Divieti e controllo sugli investimenti privati: le ultime misure allo studio dell’amministrazione americana sono in grado di far calare nuovamente il gelo tra Washington e Pechino dopo la sfilata diplomatica, che continua con la visita dell’inviato per il clima, John Kerry
- Divieti e controllo sugli investimenti privati: le ultime misure allo studio dell’amministrazione americana sono in grado di far calare nuovamente il gelo tra Washington e Pechino.
- Quando verranno ufficializzati i provvedimenti anticipati dal New York Times, si allungherà la spirale di protezionismo, sanzioni e rappresaglie nella quale sta precipitando la relazione tra la potenza in ascesa e quella egemone che aveva alimentato la globalizzazione negli ultimi decenni.
- A Pechino però temono che le prossime mosse di Biden possano fungere da “esempio”, incoraggiando altre democrazie liberali, non soltanto occidentali.
Divieti mirati e rafforzamento del controllo governativo sugli investimenti privati in Cina in settori cruciali per la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti. Le ultime misure allo studio dell’amministrazione democratica sono in grado di far calare nuovamente il gelo tra Washington e Pechino dove – con lo sbarco, domani, dell’inviato per il clima, John Kerry – prosegue la sfilata di inviati di Joe Biden alla corte di Xi Jinping.
Le limitazioni in arrivo – alle quali Biden sta lavorando da tempo e che saranno discusse con le corporation Usa – mirano a tagliare i finanziamenti ai microchip, all’intelligenza artificiale e all’informatica quantistica made in China.
Oltre a una stretta sull’acquisto di azioni di startup e unicorni, e vincoli per i venture capital, è previsto anche lo stop all’esportazione di un’ulteriore serie di prodotti, come l’acceleratore Nvidia A800, commercializzato dalla multinazionale californiana proprio per aggirare il divieto di vendere in Cina il suo A100.
Quando verranno ufficializzati i provvedimenti anticipati dal New York Times, si allungherà la spirale di protezionismo, sanzioni e rappresaglie nella quale sta precipitando la relazione tra la potenza in ascesa e quella egemone che aveva alimentato la globalizzazione negli ultimi decenni.
Sì, perché il «grandioso risveglio della nazione cinese» di Xi prevede il ricorso alla rappresaglia, come la messa al bando dei microprocessori Usa di Micron Technology decretata un paio di mesi fa, le sanzioni contro i colossi degli armamenti Raytheon e Lockheed Martin, nonché l’appena varata “Legge sulle relazioni internazionali”, che dettaglia le reazioni da opporre a chi “minacci gli interessi della Cina”.
La minaccia di DeSantis
Dal canto suo Biden è “ostaggio” di un congresso trasversalmente e accanitamente anti Cina. Democratici e Grand Old Party invocano in coro misure contro l’ex partner economico numero uno trasformato in pericolo per la “sicurezza nazionale”.
Mentre Ron DeSantis – il governatore della Florida in corsa per le primarie repubblicane – è arrivato a promettere di sospendere alla Cina lo status di “most favored nation” se diventerà il 47° presidente Usa.
Ci provò già Clinton nel 1993, sbattendo contro il muro di Wall Street, che allora scommetteva sul Bengodi comunista. Trent’anni dopo, siamo di fronte a un’altra America, e a un’altra Cina, che stanno cambiando il corso della storia.
Più volte rimandato negli ultimi mesi a causa delle resistenze del mondo finanziario, secondo il quotidiano newyorchese questa volta l’ordine esecutivo sarebbe sulla scrivania di Biden, pronto per essere firmato.
Eppure, per quanto riguarda l’hi-tech, destinato a trainare sempre più il suo sviluppo, alla Cina non mancano certo i fondi, ingenti, sia statali che di paesi amici. In questo campo il decoupling tra l’economia statunitense e quella cinese – che stanno dando vita a due universi paralleli, ognuno con i suoi prodotti, standard e mercati di sbocco – è già realtà.
Nicholas Lardy ha ricordato che gli Usa sono stati la fonte di meno del 5 per ceto degli investimenti diretti in entrata della Cina sia nel 2021 che nel 2022. Secondo i dati citati dal ricercatore del Peterson Institute for International Economy, sui 1.500 miliardi di dollari investiti in Cina nel primo trimestre di quest’anno, soltanto 400 milioni sono arrivati da venture capital e private equity a stelle e strisce (nel 2021 erano stati circa 35 miliardi).
Yellen indora la pillola
A Pechino però temono che le prossime mosse di Biden possano fungere da “esempio”, incoraggiando altre democrazie liberali, non soltanto occidentali (si pensi all’importanza, per le tecnologie più avanzate, di Taiwan, del Giappone e della Corea del sud) ad adottare provvedimenti simili.
La Cina si sente vittima di quello che potrebbe diventare un vero e proprio embargo hi-tech guidato da Washington per frenare le sue ambizioni di ammodernamento industriale e militare.
I ripetuti incontri che negli ultimi giorni alti funzionari statunitensi hanno avuto con la controparte cinese hanno avuto anche lo scopo di rassicurare su questo punto la leadership del partito comunista. Una conferma è arrivata dalla segretaria del Tesoro, Janet Yellen, che appena rientrata da Pechino, domenica scorsa ha raccontato alla Cbs: «Ho spiegato che il presidente Biden sta esaminando i potenziali controlli sugli investimenti in uscita in alcune aree ad alta tecnologia molto ristrette e che se andiamo avanti con questi, saranno davvero mirati in modo molto ristretto».
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