La Corte Penale Internazionale (CPI) era consapevole che non le sarebbero state risparmiate polemiche: l'accusa è di aver messo sullo stesso piano il mandato d'arresto emesso nei confronti di un'organizzazione terroristica responsabile del massacro deliberato del 7 ottobre e quello rivolto ai rappresentanti dello Stato di Israele, che ha reagito all'oltraggio eccedendo nella reazione.

Le critiche sono arrivate puntuali e pronte a strumentalizzare la decisione della Corte, persino con l'accusa di antisemitismo: era già accaduto nel 2019 alla ex procuratrice Bensouda, quando sostenne che c'era «una "base" per indagare per supposti crimini di guerra» commessi in territorio palestinese da Israele nell'estate del 2014, procedimento che quindi si è arenato.

Stavolta il prosecutor Karim Khan è andato a fondo, anche per il referal, una formale richiesta di avvio di indagini presentata da diversi Stati: Sudafrica, Bangladesh, Bolivia, Comore,cu Gibuti, Cile, e Messico. A maggio il prosecutor ha formulato le richieste di arresto presentandole alla Pre Trial Chamber, che il 21 novembre scorso ha quindi annunciato l'emissione dei mandati d'arresto.

Per il massacro del 7 ottobre, tra i destinatari dei provvedimenti ci sarebbero stati anche i capi di Hamas Ismail Haniyeh e Yahya Sinwar, ma il loro decesso ne ha estinto l'esecutività; rimane dunque operante per ora il mandato emesso nei confronti di Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri, comunemente noto come «Deif», uno dei capi sopravvissuti indicato come comandante delle Brigate al-Qassam.

I provvedimenti riguardanti le responsabilità di Israele sulle stragi tra la popolazione palestinese di Gaza hanno invece riguardato il premier Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della difesa Yoav Gallant.

Le accuse riguardano dunque gravissime violazioni al diritto internazionale umanitario, «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità» ai sensi dello Statuto della Corte penale: le norme sono inderogabili, e non ammettono eccezioni per nessuno, né per aggressori né per gli aggrediti se questi abusano nel diritto di difesa, né persino per capi di stato e di governo che in questi casi non godono di alcuna immunità.

Già a maggio il Prosecutor Khan aveva reso noto la richiesta di arresto formulata alla Pre Trial Chamber, attirandosi ovviamente gli strali di Israele, ma anche di diversi Stati occidentali.

Lo stesso presidente Biden aveva dichiarato: «Vorrei essere chiaro: qualunque cosa il procuratore possa indicare, non esiste alcuna equivalenza - nessuna - tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza».

L'Occidente non si rende conto che attaccando la Corte di fatto la delegittima ponendo in discussione anche i mandati d'arresto emessi per il trasferimento forzato di minori ucraini nei confronti di Putin e per i bombardamenti indiscriminati sull'Ucraina di cui sono imputati l'ex ministro della difesa e tre generali russi.

Più in generale lo scenario del conflitto in Medio Oriente oggi appare alquanto incerto, e tuttavia le situazioni potrebbero evolvere: un giorno sussulti democratici potrebbero indurre gli organi della giustizia interna, ancora sostanzialmente indipendenti, a riaffermare i principi di diritto anche contro il governo oggi in carica di Israele.

I fondamenti della giurisdizione della Corte 

Il Procuratore ha precisato di essersi avvalso di una molteplicità di testimonianze, prove documentali in video, audio e fotografie, nonché di immagini satellitari, e «come ulteriore garanzia» di avere consultato anche un «gruppo imparziale» di giuristi di alto profilo, esperti nel diritto internazionale umanitario e nel diritto internazionale penale, tra cui figurano Adrian Fulford avvocato già giudice alla Corte penale internazionale, Helena Kennedy presidente dell'Associazione internazionale degli avvocati, l'avvocata internazionalista araba Amal Clooney, l'autorevole Theodor Meron, avvocato e giudice israeliano naturalizzato statunitense già presidente del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, e il senegalese Adama Dieng, già consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio.

Il Procuratore richiama i principi dell'effettività della giurisdizione della Corte sui territori palestinesi e il principio di «complementarietà»: la Corte è intervenuta perché le giurisdizioni nazionali (di Israele e Palestina) di fatto, almeno fino ad ora, non hanno dimostrato di essersi impegnate in procedimenti giudiziari «indipendenti e imparziali»: ricorrono quindi il "difetto di volontà" o il "difetto di capacità" che impongono l'intervento della Corte.

Le responsabilità di Hamas e di Israele

Le accuse del Procuratore Khan si sviluppano in primo luogo sulle gravi responsabilità dei capi di Hamas, in particolare dell'ala militare delle Brigate al-Qassam, per crimini contro l'umanità (articolo 7 dello Statuto della CPI) e crimini di guerra (articolo 8), anche per la cattura degli ostaggi.

Il prosecutor dell’Aja delinea un quadro specifico molto serio delle gravi responsabilità anche dei leader israeliani: i crimini commessi da Israele sono stati compiuti «nell'ambito di un attacco diffuso e sistematico» contro la popolazione civile palestinese, e «in base alla politica dello Stato». L'accusa è per la «imposizione di un assedio totale su Gaza che ha comportato la chiusura completa dei tre valichi di frontiera, Rafah, Kerem Shalom ed Erez», nonché al blocco arbitrario di aiuti essenziali, tra cui cibo e medicine, e risorse elettriche e idriche per periodi prolungati. Il procuratore rimarca dunque un «piano comune per usare la fame come metodo di guerra» e per «punire collettivamente la popolazione civile di Gaza», ancorché finalizzato ad «assicurare il ritorno degli ostaggi».

Da qui l'indicazione sui motivi su cui si basa la richiesta di arresto per il leader israeliani:1) Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la sua popolazione, tuttavia «tale diritto non esonera Israele o qualsiasi altro Stato dall'obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario»; 2) indipendentemente dall'obiettivo militare, «i mezzi che Israele ha scelto per raggiungerli a Gaza - vale a dire, causare intenzionalmente morte, fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione civile - sono illegittimi».

Le conclusioni della Pre Trial Chamber ora sono giunte nette con la conferma del mandato d'arresto: sussistono «ragionevoli motivi» per ritenere che il Primo Ministro di Israele Netanyahu, e Yoav Gallant, Ministro della Difesa di Israele all'epoca dei fatti, abbiano ciascuno la «responsabilità penale in qualità di co-autori per aver commesso gli atti congiuntamente ad altri: il crimine di guerra della fame come metodo di guerra; e i crimini contro l'umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani», e ancora per «aver diretto intenzionalmente in qualità di ‘superiori’ civili attacchi contro la popolazione civile».

Lo Statuto di Roma

Si può rimanere sconfortati e manifestare solidarietà a Israele, che ancora una volta non va identificato nelle irresponsabili scelte dell’attuale leadership. E tuttavia non è il momento di offrire altri argomenti a quanti accusano l'Occidente di "doppio standard” quando si tratta di affermare i diritti umani e i principi fondamentali del diritto internazionale. La Corte penale internazionale va sostenuta se si vogliono fermare le atrocità delle guerre e le derive del disordine globale. A questo dovrebbe tenere soprattutto l'Italia, che a suo tempo è stata principale sostenitrice della Corte penale internazionale: lo Statuto della Corte, la più importante opera di codificazione del diritto internazionale anche di questo nuovo millennio, è stato approvato e aperto alla firma in Campidoglio nel 1998, ed è ancora indicato dai giuristi dei 124 Stati che lo riconoscono come lo «Statuto di Roma».

© Riproduzione riservata