Nella notte fra il 31 agosto e il primo settembre, l’esercito israeliano ha recuperato altri sei corpi di ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. Secondo quanto riportato dall’Idf, gli ostaggi, tra cui una cittadina americana, sarebbero stati uccisi nelle ore precedenti al ritrovamento, avvenuto in un tunnel sotto la città di Rafah, a circa un km dall’area in cui fu liberato la settimana scorsa il cittadino israelo-beduino Qaid Farhan Alkadi, anche lui caduto nelle mani del gruppo terroristico.

Sebbene la versione dell’Idf sembri accreditarsi sempre più man mano che passano le ore, ovviamente la propaganda avversaria dirà che gli ostaggi sono caduti vittime dei bombardamenti israeliani o di qualche altra azione dell’esercito.

È la fog of war che si scatena identica a ogni episodio particolarmente cruento come questo. Di solito, ognuno sceglie la versione che preferisce a seconda della squadra per cui fa il tifo. Pure in questa nebbia, però, qualche punto fermo lo possiamo ricavare.

Hamas non può trattare

Anzitutto, tanto si è detto sulla volontà del governo di Netanyahu per estendere il conflitto nel tempo e, se servisse, nello spazio, trascurando che dall’altra parte abbiamo una situazione speculare, se non peggiore. Hamas non può trattare per almeno tre motivi.

Primo: nonostante il disperato tentativo di far passare il proprio attacco come un atto di resistenza quando è totalmente da inscriversi nella cornice dei progetti islamisti che hanno fra gli scopi primari la cancellazione dello stato ebraico e la sottomissione dell’ebreo in terra di Islam, il suo attacco avrebbe avuto uno sbocco solo con il coinvolgimento dei governi arabi, o dell’Iran, suo stato protettore da quando i gruppi fondamentalisti sunniti sono caduti vittime della più feroce repressione in patria (fa, in parte, eccezione la Turchia).

Come rivelato dalle recenti intercettazioni dello stesso Sinwar, riprese dalla stampa americana, questo è ancora lo spartito da seguire, nella speranza, tra l’altro ammessa apertis verbis già da Khaled Meshal in un’intervista ad Al-Arabya nei primi giorni di guerra facilmente rintracciabile sul web, che il massacro di civili costringerà gli stati musulmani a intervenire.

Sì, figuriamoci, nemmeno i palestinesi della Cisgiordania, con tutto ciò che stanno subendo dalle frange fondamentaliste ebraiche, si sono uniti alla lotta.

L’Iran, lo abbiamo visto in questi giorni, viene addirittura fatto passare come soggetto ragionevole, ci pensa non una ma mille volte a intraprendere uno scontro diretto con lo stato ebraico che potrebbe essere il colpo di grazia a un regime che si regge da tempo solo sula violenza repressiva dei Pasdaran, che impiccano in media sette persone al giorno dall’inizio del 2024.

Visto da Israele

Secondo: fin dalle prime ore successive al pogrom del 7 ottobre si era capito che l’attacco fosse sfuggito di mano alla stessa organizzazione terroristica, la cui breccia nella barriera che separa la Striscia e Israele è stata sfruttata da miliziani iscritti nella varie sigle della galassia del Jihad islamico (al maschile), quando non da bande di predoni in cerca di qualche forma di potere sul proprio territorio o di soldi facili scambiando degli ostaggi.

Scenari consueti, che abbiamo già visto nelle guerre mediorientali seguite all’11 settembre. Insomma, Hamas non può trattare perché nemmeno sa dove siano gli ostaggi e quanti di loro siano vivi.

Terzo: non esiste alcuno scenario accettabile da Israele che preveda la presenza del gruppo fondamentalista nella Striscia. La trattativa, se Israele fosse libero di farla, è col mondo sunnita, che deve farsi carico di una qualche forma di stabilità che garantisca la sicurezza dello stato ebraico, iscritta nella prospettiva tracciata dal piano Biden-Blinken sostenuto anche dai sauditi.

Intanto, oltre allo scontato cordoglio per le vittime barbaramente trucidate durante il loro rapimento, in Israele si fa a gara per leggere l’evento pro domo propria. Per gli ultra falchi Ben Gvir e Smotrich è la prova che Hamas va eradicato fino in fondo e la Striscia definitivamente occupata dall’Idf. Per le famiglie degli ostaggi e i numerosissimi oppositori di Benjamin Netanyahu che la trattativa è l’unico modo per bring them home, riportare i rapiti a casa.

E il premier, come sempre, a cercare disperatamente la formula che tenga insieme tutto: questi brutali omicidi che, rivolgendosi agli ostaggi, contravvengono a uno dei principi fondanti della logica di guerra, dimostrano che è Hamas a non volere la trattativa. Ci rimane solo la guerra. Cosa succederà da domani? Nulla, tutto sarà esattamente come prima.

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