- Il morale è un fattore importante e allo stesso tempo sottovalutato in ogni contesto bellico. La guerra in Ucraina non fa eccezione.
- I giovani coscritti russi sono stati mandati in Bielorussia con la scusa di un’esercitazione e poi spediti al fronte nottetempo, solamente gli ufficiali sono stati informati poche ore prima.
- Le ampie manifestazioni nelle poche cittadine davvero occupate, come Kherson, hanno squarciato il velo della propaganda e il dubbio ha iniziato a serpeggiare tra i giovani soldati sui reali obiettivi della campagna.
Il morale è un fattore importante e allo stesso tempo sottovalutato in ogni contesto bellico. La guerra in Ucraina non fa eccezione. Il portavoce del Pentagono John Kirby ha affermato che a un mese dall’invasione i soldati russi hanno il morale a pezzi.
Il funzionario statunitense ha citato casi di assideramento, di resa o di unità che si danno al saccheggio. Certamente non sono i sintomi di un esercito trionfante e determinato alla vittoria.
In uno studio del 2020, l’accademico norvegese Jokull Johannesson ha sostenuto che l’alto morale ucraino abbia bilanciato l’asimmetria con i russi nella guerra del Donbass, garantendo la tenuta del fronte nonostante la disparità delle forze.
L’esempio più eclatante è quello dei veterani ucraini soprannominati “cyborg”, che hanno resistito per mesi tra le macerie dell’aeroporto di Donetsk. Dinamica che si sta ripetendo adesso nel drammatico assedio di Mariupol.
I giovani coscritti russi sono stati mandati in Bielorussia con la scusa di un’esercitazione e poi spediti al fronte nottetempo, solamente gli ufficiali sono stati informati poche ore prima. Una scelta che non aiuta a costruire un clima di fiducia tra i soldati di leva e i loro comandi.
Le reclute sono state bombardate di propaganda che dipingeva l’Ucraina come un paese ostaggio di un governo nazista, ma composto di fratelli slavi da liberare e riunire nel Russkij mir (mondo russo, ma anche pace russa).
Secondo questa narrazione, gli ucraini avrebbero dovuto accogliere a braccia aperte gli invasori e non avrebbero opposto resistenza. Deve essere stato molto traumatico e demoralizzante per i soldati russi vedersi insultati dai civili – che per di più parlavano russo a Kharkiv, a Sumy e a Melitopol – e ostacolati nell’avanzata, quando non addirittura bersagliati da molotov e cecchini.
Le ampie manifestazioni nelle poche cittadine davvero occupate, come Kherson, hanno squarciato il velo della propaganda e il dubbio ha iniziato a serpeggiare tra i giovani soldati sui reali obiettivi della campagna.
Russofoni e russofili
I bombardamenti indiscriminati hanno rafforzato l’identità ucraina e la determinazione alla resistenza, anche nelle città russofone come Kharkiv, in cui i politici che prima mostravano simpatia o neutralità verso Mosca hanno categoricamente condannato l’invasione.
Se si legge il conflitto con la sola lente della geopolitica, che è una disciplina diversa dalle relazioni internazionali, si rischia di commettere l’errore per cui russofono equivale a russofilo. I commenti del sindaco di Odessa o quelli dei cittadini di Izium e Sumy hanno smentito questa semplificazione.
Se forse prima della guerra l’Ucraina era davvero divisa come ha raccontato Putin, l’attacco ha provocato una formidabile spinta unitaria, che porterà conseguenze decennali su come gli ucraini si percepiscono rispetto ai russi e sui sentimenti spezzati di fratellanza slava.
L’accademico americano Ben Connable ha studiato il morale delle due parti. Ha identificato 17 fattori per misurare la volontà di combattere degli ucraini e quelli più significativi sono la minaccia esistenziale posta da un’invasione, l’identità nazionale, il supporto sociale e della comunità internazionale, la leadership popolare di Zelensky.
Nel caso dei russi, i valori che condizionano di più il morale, secondo Connable, sono invece le aspettative mancate di una facile vittoria, la resistenza accanita, l’isolamento internazionale di Mosca e il fatto che la Russia non sta applicando la sua solita dottrina militare.
Nuova dottrina
Quest’ultimo punto può sembrare opinabile, ma è suffragato da almeno tre elementi: guerra convenzionale, struttura degli stati maggiori e capacità di manovra.
L’esercito si è dimostrato seriamente impreparato ad una guerra convenzionale, dopo un decennio in cui il generale Gerasimov ha teorizzato la primazia della guerra asimmetrica.
La scelta di Putin ha colto quindi impreparate le forze di terra russe, che non combattono una guerra su larga scala contro un esercito regolare da decenni, con la brevissima e limitata eccezione della Georgia. Persino il prestigioso Institute for the Study of War statunitense nel 2020 riteneva fuori discussione una guerra convenzionale da parte della Russia, considerata ormai il passato.
