Il viaggio nei giorni del secondo anniversario dell’invasione e del G7. Alleata con i filorussi Orbán e Salvini, in Ucraina la premier è “virale”
Giorgia Meloni è destinata a ricevere un’accoglienza da grandi occasioni quando arriverà a Kiev per un viaggio di cui si discute da giorni e che potrebbe iniziare già sabato 24, quando la premier presiederà una riunione del G7 a cui parteciperà anche il presidente Volodymyr Zelensky. Nella memoria dei leader ucraini, infatti, è ancora fresco il suo ruolo al vertice europeo dello scorso 1° febbraio, quando ha contribuito a persuadere il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, a dare il via libera agli aiuti a Kiev, che erano bloccati da dicembre.
Ma Zelensky le è grato anche per aver posizionato l’Italia al fianco dell’Ucraina senza esitazioni, mantenendo il governo italiano fermo sulla necessità di proseguire la fornitura degli aiuti militari e di favorire le procedure per l’ingresso del paese nell’Unione europea. Se qualche asperità non potrà non mancare – sui fondi russi congelati in Europa, ad esempio, Roma e Kiev non la vedono allo stesso modo – la visita di Meloni è destinata a cementare l’inaspettata popolarità che la premier ha raggiunto nel paese.
La visita
Oltre alla riunione del G7, che punta a contrastare il crescente senso di disinteresse per la causa ucraina che si respira nel pubblico internazionale, l’agenda di Meloni per i prossimi giorni prevede la firma di un accordo di sicurezza bilaterale tra Italia e Ucraina, simile a quelli già sottoscritti da Regno Unito, Francia e Germania. Si tratta di documenti con cui i paesi europei si impegnano a fornire aiuti economici e militari in caso di future aggressione. Non prevedono l’invio di truppe e questo li rende importanti soprattutto dal punto di vista simbolico: una sorta di preparazione allo sperato, da parte di Kiev, futuro ingresso nella Nato.
Fin qui, il terreno comune. I punti di potenziale frizione sono invece due: i fondi russi congelati e l’invio di nuove armi. Il primo è senza dubbio il più serio. Kiev chiede che i circa 200 miliardi di euro di asset russi, pubblici e privati, congelati in Europa vengano venduti e che i proventi vengano utilizzati per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina e il suo sforzo bellico.
Gli europei, però, sono scettici. Il passo rischia di avere serie ripercussioni legali a livello internazionale. Funzionari di Germania, Francia e Italia guidano l’opposizione a questa mossa. Il ramoscello d’ulivo che Meloni può portare su questo fronte è la promessa di utilizzare per l’Ucraina i profitti generati da questi asset, come ad esempio gli interessi sui depositi, una strategia su cui sta già lavorando la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. Non proprio ciò che chiede Kiev, ma probabilmente abbastanza per il momento.
Il capitolo delle armi è meno problematico, almeno per l’Italia. Le forze armate ucraine hanno un bisogno disperato di armi, proiettili di artiglieria e missili antiaerei in particolare, ma in questo tipo di forniture, il nostro paese è in fondo alla classifica dei grandi paesi europei – le cifre esatte sono difficili da calcolare, visto che il nostro rimane uno dei pochissimi paesi a mantenere il riserbo totale sulle forniture, ma le stime principali si aggirano intorno a un miliardo di euro in aiuti militari, circa diciassette volte meno di quanto donato dalla Germania.
Fino ad oggi, però, Kiev ha sempre dimostrato comprensione per le difficoltà del nostro paese, cha ha un’economia e un bilancio pubblico in sofferenza e un esercito non esattamente tra i più dotati d’Europa (da noi Kiev si aspetta soprattutto sistemi antiaerei a medio raggio).
Di conseguenza, l’Italia non ha ricevuto nemmeno una frazione delle critiche che hanno colpito la ben più generosa, ma anche più munita, Germania. Con le forze armate che, tramite il ministro della Difesa, Guido Crosetto, avvertono che si stanno esaurendo anche le poche riserve utilizzate fino a questo momento per armare l’Ucraina, Meloni dovrà decidere chi scontentare quando si tratterà di elaborare il nono pacchetto di armi, dopo l’ultimo approvato a dicembre.
Una premier virale
Difficile comunque che questi potenziali intoppi finiscano con l’intaccare la relazione che Meloni ha sviluppato con gli ucraini. Per la premier, l’adesione senza condizioni all’alleanza pro-Ucraina è un pezzo essenziale del suo passaporto di rispettabilità internazionale: non ci rinuncerà facilmente. Per Kiev, l’Italia è un partner sufficientemente influente da volerselo tenere stretto, ma il cui sostegno non è così fondamentale da necessitare un punzecchiamento se non arriva al cento per cento del suo potenziale.
E poi c’è la popolarità personale di Meloni in Ucraina. Si può dire che nel paese la premier è diventata virale. Lo scorso marzo un filmato della sua risposta a una deputata del Movimento 5 stelle contraria all’invio di armi è stato tradotto, sottotitolato e visto migliaia di volte. «Si parla di pace, perfetto: mi si può dire quali sono, secondo voi, le condizioni per aprire un tavolo di trattative?», incalza Meloni nel filmato, dopo aver detto che fermare le armi significa avvallare l’invasione russa. «Brava Meloni!», l’aveva acclamata all’epoca Mikhailo Podolyak, guru della comunicazione di Zelensky e uno delle migliaia di ucraini che hanno celebrato la premier sui social.
Per quegli ucraini che seguono la politica europea si è trattato di una vera sorpresa. A Kiev ci si può imbattere facilmente in qualche ucraino che domanda incredulo: «Ma Meloni non era un’alleata di Orbán, Berlusconi e Salvini?». La sorpresa di averle visto cambiare fronte la terrà, almeno per qualche tempo, ancora vicino al cuore di molti ucraini.
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