«Non abbiamo bisogno di nuove direzioni […] abbiamo solo bisogno di ricordare chi siamo», così George Herbert Walker Bush da candidato alle presidenziali del 1992 senza prendere le distanze dal predecessore Ronald Reagan. Certo una figura ingombrante, ma la cui popolarità contribuì a dare slancio alla campagna di Bush che ne era stato fedele vicepresidente per otto anni. Battere l’impalpabile candidatura di Micheal Dukakis fu relativamente agevole e la contesa finì 53% per i repubblicani nel voto popolare e 40 stati, mentre i democratici inanellarono la terza sconfitta consecutiva, e Bush divenne presidente da vice in carica, situazione che non si verificava da un secolo e mezzo.

Prima della Casa Bianca Bush Sr fu eletto alla Camera per due mandati in un distretto texano, ma perse due volte per la corsa senatoriale, impresa che invece era riuscita a suo padre nel 1952 in Connecticut. Aveva costruito una buona carriera diplomatica essendo stato ambasciatore all’Onu, capo delegazione in Cina e direttore della CIA.

La prima presidenza di un Bush

La cifra della presidenza di Bush Sr. è stata la politica estera, segnata dal presunto Secolo breve e dall’altrettanto ipotetica fine delle ideologie. La caduta del Muro di Berlino, la fine dell’URSS e il “trionfo” della democrazia, o meglio del capitalismo. Fece capolino l’idea che si fosse davanti a un nuovo mondo unipolare dopo l’ossessione bipolare del mondo diviso in due blocchi. La supremazia americana e la fine di ogni conflitto. Bush Sr incontrò Gorbačev (Helsinki) per portare a termine quanto deciso con il suo predecessore in tema di disarmo nucleare.

Durante il primo anno Bush fece invadere Panama (operazione Giusta causa) per deporre il generale Manuel Noriega che aveva iniziato a mutare alleanze internazionali dopo essere stato per anni sodale americano e informatore della Dea, il tutto mettendo a repentaglio il controllo USA dello strategico Canale (si veda il documentario Panama deception).

Ma fu fuori dal continente americano che Bush Sr condusse la più importante operazione militare. Dopo l’invasione irachena del Kuwait gli USA lanciarono l’operazione Desert Storm formalmente per difendere la sovranità territoriale kuwaitiana, ma con l’intento di indebolire Saddam Hussein che però non venne destituito anche per una controversa interpretazione della risoluzione ONU che autorizzava de facto l’uso della forza militare. Di quella coalizione militare fece parte anche l’Italia che per la prima volta dal 1945 era impegnata in azioni di guerra e rimase imperitura l’immagine sfocata di un pallido Maurizio Cocciolone capitano dell’aviazione catturato insieme a Gianmarco Bellini dagli iracheni dopo l’abbattimento del Tornado.

Ma se sul piano internazionale la credibilità di Bush crebbe per gli innegabili successi almeno formali, sul piano interno i problemi emergevano nella loro gravità. La crisi economica innanzitutto e la crescita esponenziale del deficit in parte mascherati dalla firma del trattato di libero mercato con Cana e Messico (NAFTA). Rimase l’intento di rendere l’America “più gentile” e di usare la forza per il bene, come disse nel discorso inaugurale. Perse le elezioni contro Bill Clinton e divenne un padre della patria, a volta ascoltato tra i repubblicani, ma soprattutto ottenne la propria rivincita mettendo in campo suo figlio.

George W. Bush

Cinquecentotrentasette voti, lo 0,009% di distacco dallo sfidante Al Gore e la Corte Suprema assegnò a George W. Bush la vittoria in Florida e con essa i 25 Grandi elettori che furono determinanti nel consegnare la Casa Bianca al rampollo della famiglia Bush (271 vs 266 nel Collegio elettorale). Il quale aveva tra l’altro perso in termini di voti popolari (mezzo milione in meno del vicepresidente di Bill Clinton), ma che aveva prevalso in trenta stati su cinquanta. Le elezioni lasciarono molto strascichi polemici e non solo giudiziari, soprattutto perché il Governatore della Florida al tempo delle elezioni era Jeb Bush, fratello di George W.

