Quando la sigla No Labels è apparsa sulla scena a Washington, nel lontano 2010, sembrava l’ennesimo noioso think tank, che in questo caso aveva il noiosissimo scopo di riportare in auge «il centrismo» e la «cooperazione bipartisan».

Ultimamente da più parti si insinua un’ipotesi più sottile: in realtà il gruppo sta fattivamente aiutando i repubblicani in vista delle presidenziali 2024, sia nell’ipotesi in cui il candidato sia Donald Trump, sia qualora Ron DeSantis dovesse spuntarla.

I fondatori erano Nancy Jacobson, un’ex fundraiser in forza all’apparato democratico, e il senatore Joe Lieberman, già candidato alla vicepresidenza con Al Gore nel 2000 e diventato via via sempre più moderato fino a concedere il suo sostegno al candidato repubblicano John McCain nel 2008 con la formula «vale più la sicurezza nazionale del mio partito».

Per anni le iniziative di No Labels hanno sortito poco interesse al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori, fino all’elezione di Donald Trump, visto da più parti come il prodotto avvelenato di una crescente divisione su ogni tema tra democratici e repubblicani. Così, su loro spinta, il 23 gennaio 2017 è nato un gruppo informale alla Camera dei Rappresentanti, dal nome pretenzioso: “Problem Solvers Caucus”.

Bisogna dire che, dopo la presidenza di Trump, il gruppo, composto da una sessantina di rappresentanti di entrambi i partiti, è stato decisivo nel passaggio di alcune leggi bipartisan della presidenza Biden, come il Piano di rinnovo infrastrutturale e la legge per il controllo della diffusione illegale di armi.

Tasse e alta finanza

Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2024 però, da parte dei democratici ci si chiede a che gioco stia giocando questa organizzazione. Già nel 2018 un’indagine del sito d’informazione The Daily Beast aveva individuato un tratto comune di una cinquantina di donatori a No Labels: facevano tutti parte dell’alta finanza.

Si spiegherebbe quindi come mai i membri di questo gruppo centrista siano particolarmente attivi nel fermare tutti i tentativi di aumento della tassazione sui grandi fondi d’investimento. Un sospetto che grava sul gruppo sin dalla fondazione, con l’editorialista del New York Times Frank Rich che aveva scritto un editoriale nel 2010 sulla scarsa utilità di un’altra organizzazione dalle «finanze poco trasparenti».

Lo scorso aprile un articolo uscito sul magazine progressista The New Republic evidenziava come tra i finanziatori dell’organizzazione ci fosse uno dei più celebri donatori repubblicani: il miliardario texano Harlan Crow, già noto per la sua chiacchierata vicinanza a Clarence Thomas, giudice conservatore della Corte suprema a cui Crow avrebbe offerto numerose vacanze extralusso.

Pressioni su Manchin

Intano le loro ultime mosse sembrano dare ragione ai critici. Anzitutto la pressione sul senatore Joe Manchin di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, un’impresa che ruberebbe ai dem un senatore che per quanto sia piuttosto difficile da gestire, fornisce al gruppo progressista un voto spesso decisivo in uno stato come il West Virginia da anni pesantemente orientato verso i repubblicani.

Non solo, ruberebbe anche a Biden quei cruciali voti moderati che occorrono per vincere le presidenziali. Qualora Manchin non accettasse, No Labels ha fatto un altro discutibile annuncio: in caso di vittoria di Ron DeSantis alle primarie repubblicane, non presenteranno candidati, come ad avallare la tesi che DeSantis sia più moderato del frontrunner Donald Trump, un’affermazione piuttosto azzardata se si analizza la sua linea estremista negli ultimi anni su una serie di argomenti come i diritti riproduttivi, le restrizioni sul Covid e persino i programmi scolastici e i libri che devono stare nelle biblioteche pubbliche.

Infine un’ultima rivelazione sulle pagine di Mother Jones, rivista vicina alla sinistra radicale: No Labels usa per la raccolta fondi online Anedot, un servizio di finanziamento a gruppi politici noto per essere vicino alla destra trumpiana. Utilizzato sia da alcune organizzazioni antiabortiste (la Susan B. Anthony List), sia da personaggi come il deputato della Florida Matt Gaetz e il senatore Ted Cruz.

Il sistema è semplice, per ogni donazione, Anedot trattiene il 4 per cento più 30 centesimi per la transizione. In questo modo, indirettamente, chi dona sta di fatto sostenendo realtà dell’area ipertrumpista. Un sacco di criticità che certo non aiutano l’instaurarsi di una vera cooperazione bipartisan, ma anzi contribuiscono a cristalizzare uno status quo che, per quanto migliorato, è ben lontano dai livelli di cooperazione bipartitica degli anni della Guerra fredda.

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