- Sebbene ciò possa sembrare contraddittorio, al fine di attrarre l’attenzione degli statunitensi, Pyongyang crea una crisi tramite i lanci missilistici.
- Questo potrebbe paradossalmente essere un segnale positivo: Kim Jong Un intende massimizzare gli strumenti di deterrenza del paese prima di dirsi disposto a intavolare un tavolo negoziale con Joe Biden.
- Un altro fattore dietro alla scelta di riprendere i lanci è la cronica insicurezza del regime, che vive i suoi giorni come se si trovasse in una trincea dalla quale difendersi dai potenziali attacchi dei nemici esterni.
L’inizio dell’anno per la Corea del Nord è stato particolarmente intenso sul fronte missilistico. I lanci di vettori si sono ripetuti instancabilmente, mettendo fine in maniera inequivocabile alla moratoria che Pyongyang si era auto imposta nel 2018, a seguito della distensione innescatasi dopo il primo incontro del leader Kim Jong Un con il presidente americano Trump.
Solo nel mese di gennaio Pyongyang ha proceduto al lancio di sette missili: un attivismo che ha naturalmente provocato la ferma condanna della comunità internazionale. L’allarme è scattato soprattutto a causa della natura dei vettori testati; tre settimane or sono, alla presenza del leader, la Corea del Nord ha effettuato il lancio di quello che presumibilmente potrebbe essere un missile ipersonico che, per sua natura, sarebbe in grado di evitare l’intercettazione da parte dei sistemi anti missile americani e giapponesi.
Domenica scorsa è stato il turno del Hwasŏng-12, un missile balistico a medio raggio, che ha percorso una distanza di circa 800 chilometri, inabissandosi poi nelle acque al largo del Giappone, raggiungendo un apogeo di duemila chilometri. A favore di quanti hanno considerato quest’ultimo lancio un fallimento a causa della ridotta distanza percorsa dal vettore è importante sottolineare come Pyongyang abbia scelto, come già fatto in passato, di proiettare il missile facendogli assumere un angolo particolare, che non minacciasse, quindi, la sicurezza di alcun paese terzo.
Nel caso in cui, tuttavia, il missile dovesse essere lanciato a piena potenza e con una traiettoria standard, finalizzata a colpire un determinato target, la distanza che esso potrebbe presumibilmente percorrere sarebbe di circa quattro mila chilometri. Insomma, i continui passi in avanti compiuti da Pyongyang in ambito missilistico sono palesi e non si fermeranno qui, se, come dichiarato da Kim Jong Un nel corso dei lavori dell’ottavo congresso del partito, tenutosi qualche settimana fa, lo sviluppo della tecnologia satellitare (e dei droni) costituisce uno degli obiettivi principali del prossimo piano quinquennale.
Un regime insicuro
Del resto, le foto che inquadrano parte della penisola coreana e del Giappone restituite dallo spazio dal vettore – eccezionalmente pubblicate dagli organi di informazione nordcoreani, nonostante i dubbi sulla autenticità non siano ancora stati sciolti – potrebbero testimoniare il perfezionamento delle capacità di rientro nell’atmosfera terrestre dei missili nordcoreani: ciò si tradurrebbe in un’aumentata pericolosità per gli stati vicini.
Ciò che è necessario chiedersi è ovviamente la ragione di questa rinnovata assertività da parte di Pyongyang. I fattori dietro alla scelta di riprendere i lanci missilistici sono molteplici. Il primo attiene alla cronica insicurezza del regime, che vive i suoi giorni come se si trovasse in una trincea dalla quale difendersi dai potenziali attacchi dei nemici esterni.
Questa sfiducia nei confronti dell’ambiente internazionale, nutrita in un certo qual modo anche nei confronti di Cina e Russia, spinge il regime a dotarsi di un arsenale sempre più avanzato e complesso, che va al di là di ciò che si potrebbe ritenere sufficiente per parare i colpi. In tal senso, Kim e i suoi hanno la costante necessità di introdurre nuovi e più avanzati sistemi d’arma che, ovviamente, vanno adeguatamente testati per comprenderne il reale ed effettivo funzionamento.
