Il nord dell’Iraq è infestato dalle mine – per lo più italiane – usate nella guerra contro l’Iran. Molti ordigni si spostano a causa delle piogge scarse ma forti che colpiscono terreni sempre più aridi. Le temperature in continua crescita contribuiscono alla propagazione degli incendi causati sempre dalle mine
Le colline che circondano i villaggi del distretto di Halabja, nel nord est dell’Iraq, sembrano uscite da un dipinto. Il manto erboso color ocra è puntellato dal verde degli alberi che sporadici si stringono con le loro radici sui versanti ripidi, leggermente piegati dal vento, mentre in alto splende un cielo di un blu intenso e senza nuvole. Ogni tanto, in lontananza, si scorgono dei puntini grigio-neri disposti in lunghe file difficilmente distinguibili e che altro non sono che greggi di pecore portate al pascolo dagli allevatori locali.
Dietro alla bellezza del paesaggio, però, si nascondono diverse insidie. Fare una passeggiata in montagna o portare a pascolare il gregge in queste terre è molto pericoloso a causa delle mine presenti in tutto il paese e in particolare nel nord.
Il Kurdistan iracheno, la regione autonoma nata nel 2005, è infestata da milioni ordigni nascosti nel terreno fin dagli anni Ottanta, quando l’Iraq combatté una guerra lunga otto anni con il vicino Iran.
Molto di queste mine sono state prodotte in Italia ed esportate ad un certo punto anche in violazione di un embargo internazionale. Quarant’anni dopo, sono ancora pronte a uccidere e a menomare e i cambiamenti climatici non fanno che aggravare una situazione già pessima.
Il pericolo delle mine
Conoscere l’ubicazione precisa delle mine, purtroppo, non è facile. Secondo stime dell’Ikmaa, l’agenzia che si occupa di sminamento in Kurdistan, ci sono ancora circa cinque milioni di mine attive nella regione settentrionale.
Un numero difficile da immaginare, ma che contribuisce a rendere l’Iraq uno dei paesi più contaminati al mondo. Le mine non sono l’unica minaccia alla vita delle persone, ma restano di certo quella più longeva. Le guerre succedutesi dagli anni Ottanta fino al 2017, quando lo stato islamico è stato sconfitto in Iraq, hanno lasciato in eredità ordigni improvvisati, mortai e altre testate pronti a esplodere sotto ai piedi di donne, uomini e bambini, così come al passaggio degli animali.
«Una volta ero a pochi metri dal mio gregge quando una delle mie pecore è saltata su una mina», racconta Rezan, uno degli uomini del villaggio di Parkh, area recentemente liberata dalle mine grazie al lavoro della ong Mag. «Il terreno qui è disseminato di mine anti-persona. Ogni anno perdiamo capi di bestiame e questo rappresenta un grosso danno economico. Alcuni hanno provato a costruire delle recinzioni, ma non sempre basta. Quando gli animali finiscono in un campo minato c’è poco da fare, non puoi certo andare a recuperarli».
La storia raccontata da Rezan è comune a tutti i presenti. Anche gli altri quattro uomini del villaggio raccontano episodi simili, sottolineando come la situazione sia peggiorata da quando il clima si è fatto più arido e le piogge scarse ma torrenziali.
Due anni fa, ricorda ancora Rezan, gli allevatori non erano più in grado di sfamare gli animali a causa della siccità e sono stati costretti a lasciarli liberi perché cercassero il cibo da soli. Non tutti sono tornati. «Gli animali si dirigevano verso i terreni ancora incolti, dove c’era dell’erba. Quelle zone però erano più rigogliose perché sotto terra c’erano le mine, quindi nessuno li utilizzava».
Sui cellulari dei presenti iniziano a comparire foto di pecore e cavalli morti o agonizzanti, dilaniati da uno dei tanti ordigni presenti nella regione, le carcasse lasciate a marcire al sole. Uno degli abitanti del villaggio scuote la testa in segno di disapprovazione, mentre con una mano sgrana meccanicamente la collana da preghiera.
Il clima
La siccità e la scarsità d’acqua sono un problema rilevante per l’Iraq, compresa la regione curda. Secondo un rapporto del 2022 della Banca mondiale entro il 2050 ci sarà un collasso del 20 percento delle risorse idriche del paese, già pesantemente intaccate dalla riduzione del 40 percento dell’acqua del Tigri e dell’Eufrate, i due principali fiumi della regione. A preoccupare è anche l’aumento delle temperature.
