A inizio novembre, un fulmine ha colpito il campo profughi di Palabek, nella regione settentrionale di Lamwo in Uganda. L’incidente ha causato almeno 14 morti, tra cui diversi bambini, e 34 feriti, secondo le autorità ugandesi. Durante la stagione delle piogge, il rischio di essere colpiti da un fulmine in Uganda è quanto meno possibile, soprattutto se si vive in uno dei 14 vasti campi profughi, molti dei quali ospitano più di 100mila abitanti, sparsi nel piccolo paese della regione dei Grandi Laghi.

Il campo di Palabek accoglie circa 80mila persone, per lo più fuggite dalla guerra civile del Sud Sudan. Se si considerano tutti i rifugiati che vivono nei campi profughi ugandesi, il numero sale a 1,7 milioni. L’Uganda è il primo paese in Africa e il terzo al mondo per numero di rifugiati rispetto alla propria popolazione. Con una percentuale del 3,6 per cento, accoglie più del doppio dei rifugiati dell’Unione europea (1,5 per cento) e ben sette volte più dell’Italia (0,7 per cento), pur avendo 60mila chilometri quadrati in meno di quest’ultima.

La maggior parte degli arrivi proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, dove i conflitti tra centinaia di gruppi armati, le milizie sostenute dal Ruanda e gli eserciti schierati sul campo hanno causato sette milioni di sfollati, e dal Sud Sudan, devastato da otto anni di guerra civile. Nell’ultimo anno, la guerra in Sudan, che ha portato a una delle crisi umanitarie più gravi degli ultimi anni con 12 milioni di sfollati, ha spinto molti verso l’Uganda, costituendo circa un quarto di tutti i nuovi arrivi nel 2024.

L’accoglienza

Ogni mese, in media, 10mila persone arrivano in Uganda come rifugiati. Le donne e le ragazze rappresentano il 51 per cento dei rifugiati registrati, mentre i bambini costituiscono il 57 per cento, con il 40 per cento di essi sotto i 12 anni. Gli anziani (over 60) rappresentano il 3 per cento, mentre il 24 per cento sono giovani.

L’Uganda è conosciuto per avere uno dei regimi di asilo più progressisti al mondo. La legge ugandese tutela i diritti fondamentali dei rifugiati, inclusi l’accesso all’istruzione, la libertà di movimento e di espressione, e il diritto al lavoro. Inoltre, per chi arriva dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Sud Sudan e dal Sudan, la legge garantisce una protezione immediata, evitando loro il lungo processo di richiesta di asilo.

Questo sistema favorisce l’integrazione dei rifugiati nella pianificazione dello sviluppo nazionale. Le scuole e gli ospedali costruiti nelle zone rurali dove si trovano i campi profughi sono utilizzati sia dai rifugiati che dalle comunità locali. Una volta arrivate, le persone vengono distribuiti tra i 14 campi profughi e ricevono un appezzamento di terreno da coltivare, oltre a sostegno in denaro e cibo.

I fondi che mancano 

Tuttavia, il mantenimento di questa politica dipende dai finanziamenti esteri, che però sono sempre più instabili. Le organizzazioni umanitarie, per lo più finanziate dagli Stati Uniti, dall’Unione europea e dalle Nazioni unite, sostituiscono le autorità ugandesi nel fornire cibo, assistenza medica e istruzione ai rifugiati. Ma negli ultimi anni i fondi dei partner internazionali vanno sempre più a ribasso. Ad esempio, per il 2024, l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, aveva richiesto 363 milioni di dollari per sostenere l’Uganda nella gestione dei profughi, ma ad oggi ha ricevuto solo 153 milioni, meno del 50 per cento della cifra necessaria.

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, l’Unione europea ha ridotto i finanziamenti per progetti umanitari, destinando una parte sostanziale dei fondi al sostegno, anche militare, a Kiev. Gli Stati Uniti, uno degli altri principali finanziatori dei progetti umanitari in Uganda, hanno dimezzato i fondi negli ultimi due anni, come riporta Euronews.

La diminuzione dei finanziamenti, unita al flusso migratorio in continua crescita e al tasso di natalità elevato, rende la situazione sempre più difficile. Sebbene i rifugiati abbiano accesso agli stessi ospedali e scuole della popolazione locale, questo a volte porta a tensioni, in quanto la competizione per risorse limitate diventa più accesa.

«È urgentemente necessario un sostegno internazionale per aiutare l’impegno dell’Uganda nei confronti dei rifugiati», ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, al termine della sua visita in Uganda la scorsa settimana. Ma la riduzione dei finanziamenti umanitari non colpisce solo l’Uganda. A metà settembre il World Food Programme (Wfp) ha affermato che il deficit di finanziamento di oltre il 60 per cento di quest’anno è stato il più alto nei 60 anni di storia del Wfp, una condizione che ha portato a tagliare le razioni di cibo in quasi la metà dei progetti attivi.

Con più di 730 milioni di persone che vivono in una condizione di fame nel 2023 «Se non riceviamo il supporto di cui abbiamo bisogno per evitare un’ulteriore catastrofe, il mondo vedrà senza dubbio più conflitti, più disordini e più fame», ha affermato Cindy McCain, direttrice esecutiva del Wfp.

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