Per il calcio russo il 31 ottobre è stato un lunedì nero: rinviata sine die l’amichevole con la Bosnia ed Erzegovina e richiesta di esclusione dai mondiali per l’alleato Iran. Ma il peso degli oligarchi dello sport è intatto
- La ribellione dell’opinione pubblica bosniaca e dei calciatori della nazionale (fra cui Dzeko e Pjanic) ha fatto fallire il piano della federazione di Bosnia ed Erzegovina di organizzare un’amichevole con la Russia.
- La rete degli oligarchi che controllano le federazioni sportive internazionali è ancora sufficientemente salda. Usmanov si è sospeso dalla Federazione della scherma ma non si è dimesso. né lo fa Lisin (Federazione tiro), accusato di contribuire alla guerra di Putin tramite le sue acciaierie.
- Nella Federazione internazionale della ginnastica è esploso lo psicodramma. Il presidente giapponese Watanabe si rifiuta di escludere i delegati russi e bielorussi dal congresso di Istanbul in programma i prossimi 11 e 12 novembre.
Il clamoroso autogol si è consumato nell’ultimo lunedì di ottobre. La federazione calcistica della Bosnia ed Erzegovina, sottoposta a pressioni interne e internazionali, ha annunciato che la partita amichevole fra la sua rappresentativa nazionale e quella della Russia è stata rinviata a data da destinarsi.
Era in programma per il prossimo 19 novembre a San Pietroburgo, data significativa perché è il giorno che precede l’inaugurazione dei Mondiali in Qatar. Una manifestazione dalla quale la nazionale russa è stata estromessa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Vladimir Putin. Il presidente russo non potrà sfruttare la partita in chiave propagandistica anche perché, giunti a questo punto, è assai probabile che non venga più giocata.
Pochi amici
Il rinvio dell’amichevole è stato uno smacco soprattutto per Vico Zeljković , il giovane presidente della federazione calcistica della Bosnia ed Erzegovina (34 anni il prossimo 12 novembre) in carica da marzo 2021. Zeljković non è un personaggio qualsiasi e basta una rapida occhiata al suo profilo per capire quanto politica sia stata la mossa di provare a organizzare una partita fra le due nazionali nel pieno di un embargo internazionale contro lo sport russo.
Nativo di Banja Luka, il capoluogo della Repubblica Srpska (il territorio a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), Zeljković è stato presidente del locale club del Borac, avanguardia identitaria del serbismo calcistico nel paese, e successivamente ha presieduto la federazione calcistica della Repubblica Srpska.
Soprattutto, Zeljkovic è nipote di Milorad Dodik, presidente di turno della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina. Dodik è sicuramente il più fedele sostenitore di Vladimir Putin nell’area balcanica, nonché animatore di un progetto indipendentista per la repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha trovato nuova linfa.
La possibilità di rompere l’embargo sportivo internazionale contro la Russia deve essere parsa a Dodik un’ottima occasione per mostrare una volta di più la propria fedeltà all’amico Vladimir. Ma gli è andata male. I primi a mobilitarsi contro l’amichevole sono stati i calciatori della nazionale bosniaca, con in prima linea due vecchie conoscenze del calcio italiano come Edin Dzeko e Miralem Pjanic.
Sfumato anche l’Iran
Per la nazionale russa guidata da Valeri Karpin la situazione è oggi più nera di quanto apparisse durante la conferenza stampa online tenuta lo scorso 7 settembre. In quella circostanza Karpin aveva parlato delle trattative condotte dalla federazione per organizzare delle gare amichevoli. All’epoca erano in programma amichevoli con Kirghizistan e Iran, più una terza ancora da definire (in seguito si sarebbe scoperto essere quella contro la Bosnia ed Erzegovina).
Karpin aveva detto che, nelle condizioni date, era già un successo giocare contro i kirghizi (prima partita in assoluto contro i russi) e gli iraniani. Ma non sapeva ancora che, delle tre possibili amichevoli, alla fine avrebbe giocato solo quella in casa del Kirghizistan (24 settembre, 2-1 per i russi).
