Secondo il rapporto pubblicato di recente da Caminando Fronteras, un collettivo fondato nel 2002 da attivisti dei diritti umani provenienti da diverse parti della frontiera occidentale euro-africana che lavora per difendere i diritti delle persone e delle comunità migranti, più di 5.000 persone sono morte nei primi cinque mesi di quest’anno nel tentativo di raggiungere la Spagna via mare durante le traversate dell’oceano Atlantico dall’Africa occidentale e nordoccidentale alle isole Canarie.

Un bilancio spaventoso di più di 1.000 migranti morti al mese che squarcia per l’ennesima volta il velo dell’ipocrisia delle politiche migratorie dei leader europei, che da una parte sbandierano successi nel contenimento dei flussi, dall’altra stringono accordi con autocrati o con stati noti per i loro metodi segregazionisti e violenti che costringono i migranti a cambiare rotta e optare per viaggi sempre più pericolosi.

Spostamento

L’Unione europea e gli Stati membri dell’Ue, come sottolinea il report, per cercare di diminuire la migrazione lungo determinate rotte, stanno sempre più convintamente puntando su una collaborazione con paesi terzi noti per violazioni dei diritti. La strategia ha avuto come primo risultato non la riduzione dei flussi migratori verso l’Europa (che, vale sempre la pena ricordare, presentano percentuali sempre molto basse e decisamente inferiori a quelle riferite a migrazioni intrafricane), ma semplicemente lo spostamento verso altri punti di partenza e arrivo operato dai migranti al fine di evitare passaggi in paesi in cui la vita, a causa della violenza di regime, è molto a rischio.

Negli ultimi due anni, dopo aver flirtato e firmato memorandum con paesi come la Turchia di Erdogan o con uno stato non-stato come la Libia, l’Ue, capofila l’Italia, ha puntato tutto sulla Tunisia del despota Saied. Segnalatosi, una volta salito al potere nell’ottobre del 2019, per una serie di misure draconiane e antidemocratiche che hanno portato all’esautoramento delle istituzioni politiche, il presidente tunisino ha fatto parlare di sé nei mesi scorsi per le sue dichiarazioni marcatamente razzistiche seguite da vere e proprie ondate di odio xenofobo in tutto il paese, e per le deportazioni in massa di migliaia di migranti subsahariani verso il deserto: evidentemente un profilo ideale con cui fare accordi per l’Ue.

«Quando una rotta viene chiusa», ha dichiarato a The New Humanitarian lo studioso di fenomeni migratori, scrittore e attivista Sani Ladan, «se ne apre un’altra. C’è stato un tempo in cui i migranti si rivolgevano a rotte marittime che prevedevano passaggi in Tunisia o Libia, ma molti hanno preferito dirigersi verso la Mauritania e il Senegal e tentare la fortuna nella traversata atlantica». I grandi rischi che si corrono arrivando in Tunisia, addirittura per alcuni considerati maggiori di quelli in Libia, hanno causato uno spostamento verso occidente e portato migliaia di migranti a concepire viaggi molto più lunghi e infinitamente più pericolosi in aperto Atlantico rispetto a quelli che si corrono nel Mediterraneo, meno esteso e meno esposto alle correnti.

Il Marocco

Di recente, ai paesi maghrebini a cui la Ue chiede di fare il lavoro sporco, si è aggiunto il Marocco. A seguito dell’incidente del 2022 in cui 23 migranti e richiedenti asilo in gran parte sudanesi sono stati uccisi mentre la folla marciava contro la barriera di confine di Melilla, il Marocco ha stretto ancora di più le maglie delle politiche migratorie, con il sostegno dell’Ue e della Spagna.

I nuovi hub di partenza dei barconi che sostituiscono Tripoli o Tunisi o Sfax, quindi, sono il Senegal o la Mauritania. Quest’ultima, secondo i dati a disposizione di Caminando Fronteras, ha superato il Senegal come principale punto di imbarco e, di conseguenza, come inizio di viaggi della morte: da gennaio ad aprile 2024, sono stati 3.600 i decessi registrati. Nel complesso l’incremento delle morti è stato di quasi il 700 per cento nei primi cinque mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. «Non possiamo normalizzare queste cifre», sembra gridare Helena Maleno, coordinatrice dello studio di Caminando Fronteras, «ed è per questo che dobbiamo pretendere che i diversi paesi antepongano il dovere dei protocolli di salvataggio in mare e la difesa del diritto alla vita alle misure di controllo dell’immigrazione. Non è così complicato, basta non lasciare che le persone muoiano alle frontiere e fornire tutti i mezzi per salvare le vite delle persone a rischio».

© Riproduzione riservata