Novembre 2022: il giovane deputato francese di sinistra Louis Boyard è ospite di Touche pas à mon poste, talk show di punta del canale C8. Si parla di immigrazione, nel pieno della crisi diplomatica tra Roma e Parigi dopo la decisione del governo Meloni di negare l’attracco alla Ocean Viking. Boyard denuncia le responsabilità di alcuni uomini d’affari francesi nell’impoverimento dell’Africa.

Appena pronuncia il nome del miliardario Vincent Bolloré viene interrotto e coperto di insulti dal presentatore Cyril Hanouna, prima di essere costretto a lasciare lo studio. La bagarre costerà a C8 3,5 milioni di euro: lo scorso 10 luglio, il Consiglio di Stato francese ha convalidato la multa record inflitta al canale dall’Arcom, l’autorità nazionale garante delle comunicazioni.

La reazione accalorata di Hanouna è presto spiegata: oltre a controllare un impero industriale che si estende dall’Europa all’Africa con ramificazioni nei trasporti, nella logistica e nel settore energetico, Bolloré è il proprietario di C8. Non solo: attraverso i gruppi Vivendi e Lagardère controlla anche le reti televisive CNews e Canal+, la radio Europe 1 e i settimanali Paris Match e Le Journal du Dimanche.

Un impero mediatico in grado di raggiungere milioni di francesi, che negli ultimi anni ha visto la linea editoriale spostarsi sempre più a destra e le pratiche scorrette moltiplicarsi, come mostrano le denunce di decine di ex giornalisti e le 46 sanzioni inflitte dall’Arcom dal 2012 a vario titolo: disinformazione, incitamento all’odio e alla discriminazione, mancato rispetto delle regole pubblicitarie.

Licenze interrotte

Lo scorso 24 luglio, l’Arcom ha compiuto un ulteriore passo, decidendo di non rinnovare la licenza per l’utilizzo delle frequenze del digitale terrestre a C8. «È un segnale forte, che darà una battuta d’arresto alla crescente influenza di Bolloré sul dibattito pubblico», dice a Domani Thibaut Bruttin, direttore generale di Reporter senza frontiere. «Ora vigileremo affinché il contratto in fase di negoziazione con CNews, altro canale del gruppo estremamente problematico, offra maggiori garanzie in fatto di pluralismo, indipendenza e integrità».

Quello di Rsf contro la “bollorisation” del panorama mediatico francese è un impegno di lunga data. Prende avvio dieci anni fa, quando l’imprenditore rileva il gruppo Canal+ e avvia una vera e propria purga ai vertici e nelle redazioni. Quella di iTélé, poi ribattezzato CNews, verrà svuotata di due terzi, tra tagli e licenziamenti volontari, al termine di uno sciopero di 31 giorni, il più lungo nella storia della televisione francese.

Sono seguiti poi quelli di Paris Match e Europe 1, fino alla mobilitazione, in corso da ormai un anno, della redazione del Journal du Dimanche, dopo la decisione dell’editore di chiamare alla guida del settimanale Geoffroy Lejeune, ex direttore della rivista di estrema destra Valeurs Actuelles.

«Non siamo contrari al fatto che attori privati investano nei media, anzi è necessario, e neanche al fatto che gli editori abbiano opinioni politiche», precisa Bruttin. «Il problema è quando l’editore pretende di trasformare le redazioni per asservirle ai propri interessi ideologici ed economici». Per chi faccia il tifo Bolloré lo si è capito chiaramente durante la campagna per le elezioni legislative lampo decise da Macron lo scorso giugno: i media del gruppo sono stati in prima linea nel raccontare e anzi spingere per l’”alleanza delle destre” tra i Républicains, il Rassemblement National e Reconquête di Eric Zemmour, il quale, tra l’altro, si è fatto conoscere al grande pubblico, prima di entrare in politica, proprio come opinionista negli studi di CNews.

Non solo: secondo Le Monde, è proprio con Vincent Bolloré che Éric Ciotti, patron ormai sfiduciato dei Républicains, avrebbe discusso delle modalità con cui annunciare l’accordo elettorale con il Rassemblement National di Marine Le Pen.

Progressif Media

Della galassia Bolloré fa parte anche un’altra società, sconosciuta ai più fino a poche settimane fa. Si chiama Progressif Media, si presenta come “agenzia di comunicazione per il bene comune” e dal 2022 appartiene per l’8,5 per cento a Vivendi, che ne ospita gli uffici. A inizio luglio, Reporter senza frontiere ha rivelato di essere vittima di una campagna di disinformazione online orchestrata proprio da Progressif Media: account troll e siti fake che imitano quelli ufficiali di Rsf storpiandone i contenuti, grafiche, video e messaggi inviati a più di 16mila persone per dare l’illusione di un movimento dal basso contro l’organizzazione.

«Mai abbiamo subito in Francia una campagna di questa portata», dice Bruttin, che a nome dell’ong ha sporto denuncia alle autorità. «Ora serve che la regolamentazione e la legislazione facciano un passo avanti, partendo dall’applicazione dell’European Media Freedom Act», continua il direttore. «Quello che manca e che bisogna creare, in Francia e non solo, è una tradizione di non intervento degli azionisti nell’attività editoriale. Ne va della libertà e del pluralismo dell’informazione».

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