La sfida con l’Iran, fissata per il 16 novembre a Teheran o addirittura a Doha, cioè lì dove si giocherà il Mondiale da cui la Russia è stata estromessa, è sfumata quasi subito. La nazionale iraniana, qualificata a Qatar 2022, ha preferito ripiegare su una nazionale del Golfo per sostenere l’ultimo test pre Mondiale.
A posteriori si può dire che l’annullamento dell’amichevole sia stato provvidenziale per entrambe le nazionali. Perché dopo la diffusione delle notizie sull’uso di droni di fabbricazione iraniana da parte dell’esercito russo in Ucraina, la Federazione calcistica ucraina (Uaf) ha chiesto alla Fifa di cacciare la nazionale iraniana dai Mondiali. In queste condizioni un’amichevole fra Russia e Iran giocata a Doha quattro giorni prima dell’inaugurazione di Qatar 2022, avrebbe avuto effetti devastanti. Per la cronaca, la richiesta dell’Uaf è stata avanzata nello stesso giorno in cui veniva annunciato il rinvio dell’amichevole con la Bosnia ed Erzegovina. Proprio un lunedì nero per il calcio russo.
Il doppio standard
Le vicende che si sono sviluppate nel calcio sono soltanto le ultime in ordine di tempo che riguardano lo sport russo. Il caso più imbarazzante è sicuramente quello dell’oligarca Alisher Usmanov, ex azionista di maggioranza relativa dell’Arsenal (Premier League inglese) ma soprattutto presidente della Federazione internazionale della scherma (Fie). Dopo l’avvio delle operazioni belliche in Ucraina, Usmanov si è sospeso dalla carica (era stato rieletto per il quarto mandato a novembre 2021) ma senza prendere in considerazione le dimissioni. Anzi, continua a comandare da dietro le quinte.
Non altrettanto discreto il ruolo di Vladimir Lisin, presidente della Federazione internazionale di tiro (Issf). Nei giorni scorsi Steve Cohen, membro del Congresso Usa e copresidente della Commissione per la sicurezza e la cooperazione europea (Csce), ha sollecitato il segretario di stato Antony Blinken a sanzionare Lisin perché attraverso le sue acciaierie Novolipetsk avrebbe rifornito le forze militari russe. Fin qui Lisin, che è stato eletto a capo dell’Issf nel 2018 e non vuol saperne di dimettersi, è stato sanzionato soltanto dal governo australiano.
Ha invece dovuto rassegnare le dimissioni Boris Skrynnik, presidente della Federazione internazionale bandy (Fib), una disciplina simile all’hockey su ghiaccio. Lo scorso 28 ottobre Skrynnik è stato sostituito dal norvegese Stein Pedersen, eletto al termine del congresso tenuto a Helsinki.
Questa persistenza/resistenza delle figure dirigenziali russe nella mappa del potere sportivo internazionale è l’effetto della doppia morale denunciata lo scorso aprile da Play the Game, un think tank danese specializzato sul tema dei rapporti fra sport e politica.
Un dettagliato articolo metteva in evidenza come le politiche di embargo sportivo nei confronti di Russia e Bielorussia colpiscano atleti e squadre ma risparmiano spesso dirigenti e federazioni sportive. Un doppio standard emerso con evidenza durante queste settimane all’interno della Federazione internazionale di ginnastica (FIG).
Presieduta dal giapponese Morinari Watanabe, la Fig si sta avvicinando con difficoltà al congresso di Istanbul, fissato per l’11 e 12 novembre. L’annuncio che al congresso parteciperanno anche i rappresentanti delle federazioni di Russia e Bielorussia ha provocato una catena di defezioni. Le prime federazioni nazionali a chiamarsi fuori sono state quelle di Polonia, Norvegia ed Estonia, seguite da Lituania, Olanda e Italia. La nostra federazione ne ha dato notizia lo scorso 12 ottobre, spiegando che non invierà una delegazione a Istanbul «per non incontrare i delegati russi e bielorussi».
Terrorizzato dal rischio di affrontare una defezione di massa, Watanabe ha provato a giustificare la sua scelta e si è appellato alla necessità che le organizzazioni sportive mantengano una neutralità invitando a valutare i punti di vista dei dirigenti russi e bielorussi. Probabile che non abbia convinto nemmeno sé stesso. E adesso si appresta a contare le sedie vuote di Istanbul.
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