Chissà se Jean-Marie Le Pen, nella casa di riposo di Garches – dov’era stato portato poche settimane fa – ha potuto commentare la grande ascesa dei suoi nipotini politici in tutta Europa e non solo. Chissà se colui che - pur tra batoste, tradimenti, oltre venticinque condanne e persino l’Eliseo sfiorato - si è potuto fregiare del titolo di “patriarca” di tutte le ultradestre d’Europa ha avuto modo di apprezzare la potenza di fuoco di quello che un tempo era il Front National, la prima delle forze di super-destra a superare le risultati a doppia cifra spesso scalzando le sinistre dalle periferie e dalle campagne.

Chissà se ha fatto in tempo a vedere il miliardario Elon Musk tifare per i cugini tedeschi dell’AfD e varie altre formazioni iper-sovraniste qua e là nel Vecchio Continente e chissà come avrebbe giudicato, oggi, la possibilità di vedere il capo dell’Fpö veleggiare verso il governo d’Austria.

Di sicuro, con Jean-Marie Le Pen – morto ieri a 96 anni – viene sepolta definitivamente la destra nazionalista come la conoscevamo una volta: quella nuova, quella di oggi, condivide con il passato tante ossessioni e diversi slogan, dai migranti alla sicurezza, ma rispetto a quella è una turbo-destra populista che non conosce i limiti di quella vecchia, che nuota in un mare molto diverso, un oceano nero in cui navigano Vladimir Putin e Donald Trump, in cui i social muovono i milioni, in cui i satelliti di SpaceX fanno politica ben oltre le aule parlamentari o i consigli comunali della Francia profonda che tanto ha dato al vecchio Le Pen.

Il patriarca dell’estrema destra

Figlio di un pescatore e di una sarta in Bretagna, studente di diritto e di scienze politiche a Parigi, poi arruolatosi nei parà per combattere in Indocina, poi nella Legione straniera, anche in Algeria e in Egitto, con l’ombra di aver praticato la tortura (come rivelarono molti anni dopo i media francesi), negli anni settanta – quando contribuì a fondare il Front National - colui che sarebbe diventato il patriarca delle destre pareva una parodia ambulante dell’uomo della destra estrema: con quei capelli pettinati all’indietro e la benda sull’occhio che usava portare all’epoca, capitava che attaccava urlando i suoi avversari, spesso lasciandosi andare ad osservazioni antisemite che non dispiacevano affatto ai suoi seguaci, nostalgici di Vichy, veterani della guerra d’Algeria, spesso iper-cattolici.

«È stato il menhir della destra francese», scrive oggi Le Figaro. Guida carismatica del FN fino al 2011, contrariamente alla figlia Marine Le Pen che lo spodestò, lo cacciò dal partito e formò l’odierno Rassemblement National volto a rendere la iper-destra più salottiera (la famosa dédiabolisation), Jean-Marie si sentiva a suo agio nei panni dell’instancabile disturbatore ai lati estremi della vita politica.

E infatti per le forze democratiche fu quasi un fulmine a ciel sereno quando nel 2002 vinse il primo turno delle presidenziali contro Jacques Chirac: un trionfo per il patriarca, lo stesso che non sopportava che la figlia, dopo, avrebbe avuto più successo di lui.

Radicale fino alla fine

Le Pen è stato il capo assoluto del Front national dal 1972 al 2011, è stato eletto sia al parlamento francese che a quello europeo, e sia qui che là è stato ben attento a cogliere ogni occasione possibile per incendiare il dibattito pubblico. Contro i migranti («un milione di disoccupati sono un milione di stranieri di troppo in Francia», diceva un suo vecchio slogan), contro l’Ue, contro l’«invasione» della Francia.

Anche dopo la cacciata, per mano di sua figlia Marine, di proporzioni shakespeariane, dal partito che era stata la sua stessa creatura (alle cui celebrazioni del cinquantennale lui non venne invitato), il vecchio Le Pen continuava a dare interviste su YouTube nella sua residenza di Montretout. Per dire, poco meno di due anni fa diceva la sua anche sull’Ucraina, prendendosela con Zelensky, «ubriaco di successo, presto pretenderà anche l’atomica».

Oggi, per Jean-Marie, il partito guidato da sua figlia era diventato troppo “per bene”. Comprensibile, dal punto di vista di un uomo che negli anni Ottanta aveva definito le camere a gas naziste «un dettaglio della seconda guerra mondiale».

Dicono che negli ultimi tempi non poteva concentrarsi su alcunché per più di tre minuti, che non poteva muoversi da solo senza l’aiuto di qualcuno, la scorsa estate il suo stato di salute non gli permise di presentarsi a un processo per appropriazione indebita di fondi europei da parte del suo partito. Ma una cosa è sicura: non era contento che di nuovo Marine si stesse avvicinando pericolosamente all’Eliseo.

Il tradimento è imperdonabile, per il patriarca delle destre.

© Riproduzione riservata