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Questa settimana non potevamo non partire dalla conferenza sul clima COP26, dove si è registrato uno scambio d’accuse Stati Uniti-Cina che non promette nulla di buono per la lotta ai cambiamenti climatici.
- Ci occuperemo anche dell’accordo di libero scambio più grande del mondo – a guida cinese – che, con le ultime ratifiche arrivate ieri, entrerà in vigore dal 1° gennaio 2022; del cluster metropolitano che sta sorgendo attorno a Pechino: 100 milioni di abitanti. Infine torneremo sul Covid, che in Cina ha rialzato la testa alla vigilia della riunione del Comitato centrale del Partito comunista. Buona lettura.
Alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop26 che si è aperta il 31 ottobre scorso a Glasgow, Xi Jinping è intervenuto con una lettera piuttosto che un video registrato (l’altra modalità concessa ai leader non presenti di persona). Il presidente cinese non ha annunciato nuovi impegni – che per Pechino restano picco delle emissioni prima del 2030 e neutralità carbonica entro il 2060 – e ha invitato gli altri paesi a fissare «visioni e obiettivi realistici», un riferimento al piano climatico da 555 miliardi di dollari del presidente Joe Biden – che ha criticato il «grande errore della Cina che non si è presentata» in Scozia –, che rischia di essere ridimensionato dal Congresso degli Stati Uniti.
- Perché è importante
L’indispensabile cooperazione internazionale per combattere i cambiamenti climatici subisce i contraccolpi della rivalità strategica Cina-Stati Uniti. Zhang Jun ha criticato quelli che ha definito «slogan vuoti» degli Usa, e ricordato che «gli Stati Uniti hanno fatto più volte marcia indietro sulle loro politiche climatiche, ma invece di accusarli per questi ondeggiamenti», ha aggiunto l’ambasciatore cinese all’Onu, «è il momento di condividere le responsabilità e intraprendere azioni concrete». Come dimostra quest’analisi dell’inviato di Biden per il clima, John Kerry, gli Stati Uniti riconoscono i progressi compiuti negli ultimi anni dalla Cina nella tutela ambientale, che tuttavia inquadrano nell’ambito della competizione economico-tecnologica tra Washington e Pechino.
- Il contesto
Durante l’interregno negazionista di Donald Trump, col suo sostegno all’Accordo di Parigi Pechino aveva provato ad assumere la leadership climatica, che ora le viene sottratta da Biden. Xi e compagni speravano inoltre che quello sul clima potesse rappresentare un dossier grazie al quale rilanciare il dialogo con gli Usa sulle questioni più spinose che dividono la seconda e la prima economia del pianeta. La Cina – il principale emettitore di gas serra – non è più all’anno zero della lotta ai cambiamenti climatici. La settimana scorsa, Pechino ha inviato all’Onu un documento con i suoi impegni aggiornati e le misure da attuare per rispettarli. Uno studio condotto su immagini satellitari della NASA dimostra che la Cina è all’avanguardia nei programmi di rimboschimento, mentre un rapporto della Banca asiatica di sviluppo (Adb) evidenzia gli effetti positivi di lungo termine della cosiddetta “civilizzazione ecologica” della Cina.
Sì di Australia e Nuova Zelanda, parte l’area di libero scambio a guida cinese
Con quelle arrivate ieri da Australia e Nuova Zelanda, la Regional comprehensive economic partnership – l’accordo di libero scambio (Fta) tra i dieci paesi dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (Asean) più Cina, Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda – ha raggiunto le sei ratifiche necessarie per entrare in vigore e sarà dunque ufficialmente operativa dal 1° gennaio 2022.
- Perché è importante
Voluta fortemente da Pechino, la Rcep promette di rafforzare ulteriormente la leadership cinese nel commercio internazionale, per una serie di motivi: anzitutto si tratta del Fta più grande del mondo, nell’area economicamente più dinamica dell’Asia, grazie al quale la Cina (che, per le dimensioni del suo mercato, è il “partner di maggioranza”) è destinata ad accrescere la sua influenza economica e politica nella regione.
Tra i 15 paesi firmatari – che rappresentano circa il 30 per cento del Pil, del commercio e della popolazione globale – verranno rimossi i dazi sul 91 per cento delle merci scambiate e ottimizzate le catene di fornitura, che da globali sono destinate a diventare sempre più regionali. Verranno fissate regole comuni su investimenti, proprietà intellettuale e commercio elettronico, ma non sulla protezione ambientale né sulla tutela dei lavoratori: tutti elementi (compresi, ahinoi, gli ultimi due) destinati a dare un grande impulso all’economia e agli scambi.
- Il contesto
Con la Rcep per la prima volta il Giappone, la Cina e la Corea del sud – paesi che faticano a scrollarsi di dosso le scorie di antiche inimicizie – entrano in uno stesso Fta. L’Australia entra a far parte di un Fta dove c’è la Cina, che ha fatto infuriare chiedendo un’inchiesta internazionale sulle origini del SARS-CoV-2 ed entrando nell’alleanza militare trilaterale Aukus con Stati Uniti e Regno Unito, della quale rappresenta l’avanguardia anti-cinese.