Le Nazioni unite stimano un incremento di 2 gradi entro il 2050, con un numero maggiore di giornate caratterizzate da temperature superiori a 50 gradi. I pronostici sulle piogge non sono di certo più rassicuranti. Le precipitazioni diminuiranno fino al 17 percento durante la stagione delle piogge, mentre aumenteranno le inondazioni.
Il peggioramento delle condizioni climatiche del paese ha delle conseguenze negative anche sul fronte della sicurezza nelle aree contaminate dalle mine. Questi ordigni, nascosti a pochi centimetri dalla superficie, possono migrare, cioè spostarsi da un punto all’altro a percorrendo anche diverse centinaia di metri.
«La terra dei campi minati è molto soffice perché nessuno ci mette piede da anni, quindi quando piove o c’è una valanga le mine si spostano facilmente», racconta Akar, uno dei cinque abitanti della zona riunitisi a casa di Rezan. Terreni aridi e piogge forti sono un pessimo connubio in questo caso. «Un campo che fino a un momento prima era pulito all’improvviso non lo è più. Alcune volte compaiono delle mine anche nelle strade che usiamo normalmente e dobbiamo trovare vie alternative finché gli operatori della Mag non le rimuovono».
Lo spostamento delle mine, spiegano gli abitanti del villaggio, rappresenta un pericolo soprattutto per i più piccoli. Intorno ai 10-12 anni i figli dei pastori iniziano ad occuparsi dei greggi di famiglia e sempre prestano la giusta attenzione agli ordigni nascosti sotto il terreno.
Un’altra minaccia è quella dei roghi. Temperature più alte e maggiore siccità, unite a una mina che esplode al passaggio di un animale sono una combinazione perfetta per lo scoppio di un incendio difficile da domare. Spegnere le fiamme che si propagano in un campo minato è impossibile per motivi di sicurezza, pertanto gli incendi possono andare avanti per giorni, distruggendo intere zone boschive, lambendo le case e danneggiando i terreni agricoli.
Una nuova vita
Per gli abitanti dell’area di Halabja, ma non solo, la bonifica dei terreni è indispensabile per iniziare a condurre finalmente una vita normale e beneficiare delle proprie terre in sicurezza. I terreni introno ai villaggi potrebbero essere usati per coltivare, pascolare il bestiame, ma anche per raccogliere legna e altri prodotti che crescono spontaneamente in natura come frutta, verdure o erbe di campo da rivendere al mercato o da usare per la propria sussistenza. «Sarebbe bello anche solo potersi incontrare per bere un tè insieme all’aperto», afferma Rezan, a rimarcare quanto la presenza delle mine privi gli abitanti anche dei piaceri più semplici.
La bonifica delle zone collinari e montagnose del Kurdistan avrebbe dei risvolti positivi anche in termini turistici, portando a un maggior sviluppo economico dell’area. Allo stato attuale, però, è ancora pericoloso avventurarsi da soli per questi monti.
I campi minati non sono sempre correttamente delimitati, in alcuni casi anche a causa della segnaletica rovinatasi negli anni, fino a diventare illeggibile. «Chi vive nell’area ha imparato a riconoscere le aree contaminate, ma chi viene da altre zone del paese non è a conoscenza dei pericoli che corre. Noi cerchiamo di indicargli i percorsi da seguire, ma ogni tanto ne recuperiamo qualcuno da un campo minato».
Vivere in un’area contaminata può voler dire anche essere costretti ad andare via per cercare un luogo migliore in cui lavorare e mettere su famiglia, come sa bene Serdar.
Giovane ragazzo di Parkh, Serdar stava pensando di spostarsi in un altro villaggio per affittare una terra da coltivare, ma grazie al lavoro del Mag ha nuovamente a disposizione i terreni di famiglia. «Con quello che guadagno posso anche mettere su una famiglia», spiega il ragazzo, mentre tiene in braccio la nipotina che ha finalmente ceduto al sonno.
Gli occhi di Rezan si fermano un attimo sulla bambina, prima di concludere il suo discorso. «Speriamo che tutta la terra venga bonificata presto. Solo così potremmo finalmente toglierci questo peso dalle spalle».
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