Il secondo elemento che ha pesato nel morale russo è la tattica della leadership decapitation impiegata dalle forze speciali ucraine tramite cecchini e bombardamenti mirati, con l’uccisione di due generali di divisione e quattro di brigata, causando la paralisi del processo decisionale e della catena di comando.
Questo si spiega con due fattori: il primo è la diversa struttura gerarchica delle forze armate russe rispetto a quelle occidentali e il secondo è la composizione degli stati maggiori.
Nella dottrina Nato i sottufficiali sono la spina dorsale della forza e sul campo viene loro delegata la gestione delle unità tattiche. Nell’esercito russo tale ruolo è affidato per gran parte agli ufficiali subalterni, mentre i sottufficiali sono relegati a funzioni di specialisti senza responsabilità.
Inoltre, gli stati maggiori russi hanno funzioni di comando e controllo molto centralizzate e tendono ad essere molto più ristretti di quelli Nato, che contano decine se non centinaia di persone.
L’eliminazione di un alto ufficiale rende quindi necessaria la sua sostituzione con uno esterno, in assenza di un vice qualificato, che ha meno confidenza e conoscenza del suo staff. Perciò l’eliminazione di comandanti di alto grado che si recano in prima linea per dirigere le operazioni ha effetti devastanti sul morale dei reparti e sulla riorganizzazione operativa.
Il terzo elemento riguarda le capacità tattiche di manovra. Le imboscate ucraine condotte grazie alle armi anticarro come i Javelin americani, gli Nlaw inglesi, i Panzerfaust tedeschi e gli At4 svedesi costringono i russi a mantenere costantemente l’allerta senza abbassare la guardia.
La dottrina russa dà molta importanza alla manovra, ma ha dimostrato in Ucraina di non saperla attuare, sia a livello tattico che a quello operativo, con colonne immobilizzate, salienti offensivi ridotti a sacche, scarsa coordinazione con aviazione e artiglieria.
Una colonna di marcia dovrebbe essere in grado di assumere un assetto da combattimento quando incontra il nemico ed è previsto che sia preceduta a circa 60 chilometri da gruppi di ricognizione ma così non è avvenuto, con le colonne bersagliate da micidiali imboscate sui fianchi.
La consapevolezza che i mezzi corazzati siano vulnerabili alle armi ucraine rende i carristi russi più insicuri e arrendevoli, spesso abbandonano i mezzi temendo di morire carbonizzati.
L’attuale dottrina russa, a differenza di quella sovietica, tende a evitare ingenti perdite, eppure stime ci dicono che le truppe di invasione hanno ormai fuori combattimento circa 40mila unità, cioè un quinto della forza iniziale schierata. Stime prudenti parlano di 7mila morti russi, altre di 10-12mila.
Perdite comunque enormi in un mese, se comparate a tutti i conflitti russi precedenti, che non giustificano una manovra diversiva su più assi per distrarre le forze ucraine da un presunto obiettivo strategico del sudest, come ha sostenuto qualcuno.
«Ci hanno fregati»
Gruppi di prigionieri russi sono stati filmati dall’apparato di comunicazione delle forze armate di Kiev, si tratta di giovani studenti del Donbass che sostengono di essere stati costretti dai filorussi al reclutamento per combattere.
Non sono i primi soldati che fanno “abiura” e condannano l’invasione, dicendo di essere stati ingannati dal Cremlino. Si può certamente obiettare che le affermazioni di prigionieri di guerra non sono spontanee o credibili, ma sui canali Telegram sono emersi altri video.
Non si tratta di prigionieri, bensì di soldati del Donbass integrati nella 15a brigata motorizzata, che si lamentano con veemenza di essere carne da cannone, mandati allo sbaraglio con vecchi fucili per combattere a Sumy, qualcuno dice «ci hanno fregati», hanno paura di morire, altri accusano la Difesa russa di averli costretti ad arruolarsi.
Il video si conclude con la richiesta di farlo circolare per denunciare il loro trattamento. Il direttore della Gchq, l’agenzia britannica incaricata della Signal intelligence (Sigint) al pari della Nsa americana, ha tenuto un discorso all’Australian National University.
Dal suo osservatorio privilegiato, fatto di intercettazione delle telecomunicazioni e immagini satellitari, la Gchq ha potuto valutare il morale dei russi. Nel suo intervento, il direttore sir Jeremy Fleming ha rivelato che soldati russi si sarebbero rifiutati di eseguire gli ordini arrivando persino a sabotare il loro stesso equipaggiamento pur di non combattere.
A causa del caos e della disorganizzazione in cui versano le forze russe, afferma Fleming, avrebbero addirittura abbattuto per errore un loro aereo.
Anche l’intelligence ucraina (Sbu) ha intercettato e divulgato conversazioni in cui soldati russi al fronte si lamentano con i parenti della pessima organizzazione, del mancato recupero dei caduti e di voler tornare a casa al più presto.
In un’altra conversazione intercettata e pubblicata dai servizi di Kiev, alcune reclute russe si chiedono come procurarsi munizioni ucraine per spararsi alle gambe ed essere mandati negli ospedali delle retrovie senza suscitare sospetti nella gerarchia.
