«Ci sarebbe un cessate il fuoco domani, se Hamas rilasciasse gli ostaggi». Così parlò Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti, durante una raccolta di fondi fuori Seattle, in casa di un ex dirigente della Microsoft con vista sugli Olimpyc Mountains e poco lontano dalla sede della società di aviazione Boeing, dopo aver evitato l'argomento in tre eventi similari.

Pure illazioni simili a quelle che gli Usa hanno fatto negli ultimi mesi senza ottenere grandi risultati dalle parti in causa? Oppure un’affermazione ad effetto a sostegno della sua campagna elettorale anti-trumpiana? Forse nessuna delle due ipotesi, perché già in altre occasioni le parole di Biden sono state anticipatrici di eventi in divenire e che non erano ancora di pubblico dominio, “previsioni” che poi si sono puntualmente avverate.

Così anche in questo caso è opportuno prendere in attenta considerazione le frasi dell’inquilino della Casa Bianca, a cui non mancano tenacia e perseveranza, sul futuro di Gaza. Hamas ha affermato che le frasi del presidente Usa sugli ostaggi sono una «battuta di arresto» per i negoziati in corso.

«Condanniamo questa posizione del presidente degli Stati Uniti, la consideriamo una battuta d'arresto rispetto ai risultati dell'ultimo round di negoziati, che avevano portato al consenso del movimento sulla proposta avanzata dai mediatori», ha dichiarato Hamas in una nota.

Hamas ha anche accusato il premier israeliano Netanyahu di avere rovinato le chance di un accordo con l'attacco militare a Rafah. Bibi, come viene chiamato il premier, vuole andare avanti nell’ultima roccaforte a sud della Striscia per ottenere la «vittoria totale», per distruggere, a suo dire, gli ultimi quattro battaglioni della formazione islamista che comanda a Gaza da 17 anni, dopo aver cacciato l’Anp.

Informazioni per Rafah

Ma c’è un altro elemento: l'amministrazione Biden si è offerta di fornire a Israele «informazioni sensibili» su dove si trovino i leader di Hamas, se accettasse di sospendere la massiccia operazione tanto temuta a Rafah, la città più meridionale della Striscia di Gaza. «Operazione limitata» a parole ma che in effetti sta diventando sempre più massiccia ed estesa con 300mila nuovi profughi palestinesi in fuga, questa volta da sud a nord. Tornano nei luoghi da dove erano fuggiti, ora ridotti in macerie.

Il Washington Post cita quattro fonti anonime, secondo le quali gli Stati Uniti «stanno offrendo a Israele una preziosa assistenza se si ferma, comprese informazioni sensibili per aiutare l'esercito israeliano a individuare la posizione dei leader di Hamas e trovare i tunnel nascosti del gruppo» islamista.

Gli Stati Uniti sono contrari a un'invasione israeliana di Rafah, prevedendo che una grande offensiva di terra porterebbe numerose vittime civili. Sia il segretario di Stato americano Antony Blinken sia il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan sono intervenuti quando il presidente Joe Biden ha consegnato la scorsa settimana un ultimatum alla CNN, secondo cui un’invasione israeliana di Rafah lo avrebbe costretto a sospendere alcuni trasferimenti di armi.

Sia Blinken sia Sullivan hanno cercato di confutare le affermazioni dei repubblicani e dei democratici filo-israeliani secondo i quali Biden avrebbe lasciato Israele in balia di sé stesso, assicurando che resta invece un alleato strategico. Intervenendo alla CBS, Blinken ha detto in modo diretto e inusuale per un diplomatico di lungo corso, che gli Stati Uniti credono che Israele abbia ucciso più civili che terroristi di Hamas durante la guerra a Gaza.

Blinken alla Nbc ha aggiunto che «un'offensiva a Rafah provocherebbe anarchia senza eliminare Hamas», sottolineando che gli Stati Uniti «non hanno ancora visto un piano su quello che accadrà il giorno dopo la fine della guerra a Gaza».

Washington sta cercando di indurre il premier Netanyahu a non ripetere gli errori fatti dagli americani in passato in Iraq e Afghanistan con schieramenti massicci in forza di militari, invitandolo ad azioni mirate contro i leader di Hamas in modo da risparmiare le vite dei civili.

Ma Netanyahu non ha ancora reso noto un piano per il dopo conflitto, una exit strategy che preveda che si debba occupare del futuro di Gaza. Un piano israeliano sul futuro della Striscia sarebbe sul punto di essere svelato, ma non prevederebbe, come auspicato dagli Usa e dai paesi arabi moderati, un ruolo per l’Anp di Abu Mazen.

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