- L’emergenza energetica, la minaccia russa e rischi di recessione hanno posto l’Italia di fronte a numerose sfide. In questo contesto il premier ha consolidato i rapporti transatlantici, ma senza trascurare gli interessi nazionali.
- L’obiettivo era quello di accrescere la consapevolezza collettiva su come la tutela e la promozione dei nostri interessi, in Europa come nel mondo, sia oggi più che mai irrinunciabile.
- Questo testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “Cosa resterà della politica estera di Draghi”, in edicola e in digitale da venerdì 23 settembre.
Può accadere che, anche in una democrazia occidentale matura e complessa, una sola persona assuma un rilievo determinante verso il mondo esterno – arrivando di fatto a permearne l’azione in politica estera – in virtù dell’eccezionalità della propria storia professionale e del prestigio personale? Evidentemente sì, come ha dimostrato l’esperienza di Mario Draghi.
Attribuirlo unicamente all’indiscussa autorevolezza del personaggio potrebbe risultare tuttavia fuorviante laddove si tentasse di tracciare un bilancio dell’attività diplomatica del suo esecutivo. Mario Draghi ha infatti saputo riassumere e interpretare i principali canoni della politica estera italiana con grande realismo, facendo spesso ricorso a quell’arte del possibile che gli è propria e che lo rende per molti versi il più politico dei tecnici. L’eredità che il suo governo lascia sul fronte internazionale è di conseguenza connotata in modo chiaro e pone sul tavolo almeno due questioni.
Rapporto transatlantico
Quella della linea politica, in primo luogo. Essa si fonda su una collocazione del paese all’interno del fronte occidentale salda e priva di sfumature. Sottolinea la centralità del rapporto transatlantico quale necessario punto di riferimento strategico e valoriale dell’azione dell’Italia nel mondo. Riafferma l’importanza della solidarietà interalleata come cifra delle decisioni strategiche comuni. Postula un’Europa più forte all’interno di una più forte Alleanza atlantica, di cui deve ambire a costituire un solido e insostituibile pilastro.
L’Europa di Mario Draghi deve sempre più proporsi come attore primario del panorama delle relazioni internazionali, ponendosi con sempre maggiore assertività a difesa dei propri interessi, in un contesto globale crescentemente segnato dall’aggressività di attori come Russia o Cina e dalla prevalenza di logiche transattive che tendono a premiare la deterrenza rispetto al dialogo.
In questo contesto, stanti anche le difficoltà a esprimere una sintesi sul tema della difesa comune, l’Europa dovrà però prendere atto che sarà costretta ancora a lungo a fare affidamento sull’ombrello di sicurezza garantito dall’alleato americano. Non dunque una autonomia strategica fine a sé stessa – poco realistica – bensì finalizzata a dare forza all’occidente nel suo complesso.
Immaginare di compiere progressi significativi su questo fronte attraverso un atteggiamento dogmatico e individuale rischia di essere pertanto illusorio. Ne deriva il ricorso a un paziente, pragmatico lavoro di dialogo e mediazione.
Equilibri europei
È in questo quadro che si è spesso rivelato decisivo fare affidamento sul rafforzamento dell’intesa italo-franco-tedesca per accrescere la massa critica dei paesi più importanti e contrastare il limite del voto all’unanimità che tuttora ostacola l’adozione di decisioni strategiche, per poi sviluppare un’azione a geometria variabile sul resto della membership in funzione dei singoli dossier da trattare (si tratti di Pnrr, di temi energetici, ambientali o migratori).
Draghi ha dimostrato come, meno assertiva della Francia, ma meno cauta della Germania, l’Italia abbia un ruolo da svolgere particolarmente significativo negli equilibri europei a difesa dei propri interessi nazionali. Lo ha fatto massimizzando i tanti punti di forza che il nostro paese è in grado di esprimere, quali la peculiarità della nostra collocazione geopolitica, la vivacità della nostra economia, l’autorevolezza del nostro soft power, ma anche facendo ampio ricorso agli strumenti che il sistema politico-istituzionale pone a disposizione dell’esecutivo per la promozione e la tutela dell’interesse nazionale.
Interesse nazionale
L’interesse nazionale, quindi. La difficile congiuntura internazionale ci pone oggi di fronte a una vera e propria prova di maturità, una sorta di traversata in mare aperto tra emergenza energetica, tensioni inflazionistiche e rischi concreti di recessione, sullo sfondo dell’aggressione russa all’Ucraina, di irrisolte crisi geopolitiche che ci toccano direttamente e di una pandemia che potrebbe avere in serbo nuovi colpi di coda. Le minacce sistemiche sono dunque molteplici.
L’esecutivo Draghi ha in questo contesto – reso ancora più complesso dalla competizione in atto tra i vari sistemi paese – ampliato il dibattito pubblico sui temi centrali per gli interessi nazionali. Vi ha coinvolto, oltre alle forze politiche, le istituzioni, le parti sociali, il mondo delle aziende e lo stesso corpo elettorale. L’obiettivo era quello di accrescere la consapevolezza collettiva su come la tutela e la promozione dei nostri interessi, in Europa come nel mondo, sia oggi più che mai irrinunciabile, di come definisca la credibilità internazionale del sistema paese e determini l’efficacia stessa del nostro stare al mondo.
Darvi continuità, investirvi risorse, promuoverne il riconoscimento presso la società civile ne rappresenta un inevitabile corollario. Un discrimine che può fare la differenza tra l’essere protagonisti sulla scena globale o rischiare di scivolare nell’irrilevanza. Per riuscire, si rendono indispensabili tutte le nostre energie vitali.
L’ampio ricorso fatto in questi mesi agli strumenti e alle professionalità di prim’ordine presenti in tutta la nostra pubblica amministrazione, nella sanità, nelle nostre forze armate, nella diplomazia, nell’intelligence, ha così rafforzato l’immagine di un esecutivo impegnato a coinvolgere tutte le articolazioni del paese che a vario titolo concorrono a definire l’interesse nazionale.
Insomma, la definizione e la promozione dell’interesse nazionale visti come un atto di sintesi che ricade inevitabilmente nelle competenze del governo, postula il concorso di numerosi attori, tiene conto di sfide e opportunità articolate ed è sottoposto infine al giudizio del parlamento.
Rendere tutto ciò duraturo e sostenibile rappresenta una sfida nella sfida e sbaglierebbe chi si concentrasse unicamente sulla questione delle risorse. Assieme all’importanza fondamentale di utilizzare al meglio tutti i fondi del Pnrr, la partita decisiva per i prossimi anni sarà intercettare e liberare le energie vitali di cui l’Italia dispone. Mario Draghi ha dimostrato di esserne consapevole e ha inteso trasmettere al paese quel senso di ambiziosa impresa collettiva che sarà bene non vada disperso.
© Riproduzione riservata