La dipendenza dall’Asia e la concorrenza cinese inducono gli Usa a riscoprire la politica industriale e il pacchetto che finanzia intelligenza artificiale, robotica, informatica quantistica e altri campi all’avanguardia ottiene anche i sì di una minoranza di repubblicani.
- Il “Chips and Science Act” è un pacchetto che stanzia altri 200 miliardi per la ricerca scientifica su intelligenza artificiale, robotica, informatica quantistica e altri campi all’avanguardia.
- Gli Stati uniti puntano a riguadagnare la leadership tecnologica in un settore nel quale durante la pandemia si sono scoperti improvvisamente fragili.
- Un tempo dominata da Intel, negli ultimi 30 anni la produzione di semiconduttori negli Usa è crollata, dal 37 per cento di quella globale del 1990 all’attuale 12 per cento, mentre quelli più avanzati sono attualmente un quasi monopolio della taiwanese Tsmc.
La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha dato l’ok al “Chips and Science Act”, la legge che in America è considerata un tassello fondamentale del mosaico di provvedimenti per affrontare la competizione della Cina nel settore dei semiconduttori, cervelli dell’industria e degli armamenti moderni.
Adesso tutti vogliono il loro chip fatto in casa
La norma - che attende la firma, scontata, del presidente Joe Biden - dopo un ampio sostegno bipartisan raccolto al Senato, l’altro ieri è passata per 243 voti favorevoli contro 187 contrari, con il “sì” di 24 repubblicani. Il Chips and Science Act è «ciò di cui abbiamo bisogno per far crescere la nostra economia», ha dichiarato il presidente Usa dopo il voto. «Questa legge aumenterà la produzione nazionale di semiconduttori e ridurrà i costi per le famiglie. E rafforzerà la nostra sicurezza nazionale rendendoci meno dipendenti da fonti straniere»
Produzione crollata al 12 per cento
Il “Chips and Science Act” è un pacchetto per complessivi 280 miliardi di dollari che stanzia altri 200 miliardi per la ricerca scientifica su intelligenza artificiale, robotica, informatica quantistica e altri campi all’avanguardia.
Gli Stati uniti puntano a riguadagnare la leadership tecnologica in un settore nel quale durante la pandemia si sono scoperti improvvisamente fragili, a causa della loro dipendenza dall’estero. Un tempo dominata da Intel, negli ultimi 30 anni la produzione di semiconduttori negli Usa è crollata, dal 37 per cento di quella globale del 1990 all’attuale 12 per cento.
I microchip più avanzati sono attualmente monopolio (con oltre l’80 per cento del mercato) della taiwanese Tsmc, che ha i principali stabilimenti sull’isola che in un eventuale scontro con la Cina potrebbe essere tagliata fuori dal resto del mondo, mandando in tilt la produzione globale di smartphone, computer, macchinari, automobili e tanto altro.
Il fattore Taiwan
La Cina - dove Tsmc (a Shanghai e Nanchino) sforna microchip non di ultima generazione, a otto e 12 nanometri - nel tentativo di diventare autosufficiente nel 2014 ha istituito un Fondo nazionale per i semiconduttori. E il XIV Piano quinquennale (2021-2025) ha fissato l’obiettivo di rimpiazzarne le importazioni al 70 per cento entro il 2025 e completamente cinque anni più tardi. Nel 2021 il gigante nazionale Smic (tra le compagnie inserite nella lista nera Usa) ha raddoppiato rispetto all’anno precedente i profitti (1,7 miliardi di dollari) e quest’anno, grazie a investimenti per 5 miliardi di dollari, dovrebbe aumentare la capacità produttiva dei suoi wafer a 8 nanometri di 130-150 mila unità al mese.
Ci vorrà tempo prima che i microchip cinesi possano raggiungere il livello di quelli di Tsmc o dei coreani Samsung. Ma la competizione per la supremazia globale è già accanita, sostenuta da motivazioni economiche e di sicurezza nazionale. E ha spinto gli Stati uniti a riscoprire la politica industriale, con il sostegno governativo a questo settore individuato come strategico, a colpi di sussidi e tagli alle tasse per le aziende. Il “Chips and Sciences Act” prevede infatti finanziamenti per 52 miliardi di dollari, l’80 per cento dei quali saranno destinati alla manifattura e il 20 per cento alla ricerca sui semiconduttori. I fondi verranno impiegati anche per erigere barriere per impedire alle compagnie di impiegare il denaro federale per investire in paesi come la Cina.
Anche il mondo dell’impresa ha appoggiato la nuova legge. «Per decenni, non c’è stata nessuna politica industriale: era una specie di parolaccia», ha dichiarato qualche tempo fa Michael Dell. «Penso che sia fantastico che gli Stati uniti stiano ora iniziando a concentrarsi su alcune di queste industrie strategiche avanzate. Spero che non sia troppo tardi». Secondo il fondatore della multinazionale Usa di sistemi informatici «la relazione è tra Usa e Cina è un po’ gelida al momento e potremmo dirigerci verso un mondo bipolare.
Mentre a Taipei la polizia dà la caccia alle “spie economiche” cinesi accusate di furto di tecnologia, Tsmc ha investito 12 miliardi di dollari a Phoenix, in Arizona, in una fonderia per i moderni chip a cinque nanometri.
Il fondatore del colosso taiwanese ha avvisato che produrre uno stesso microprocessore negli Usa costa il 50 per cento in più che a Taiwan. Classe 1931, Morris Chang ha aggiunto che, in caso di guerra, «avremo tutti molto di più dei semplici microchip di cui preoccuparci».
Semiconduttori made in Ue
Ma le ferite inferte alla globalizzazione dall’uno-due pandemia-guerra in Europa e la competizione tra la Cina e l’Occidente stanno spingendo i blocchi, compresa l’Unione europea, a inseguire la cosiddetta “sovranità digitale”, dotandosi degli strumenti finanziari, industriali e legislativi, per costruire in casa l’intera filiera dei preziosissimi chip.
Nel febbraio scorso la Commissione ha presentato una proposta di legge apparentemente più articolata di quella statunitense, costruita su tre assi: dar vita a un ecosistema innovativo europeo, dalla progettazione alla fabbricazione; attrarre investimenti e potenziare la produzione all’interno della Ue; creare un sistema di monitoraggio e di risposta alle crisi. Il progetto prevede di mobilitare 43 miliardi di fondi europei nel settore dei semiconduttori entro il 2030, undici dei quali per la ricerca e sviluppo.
Il 15 giugno 2021 è stato istituto lo Eu-Us Trade and Technology Council (Ttc) per impedire a Pechino l’accesso alle tecnologie più avanzate, che «può essere fondamentale per la capacità dei paesi autocratici di attuare politiche autoritarie, perpetrare violazioni e abusi dei diritti umani, impegnarsi in altre forme di repressione e minare la sicurezza di altre nazioni».
Per arrivare primi ovviamente non bastano i finanziamenti, ma sarà essenziale allocarli al meglio, e contendersi i talenti più brillanti, dai disegnatori, agli ingegneri, ai tecnici, in un settore estremamente specializzato e complesso. La corsa è appena cominciata e per limitare il vantaggio competitivo garantito alla Repubblica popolare cinese dal suo partito-stato, per gli Usa (e per l’Ue) tutto è lecito, anche il protezionismo, le sanzioni e la politica industriale.
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