In Iran la diffusione di alcuni video hanno suscitato scandalo, perché in aperta contraddizione fra le leggi e la condotta degli uomini di potere. L’ipocrisia caratterizza la vita di tutti, ma in certi regimi rischia di diventare più evidente
La diffusione di alcuni video che ritraggono funzionari del regime teocratico iraniano impegnati a fumare oppio, a chattare in modo improprio e soprattutto a letto con altri uomini (in un paese dove l’omosessualità è punita in modo severissimo, in qualche caso con la morte) suggeriscono alcune considerazioni generali.
L’ipocrisia, ovvero la differenza tra i valori dichiarati e i comportamenti praticati, caratterizza la vita di tutti noi. Anche colui che si dichiara il più onesto e trasparente degli esseri umani compie talvolta qualche azione che contraddice i valori che in pubblico dichiara di difendere. La coerenza totale tra valori e azioni appartiene dunque solo a Dio, per chi ci crede.
Ipocrisia e potere
Le umane piccole ipocrisie quotidiane servono a vari scopi. Uno dei più importanti consiste nel desiderio di evitare la stigmatizzazione: per tutelare un nostro comportamento che sappiamo socialmente disapprovato non solo lo teniamo nascosto, ma lo condanniamo in pubblico con una particolare veemenza.
Nel caso delle élite l’ipocrisia soddisfa una finalità in più: quella di ottenere o conservare il potere. Quest’ultimo viene infatti cercato ed eventualmente ottenuto attraverso la promessa fatta al popolo di promuovere e proteggere taluni valori.
È ovvio che quando uno o più membri dell’élite vengono sorpresi a violare quegli stessi valori nel retroscena della loro vita pubblica la loro reputazione e credibilità crolli in modo verticale. Questo è un meccanismo tutto sommato comune a tutti i contesti istituzionali.
Le trasgressioni inevitabili
Quella che varia sensibilmente è la misura dell’ipocrisia. Nei paesi liberaldemocratici i leader politici non sostengono né custodiscono valori relativi alla sfera intima, non promuovono un certo orientamento sessuale, né incoraggiano le persone a vestirsi o a parlare in un certo modo.
Tutto questo in qualche modo rappresenta un limite del loro potere, diminuisce la loro presa sulla società, ma anche riduce la possibilità che scoppino scandali legati a comportamenti ipocriti.
Funziona così anche nella democrazia probabilmente più moralistica che vi sia, quella americana. In definitiva, Bill Clinton finì nei guai non perché aveva avuto una fugace relazione con Monica Lewinski, ma perché aveva clamorosamente mentito sull’esistenza di quella stessa relazione.
Nelle teocrazie, negli stati dominati da élite a un tempo religiose e politiche, le probabilità di un comportamento ipocrita da parte delle classi dirigenti si ampliano moltissimo. In quei regimi la morsa del potere è molto più ampia e rigida, ma altrettanto elevato è il rischio che chi lo esercita venga accusato di avere una doppia vita, di trasgredire in privato le virtù tanto esaltate in pubblico.
Più ampio infatti è il numero di norme da trasgredire e più numerose saranno le trasgressioni. I teocrati non solo sono uomini come gli altri, ma hanno, in moltissimi casi, imparato con il tempo a considerare sempre di più l’insieme di valori nei quali forse credevano al principio della loro carriera, quando erano dei semplici militanti, in modo cinico come instrumentum regni, come mezzi per governare le masse, ottenendo vantaggi e privilegi.
Il pericolo della verità
In situazioni come queste, l’ipocrisia diventa uno strumento per raggiungere una situazione ottimale e cioè per ottenere un potere quasi illimitato sulla vita degli altri e al tempo stesso una libertà quasi assoluta per sé. Tra i due elementi si stabilisce una relazione assai virtuosa per il potente: il potere garantito dalla dominazione del prossimo consente anche di proteggere la propria libertà.
In questo senso va letta la seguente dichiarazione di Mojtaba Zolnouri, vicepresidente del parlamento della Repubblica islamica iraniana: «Il crimine di coloro che hanno diffuso questi video è maggiore di quello dei fornicatori». L’emersione della verità mette a rischio la stabilità del regime molto di più di un comportamento (per esempio, un rapporto omosessuale) che è diventato problematico solo perché è stato immortalato da una telecamera nascosta.
L’esercizio della parresia (del pronunciare la verità) conferma tutti i dubbi che gli scettici nutrivano sulla natura del regime e produce disperazione e sfiducia tra i credenti, tra coloro che credevano alla buona fede dei teocrati al potere.
In conclusione non possiamo che auspicare che le cittadine e i cittadini iraniani si possano liberare presto dai moralizzatori cinici e dalle loro ipocrisie strutturali. Da noi per fortuna la Chiesa Cattolica ha perso da tempo il suo potere temporale e sembra oggi, nelle parole di Francesco, nutrire dubbi crescenti sulla stessa validità della propria legislazione in tema di morale. Speriamo che a invertire la rotta intrapresa non intravenga qualche autoproclamato leader cristiano più zelante del re. O del papa in questo caso.
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