Attirare l’attenzione
Una seconda ragione fondamentale ha a che fare con la sostanziale marginalizzazione del “dossier nordcoreano” da parte della comunità internazionale e significativamente degli Stati Uniti. Se vuole che le Nazioni Unite prendano in considerazione la possibilità di alleggerire le sanzioni introdotte ai suoi danni proprio a causa del programma missilistico e nucleare, la Corea del Nord ha l’assoluta necessità di intraprendere dei negoziati con Washington.
Sebbene ciò possa sembrare contraddittorio, al fine di attrarre l’attenzione degli statunitensi, Pyongyang crea una crisi e, con tutta probabilità, ciò è esattamente alla base dei recenti lanci. Questo, quindi, potrebbe paradossalmente essere un segnale positivo: Kim intende massimizzare gli strumenti di deterrenza del paese prima di dirsi disposto a intavolare un tavolo negoziale con Biden.
Allo stato attuale, tuttavia, l’ostacolo maggiore sta principalmente nel fatto che il presidente americano non solo è occupato a fronteggiare la possibile crisi ucraina ma ha anche dimostrato – a differenza del suo predecessore – di non desiderare alcun avvicinamento o apertura al regime nordcoreano. Biden potrebbe però tornare sui suoi passi, concedendo alla Corea del Nord la sua attenzione, nel caso in cui l’assertività di quest’ultima dovesse svilupparsi in maniera più radicale, come, per esempio, attraverso l’effettuazione di un nuovo test nucleare (l’ultimo avvenne alla fine del 2017).
Non è possibile, poi, non ricordare come i lanci missilistici mirino anche a ridare lustro al regime in prospettiva interna: in un periodo in cui l’economia versa in gravi condizioni – a causa delle sanzioni internazionali, della mancanza di riforme e del timore nei confronti della pandemia, che ha costretto il regime da due anni a questa parte a sigillare le frontiere con la Cina – queste azioni testimonierebbero come le priorità nazionali in ambito di difesa non subiranno alcun allentamento.
Nonostante Kim abbia anche di recente confermato la sua determinazione di migliorare le condizioni di vita della popolazione nordcoreana, egli nondimeno continua a chiedere loro degli ingenti sacrifici volti a rintuzzare le provocazioni provenienti da un ambiente esterno crescentemente instabile e minaccioso.
Stringere la cinghia
L’imponente apparato propagandistico ha già da tempo cominciato a richiamare la cittadinanza all’“Ardua marcia”, uno slogan già utilizzato alla metà degli anni Novanta quando la carestia si abbatté violenta sulla Corea del Nord, chiedendo ai civili di “stringere la cinghia” in una situazione in cui il regime ha necessità di investire in spese militari necessarie per assicurare la difesa della nazione.
È necessario sottolineare, infine, che tra circa un mese i sudcoreani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente della Repubblica: i nordcoreani non sono nuovi a questi “colpi di avvertimento” nei confronti dei candidati, in particolare di quelli di ispirazione conservatrice, maggiormente inclini ad assumere una postura più muscolare verso Pyongyang.
Un’ultima significativa constatazione è doverosa: il recente lancio effettuato dalla Corea del Nord avviene a qualche giorno di distanza dall’apertura dei Giochi Olimpici invernali organizzati dalla Cina, per la quale tale evento sportivo è certamente fonte di prestigio internazionale e di estrema rilevanza politica.
Il fatto che Pyongyang stia “minacciando” i giochi di certo non è stato apprezzato dalla leadership cinese, che considera questo genere di iniziative come ai confini della “linea rossa” che non dovrebbe essere superata per non incorrere nell’ira di Pechino. Presumibilmente, per tutta la durata dei giochi la Corea del Nord si asterrà dal compiere nuove eclatanti azioni militari, ma sarà necessario comprendere come evolverà la situazione una volta che la Olimpiadi invernali saranno terminate.
© Riproduzione riservata