L'ufficio del procuratore generale ha escluso le accuse rivolte ai quattro agenti della Sicurezza nazionale della procura di Roma. Il Cairo ha invece definito «sospetti» il comportamento e i movimenti di Regeni. Per Palazzotto, presidente della commissione parlamentare sul caso, «le autorità egiziane ammettono che pedinavano Regeni» e chiede al governo di pretendere chiarimenti
- Il procuratore generale egiziano ha annunciato che non intende intraprendere una causa penale sulla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni.
- Secondo il magistrato «non si conosce l'identità dell'autore del crimine». Lo ha reso noto la procura in un comunicato citato dal quotidiano egiziano Al-Ahram. L'ufficio del procuratore generale ha invece escluso le accuse rivolte ai quattro agenti della Sicurezza nazionale dalla procura di Roma.
- Il Cairo ha definito «sospetti» il comportamento e i movimenti di Regeni. Per Palazzotto, presidente della commissione parlamentare sull'omicidio, «le autorità egiziane ammettono che pedinavano Regeni» e chiede al governo di pretendere chiarimenti.
Il procuratore generale egiziano ha annunciato che il suo ufficio non intende intraprendere una causa penale in relazione al caso dell'omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni scomparso al Cairo il 25 gennaio del 2016 e trovato senza vita il 3 febbraio. Secondo il magistrato egiziano «non si conosce l'identità dell'autore del crimine». L'ufficio del procuratore generale ha inoltre annunciato di escludere dal caso le accuse rivolte ai quattro agenti della Sicurezza nazionale accusati a inizio dicembre dalla procura di Roma di essere i responsabili della morte del ricercatore.
Il muro di gomma egiziano
A inizio dicembre la procura di Roma ha concluso le indagini accusando quattro agenti segreti egiziani di avere rapito e torturato Regeni ritenuto dalle autorità egiziane un pericolo per la sicurezza nazionale. Ad accusare i quattro 007 sono stati due testimoni di cui non si conoscono i nominativi. I due hanno detto di essere stati presenti al momento degli interrogatori e di avere visto il giovane dopo essere stato torturato durante il suo periodo di detenzione. Le autorità egiziane non hanno però creduto alle accuse della procura capitolina. La differenza di vedute sul caso è stata sancita dalla dichiarazione congiunta del procuratore generale egiziano e dal capo della procura di Roma in cui i due hanno preso atto dell’impossibilità di conciliare i punti di vista su quanto successo.
«Comportamenti sospetti»
Sempre oggi, 30 dicembre, la procura del Cairo ha definito «sospetti» il comportamento e i movimenti di Regeni e ha riferito in un comunicato citato dai media egiziani che questi erano noti a tutti e avrebbero quindi spinto il colpevole dell'omicidio del ragazzo a mettere in atto una messinscena per accusare le forze di sicurezza egiziane del crimine. Sempre secondo il procuratore, l’assassino di Regeni avrebbe commesso l’uccisione per rovinare i rapporti tra Italia ed Egitto. La versione egiziana non ha però convinto il presidente della commissione parlamentare sul caso Regeni, Erasmo Palazzotto, secondo cui le autorità egiziane hanno in realtà ammesso tra le righe di avere pedinato il ricercatore: «Le autorità egiziane ammettono dopo 5 anni, e dopo che lo ha dimostrato la procura di Roma, che pedinavano Giulio Regeni. Ci spieghino perché. Il governo italiano pretenda chiarimenti».
Le mosse dell’Europa
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha detto a metà dicembre di essere intenzionato a coinvolgere attivamente l’Unione europea per ottenere la collaborazione dell’Egitto. Il Parlamento europeo ha intanto approvato una risoluzione in cui chiede alle autorità egiziane di collaborare con gli investigatori italiani fornendo gli indirizzi di residenza dei quattro agenti egiziani come da prassi nell’ordinamento italiano. Gli europarlamentari hanno inoltre chiesto all’Egitto di liberare Patrick Zaki lo studente egiziano detenuto da diversi mesi nelle carceri egiziane dopo essere rientrato dall’Italia dove ha frequentato un master universitario a Bologna.
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