Alcune lettere filtrate di soldati ricoverati in un ospedale di Rostov sul Don riflettono questo clima: i soldati convalescenti e traumatizzati denunciano di essere stati mandati al massacro, rievocano episodi di confusione e si rifiutano di tornare al fronte. Prova ne è la scelta del Cremlino di impegnare mercenari del gruppo Wagner, ceceni fedeli a Kadyrov, nonché miliziani siriani e africani, veterani di altri conflitti.
È circolato online anche il video del comandante della 37ª brigata motorizzata portato in barella gravemente ferito alle gambe, secondo una versione a causa di uno soldato russo che l’avrebbe investito perché ritenuto responsabile delle perdite della sua unità. Altri episodi di proteste e rifiuto di combattere sono emersi nelle ultime settimane.
La polizia interna
Se in epoca sovietica c’erano i temuti commissari politici, oggi ci sono Rosgvardija e polizia militare. Il primo è un corpo di gendarmeria istituito nel 2016, che non fa parte del ministero della Difesa ma risponde direttamente al presidente Putin.
Conta 340mila uomini ed è preposta al controllo interno del paese, anche in caso di insurrezioni o destabilizzazioni. Tuttavia, interi reparti sono stati mandati in Ucraina per controllare le città occupate, ma alcune colonne sono state distrutte nei primi giorni dell’invasione a causa della totale mancanza di coordinamento con l’esercito.
La polizia militare, invece, è stata costituita solo nel 2012 e dispone solo di 10mila uomini. In epoca sovietica, erano gli stessi comandanti a impartire le misure disciplinari, mentre nella prima fase della Russia si è creato un vuoto, che ha favorito fenomeni di nonnismo estremo che hanno influito sulla composizione delle forze armate e sul morale delle truppe.
Si tratta della cosiddetta dedovshchina, già in voga nell’Unione sovietica, che prevede l’umiliazione delle reclute con pesanti angherie sui più giovani da parte dei veterani, creando un clima stressante e traumatico.
Nelle caserme, quando l’ufficiale al comando se ne va per il fine settimana, i sottufficiali più anziani possono abusare impunemente delle loro vittime, con episodi che talvolta terminano in incidenti mortali.
In un caso del 2019 riportato dal Guardian, un coscritto è impazzito a causa delle torture subite e ha ucciso otto commilitoni responsabili, inclusi due ufficiali. La dedovshchina si verifica anche nella campagna in corso ed è considerata una delle cause del basso morale russo.
Molte stime ritengono che i coscritti costituiscano quasi il 30 per cento delle truppe russe in Ucraina, con evidenti ricadute.
Canti e molotov
Sul fronte opposto, come osservato dal ricercatore statunitense Connable, gli ucraini hanno dimostrato una formidabile volontà di resistenza. Un esempio è il video circolato da Odessa, dove civili caricano sacchi di sabbia preparandosi ad un possibile sbarco anfibio russo, mentre un ragazzo suona alla batteria “It’s my life” di Bon Jovi.
Un caso emblematico è l’uomo che alla periferia di Kiev ha dissotterrato il fucile con baionetta del 1943 usato da suo nonno nell’Armata rossa per combattere gli invasori, questa volta arrivati da est.
Oppure le centinaia di donne che a Dnipro e Leopoli preparano bottiglie molotov cantando. La frase pronunciata alla radio dal comandante ucraino – sopravvissuto e liberato – dell’Isola dei Serpenti: “Nave russa, vaffanculo” è ormai stampata sulle magliette dei difensori e le foto di trattori che trainano mezzi russi sono a loro volta entrate nell’iconografia del conflitto.
La canzone sul drone Bayraktar è diventata un inno ed è condivisa su Instagram e TikTok per celebrare la distruzione delle colonne degli invasori.
L’apparato di comunicazione e propaganda ucraino fa di tutto per mantenere alto il morale della resistenza, talvolta anche ingigantendo il numero delle perdite avversarie o amplificando notizie false o non verificate.
È bene essere consapevoli che nella fog of war, la nebbia della guerra, entrambe le parti possono ricorrere a queste tecniche. C’è chi lo fa con la disperazione di difendere la propria terra e chi invece usa la maskirovka per aggredire.
Uno di questi casi è la leggenda creata attorno al fantasma di Kiev, il pilota dell’aeronautica ucraina che avrebbe abbattuto innumerevoli caccia avversari. Il mito prende sicuramente spunto dalle gesta di vari ufficiali che hanno difeso i cieli sino a soccombere, ma difficilmente quel pilota ha un vero volto.
I frequenti video pubblicati dal presidente Zelensky servono a galvanizzare i suoi e a dimostrare di essere ancora a Kiev, mentre la propaganda del Cremlino lo accusa di essere fuggito altrove.
È sempre più evidente l’importanza del morale e della volontà di combattere, che potrebbe rivelarsi il fattore decisivo della guerra, con buona pace di chi dal primo giorno invitava gli ucraini ad arrendersi e accettare una dittatura di Mosca per gli anni a venire.
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