Non ci sono solo i ponti abbattuti dall’esercito ucraino in Russia o l’avanzata russa in Ucraina. Ci sono anche le accuse della Russia agli Usa e gli affondi di Donald Tusk. Ci sono le indagini tedesche sul sabotaggio di Nord Stream 2, che toccano l’Ucraina e che arrivano a lambire un paese membro dell’Ue, la Polonia; e c’è il dimezzamento degli aiuti della Germania a Kiev: si sapeva già che nel bilancio 2025 fossero previsti solo 4 miliardi invece degli 8 attuali, ma arrivano ulteriori conferme che non ci saranno stanziamenti aggiuntivi.

Si accavallano anche le ricostruzioni giornalistiche che mostrano il versante sabotatore di Kiev, non solo sulla vicenda del gasdotto ma pure su quella dei negoziati. Tra controffensive, inchieste giudiziarie e giornalistiche, sono giorni di fibrillazione su ogni fronte: sul campo di battaglia come su quello dell’opinione pubblica.

L’indagine penale avviata questo sabato dai servizi segreti russi contro i due giornalisti Rai Stefania Battistini e Simone Traini per aver «attraversato illegalmente il confine» mostra bene come i due livelli si intreccino. Anche Nick Paton Walsh di Cnn è nel mirino dell’Fsb per un reportage da Sudzha.

Il cuscinetto di Zelensky

Non c’è solo la statua di Lenin col volto dimezzato dai colpi e le finestre divelte alle spalle, nella piazza di Sudzha. I trionfi simbolici che Volodymyr Zelensky può esibire nell’area di Kursk, in Russia, hanno la forma anche dei ponti distrutti sul fiume Seym, o la voce degli abitanti russi che raccontano di come fino a un attimo prima il Cremlino avesse provato a mettere sotto silenzio i rischi di un’avanzata ucraina. Stando al governo britannico, il Cremlino sta rallentando l’accesso alle informazioni e non è da escludere che in autunno blocchi del tutto Whatsapp e YouTube.

Da quando è iniziata, il 6 agosto, l’operazione sul suolo russo ha fatto avanzare gli ucraini in 82 località e 1150 chilometri quadrati, stando a quanto riferisce il governo di Kiev. Il weekend è cominciato con Volodymyr Zelensky che assicurava: «Stiamo rafforzando le nostre posizioni nell’area di Kursk e ci espandiamo». Il presidente ucraino ha anche fatto riferimento alla cattura di soldati russi che a suo dire faciliterà lo scambio con Mosca per liberare soldati e civili ucraini.

L’intera operazione è volta a creare una sorta di zona cuscinetto, depotenziando sul fronte logistico e militare le possibilità di attacco della Russia verso il territorio ucraino. Ma al di là dei trionfalismi la situazione è sfaccettata. Già giorni fa le forze armate ucraine avevano provato a bucare le resistenze russe anche dal versante di Belgorod, ma avevano fallito: l’episodio era rimasto sotto silenzio e lo rivela ora il Washington Post.

Sulla mappa, la buffer zone realizzata dagli ucraini in terra russa resta molto piccola rispetto all’area ucraina invasa dal Cremlino, e questa settimana l’ordine di evacuare Pokrovsk – che per gli ucraini rappresenta un punto nevralgico – ha fatto intendere che l’avanzata della Russia non si ferma. A detta dell’entourage di Zelensky, procedere sul campo russo dovrebbe creare le precondizioni perché eventuali negoziati di pace partano da una prospettiva equa, riequilibrando il potere negoziale ucraino.

La prospettiva diventa più complessa dati se gli elementi raccolti dal WP: proprio l’offensiva ucraina in territorio russo avrebbe fatto saltare l’ipotesi di un round di trattative con Mosca attraverso Doha. I negoziati avrebbero riguardato in particolare le infrastrutture energetiche di entrambe le parti, aprendo a un cessate il fuoco parziale; ma «i colloqui indiretti, con i qatarioti che fungevano da mediatori e incontravano separatamente le due delegazioni, sono stati ostacolati dall'incursione a sorpresa dell'Ucraina nella regione di Kursk la scorsa settimana». A detta di Kiev, un’interazione di basso calibro dovrebbe tenersi comunque giovedì.

Implicazioni per Usa e Ue

Nel frattempo i riverberi della guerra russo-ucraina si sentono anche più a ovest. Oltre ad accusare Kiev di prendere di mira le centrali nucleari, il Cremlino va dicendo che la distruzione di ponti nell’area di Kursk è attribuibile agli Usa, ovvero all’utilizzo di missili americani, nonostante la linea rossa dichiarata da Washington. Il fatto che l’Fsb prosegua la strategia offensiva verso i giornalisti Rai e Cnn è un ulteriore segnale di fibrillazione.

Ma ad agitare il campo occidentale sono anche le rivelazioni sul sabotaggio di Nord Stream 2. Quel che è certo è che la Germania ha spiccato un mandato di arresto europeo verso un sommozzatore ucraino che viveva in Polonia, e che è riuscito a fuggire; «la banca dati non è stata aggiornata in tempo da Berlino», si è giustificato il governo polacco. Già mesi fa dalle indagini era emersa l’ipotesi che la squadra subacquea autrice materiale del sabotaggio avesse base in Polonia, ma Varsavia aveva liquidato l’ipotesi come fake news; all’epoca governava il Pis.

Questo sabato Donald Tusk è intervenuto sulla faccenda via social: «Chi ha sostenuto Nord Stream dovrebbe solo chiedere scusa e starsene zitto». Come a dire: l’errore strategico era il gasdotto con la Russia, basta discussioni sul sabotaggio. Nel frattempo le ricostruzioni della stampa statunitense sono arrivate a rivelare il ruolo attivo di Kiev nell’attacco all’infrastruttura, con Zelensky che avrebbe tolto il suo ok al piano solo una volta noto agli Usa.

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