrado la presenza di questi network privati, tollerati per necessità dal governo, solo i più abbienti e organizzati riescono ad avere elettricità per quasi tutta la giornata, magari procurandosi costose batterie per coprire le pause produttive dei generatori. Facile immaginare l’effetto su filiere produttive e diseguaglianze.
Black out all’ordine del giorno
A Beirut, anche nei quartieri borghesi, capita che salti la corrente nel mezzo di una doccia (la pressione viene meno e l’acqua smette di scorrere, lasciando il malcapitato a secco con la testa insaponata, è il caso di chi scrive). I black-out possono sorprendere nei momenti più imprevisti, e poi la luce può abbagliare all’improvviso nel cuore della notte, se gli interruttori per sbaglio erano rimasti accesi. Da qualche anno il ministero dell’energia pubblica delle linee guida per cercare di orientare i tariffari dei fornitori privati, che però seguono logiche di profitto.
EDZ, che funziona affittando degli impianti dell’azienda inglese Aggreko, è una storia di successo ma si è anche attirata critiche.
Un rapporto della School of Oriental and African Studies di Londra ha segnalato come per anni EdZ abbia acquistato elettricità a buon prezzo dal fornitore pubblico EdL, per le poche ore in cui arrivava, rivendendola maggiorata insieme a quella prodotta per coprire le interruzioni di servizio.
«Di fatto si tratta di un trasferimento diretto di risorse dal governo centrale, che si fa carico delle perdite di Électricité du Liban, a EdZ», si legge nel rapporto.
Ma Zahle rimane un esempio da tenere presente anche per il resto del paese. «La parola chiave è decentralizzazione», dice Nakad, scandendo le sillabe. «Tutto il Libano dovrebbe organizzarsi come noi, con tante piccole aziende a livello regionale o municipale. Io non sono un politico, non ho una milizia, eppure sono stato in grado di mettere in piedi un sistema funzionante. Anche ora, con le quattro ore di black out, la situazione è gestibile. Come è possibile che una piccola azienda sia arrivata a dare 24 ore al giorno, e il governo di un paese avanzato non riesca a fornirne neppure una manciata?».
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