Le forze di sicurezza birmane stanno usando proiettili veri contro la folla per reprimere le manifestazioni contro il golpe militare. Nella città di Mandalay sono morti due manifestanti e altri trenta sono rimasti feriti
Il Myanmar è uno stato in fibrillazione. Le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla e ucciso altre due persone, ma i birmani continuano a protestare da settimane contro la giunta militare che lo scorso 1º febbraio ha rovesciato il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi.
Le forze di sicurezza non hanno intenzione di ascoltare le rivendicazioni del popolo e da giorni hanno usato metodi violenti per reprimere il dissenso. In totale sono state arrestate 500 persone, ma le ultime notizie riportano almeno due persone uccise e trenta ferite durante le proteste nella città di Mandalay. Questa volta la polizia non ha usato solo i manganelli ma anche proiettili veri, così come già denunciato da Amnesty International nei giorni scorsi.
Il bilancio totale dei morti è salito a tre, dopo che ieri è morta la prima vittima del regime militare. Era una ragazza di vent’anni che lo scorso 9 febbraio è stata raggiunta da un proiettile sulla nuca durante le proteste. A nulla è servito il casco che indossava e l’intervento in ospedale. Dopo poco più di una settimana la sua famiglia ha deciso di staccare la spina del macchinario che la teneva ancora in vita. «Il suo cervello era già morto» ha detto la sorella.
Il golpe
Il 1º febbraio l’esercito ha attuato un golpe militare e ha arrestato i membri della Lega nazionale per la democrazia (Nld), partito di Aung San Suu Kyi, vincitrice delle ultime elezioni dell’8 novembre scorso e del premio Nobel per la pace nel 1991. I membri dell’esercito hanno dichiarato lo stato di emergenza e arrestato la stessa San Suu Kyi, ora accusata di import illegale di walkie talkie e di aver violato la normativa anti Covid-19. Rischia più di tre anni di prigione. I militari hanno promesso nuove elezioni democratiche nei prossimi mesi, mentre i manifestanti chiedono invece il ripristino del governo democratico.
Il paese non è nuovo al controllo da parte dell’esercito, infatti, dal 1962 al 2012 il Myanmar è stato sotto un violenta dittatura militare e ora rischia di ricascarci.
La reazione dei leader internazionali
La comunità internazionale si è riunita più volte nelle sedi delle Nazioni unite per discutere del caso, ma per ora la resistenza della Cina, alleato del paese asiatico, ha mitigato le sanzioni. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato l’imposizione di sanzioni contro i leader militari che hanno guidato il colpo di stato. Il presidente democratico ha detto che «serve un immediato ritorno alla democrazia» e che «i militari devono rinunciare al potere che hanno conquistato e dimostrare rispetto per la volontà del popolo birmano, espressa nelle elezioni dell’8 novembre».
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