11 settembre 2001

L’attacco terroristico al World Trade Center e al Pentagono nel settembre del 2001 segnò la storia presidenziale di Bush Jr, ma l’intero Pianeta. E quasi cancellò un altro 11 settembre, quello del 1973 quando la CIA e Pinochet deposero Allende con un colpo di stato militare. Il giovane, impacciato, discusso e discutibile, imbarazzato e imbarazzante, crudo di politica estera e protocolli, divenne in un giorno il presidente commander in chief. Il capo di un Paese in guerra e quindi George W. Bush si trasformò da brutto anatroccolo in capo politico. Sulla scia emotive e nonostante molte perplessità internazionali Bush inviò le truppe in Afghanistan per scovare la rete costruita da Osama Bin Laden considerato la mente e la guida dei terroristi. La parte decisamente più controversa fu la decisione, nel 2023, di invadere l’Iraq partendo dall’assunto che Saddam Hussein fosse un pericolo per gli Stati Uniti stante il possesso di armi chimiche, che in realtà gli emissari dell’Onu non trovarono mai. La fine del regime di Hussein rappresentò in qualche e modo il capitolo finale della partita aperta da Bush Sr. nel 1991.

La Guerra americana al terrore dichiarata ed estesa a qualsiasi posto nel mondo.

Missione compiuta (?)

Il Discorso della speranza nel primo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, nel quale Bush Jr. ha ribadito il pericolo del nuovo terrore, la fiducia nell’esercito, le conseguenze sociali e politiche di quegli eventi drammatici. L’enfasi inevitabile sul carattere del popolo americano e la sottolineatura per la questioni immateriali: «L’amore per le nostre famiglie, l’amore per i nostri vicini e per il nostro paese, la gratitudine per la vita e per chi la dona». E concluse con la speranza: «Domani è il 12 settembre. […] Siate fiduciosi: il nostro paese è forte. Un traguardo è stato raggiunto e la nostra missione continua».

E l’anno dopo, nel 2023, in un discorso televisivo dal ponte della porta aerei Abraham Lincoln in tenuta da pilota aereo proclama che la «missione è stata compiuta». Bush è giunto sulla portaerei a bordo di un jet sebbene fosse solo a pochi chilometri dalla costa e quindi potessi giungervi in elicottero. Seguirono alcune proteste, lievi, e qualche polemica per i costi e lo spettacolo, ma in tempi di guerra si perdona quasi tutto al capo e le voci critiche sono tacitate. Le torture e la vergogna di Abu Ghraib perpetrate da militari e agenti CIA, il ruolo controverso del vicepresidente Dick Cheney, sarebbero emerse anni dopo, come gli abusi e le violazioni dei diritti umani nel carcere/campo di Guantanamo. La Corte Suprema ristabilì le giuste coordinate sancendo che la Convenzione di Ginevra andasse applicata dagli americani anche lontano dal proprio territorio.

Il conservatorismo compassionevole

L’opposto della Guerra alla povertà di johnsoniana memoria, l’apogeo della generosità, dell’individualismo, rispetto alla politica che guarda alla società – o meglio alla comunità nell’accezione americana – lontana dallo Stato e dalle sue influenze giudicate nefaste specialmente nel caso del welfare. Meno tasse, volontarismo, organizzazioni locali/ste, istruzione di eccellenza (quindi esclusiva in base al censo. Partendo dall’elaborazione interna al partito repubblicano e teorizzata da D. Wead nel 1977 e sviluppata successivamente da M. Olasky, l’approccio “compassionevole” tentava di mitigare il laissez-faire economico e soprattutto il quasi darwinismo sociale in ambito sociale e la patente ostilità per il welfare. Sebbene adottata anche da Bush Sr. fu Bush Jr. a farne il manifesto del proprio mandato presidenziale.

La ri-elezione contro John Kerry

Nel 2004 Bush Jr. non solo si ricandidò, ma vinse migliorando il risultato del 2000 sia in termini di voti popolari (51%), si Grandi elettori (286) e di Stati (31). Lo sfidante democratico John Kerry, senator del Massachusetts e future Segretario di Stato con Barack Obama, non riuscì a scalfire la popolarità di Bush né a metterne in seria discussione le pure tante lacune in economia benché compensate da “accomplishments” in politica estera seppur fonte di discussione. Una volta portato a termine il compito di liberare l’Iraq, Bush mise in chiaro nel suo discorso inaugurale che il compito ora era quello di difendere il Paese dai tiranni e che una volta “naufragato il comunismo” bisognasse fare perno sulla “forza della libertà".

Di padre in figlio alla Casa Bianca

Solo una volta nelle storia presidenziale degli USA il figlio di un ex presidente era diventato a sua volta inquilino della Casa Bianca: John Quincy Adams nel 1824, sesto presidente dopo che il padre, John Adams, era stato il successore di George Washington nel 1797. George W. Bush, a differenza di Quincy Adams era però stata una sorpresa, ma può succedere nel paese delle opportunità, ma anche delle grandi dinastie politiche familiari. Non solo dei Bush.

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