Grazie alla Rcep, l’Australia punta sul rafforzamento dei legami con i paesi dell’Asean, mentre il Giappone conta di aumentare il suo Pil del 2,7 per cento. Evidentemente tutti i paesi della Rcep sono stati pronti a superare le tante e profonde divisioni politiche di fronte alla possibilità di sviluppo offerte da questo Fta, in un’Asia sempre più asiatica e cinese, emancipata dalla tutela degli Stati Uniti, che, al momento, non sono partner nemmeno dell’altro grande Fta in gestazione, il Comprehensive and progressive agreement for a trans-pacific partnership (Cptpp).
Yuan, di Lorenzo Riccardi
Hebei e la mega-city Jing-Jin-Ji
La provincia dell’Hebei si trova nella Cina del nord ed è nota per la sua industria siderurgica; Shijiazhuang è il capoluogo amministrativo e la sua città più grande. Lo Hebei ha una popolazione di circa 75 milioni di abitanti e una superficie totale di 186mila km2, e i suoi principali centri economici sono Tangshan, Shijiazhuang, Cangzhou, Baoding, e Handan.
Nel 2019, nel periodo pre-pandemia, il Pil della provincia è cresciuto del 6,8 per cento e nel 2020 del 3,9 per cento durante la fase più acuta della crisi sanitaria.
Il 40 per cento della forza lavoro è impiegata nei settori agricolo, forestale e zootecnico e la provincia è ricca di risorse naturali. La miniera di Kailuan a Tangshan è uno dei principali giacimenti di carbone del paese, con una produzione annua di oltre 20 milioni di tonnellate. Nello Hebei sono molto sviluppate anche l’industria tessile, siderurgica, chimica, petrolifera, alimentare e della ceramica.
In base al XIV piano quinquennale (2021-2025), lo Hebei prevede di investire 108 miliardi di yuan (circa 17 miliardi di dollari) in progetti infrastrutturali relativi ai trasporti. Lo Hebei si concentrerà sulla costruzione di un cluster portuale di livello mondiale intorno al mare di Bohai e la provincia prevede di rafforzare la connettività autostradale costruendo più di 260 chilometri di superstrade e 1.600 chilometri di strade ordinarie.
La realizzazione di tali infrastrutture si colloca all’interno del progetto Jing-Jin-Ji, finalizzato a integrare lo Hebei e la sua capacità industriale alle municipalità di Pechino (centro politico, culturale e di ricerca) e Tianjin (polo logistico tra i principali al mondo), portando alla creazione di un mega-agglomerato urbano con oltre 100 milioni di abitanti e un Pil pari al 10 per cento del totale nazionale.
La variante Delta rialza la testa alla vigilia del Comitato centrale
La variante Delta ha rialzato la testa, con contagi “record” per gli standard cinesi: 93 sintomatici e undici asintomatici martedì scorso, 631 ammalati in diciassette provincie a partire dal 17 ottobre, quando una coppia di Shanghai è stata individuata come l’origine della nuova ondata.
A Shijiazhuang – il capoluogo della provincia dello Hebei, dieci milioni di abitanti, a 256 chilometri da Pechino – martedì, dopo che erano state rilevate dodici infezioni, è stato dichiarato lo “stato di emergenza” anti-Covid. Lockdown parziali e chiusura di centri commerciali e supermercati anche in altre città. Lunedì il ministero del Commercio aveva invitato a fare scorte «in caso di emergenze» scatenando il panico, soprattutto tra gli anziani. I media di stato hanno chiarito che l’allarme si riferiva a possibili nuovi lockdown e chiesto alle famiglie di «non acquistare troppi generi di prima necessità».
- Perché è importante
Il governo insiste con la strategia “contagi zero” e le relative misure draconiane. Ruili, una cittadina della provincia dello Yunnan al confine con il Myanmar, è diventata il simbolo della linea dura di Pechino, avendo subìto quattro lockdown e sette mesi di isolamento dal settembre 2020.
In un’intervista alla tv cinese CGTN, Zhong Nanshan – l’epidemiologo che guida gli sforzi del governo per contenere la diffusione dell’epidemia – ha difeso la strategia della leadership cinese che «non causa troppi danni ma, al contrario, relativamente pochi» e ha “annunciato” che le frontiere del paese rimarranno blindate «ancora piuttosto a lungo», perché «se aprissero, importeremmo casi, e il virus circolerebbe».
- Il contesto
Finora 1,07 miliardi di cinesi (il 76 per cento della popolazione) sono stati completamente vaccinati, con vaccini la cui efficacia è inferiore rispetto a quelli occidentali. Da quando, nel marzo scorso, è incominciata la campagna di vaccinazione di massa, sono esplosi almeno sette focolai, tutti finora circoscritti e spenti grazie alle misure di contenimento.
La narrazione sulla “vittoria popolare contro il coronavirus” potrebbe entrare nella nuova risoluzione sulla storia del partito che il VI plenum del XIX Comitato centrale approverà quando si riunirà – dall’8 all’11 novembre – nella Grande sala del popolo di Pechino. Martedì scorso il “Quotidiano del popolo” ha esultato: «Sotto la forte leadership del Comitato centrale del partito con Xi Jinping come cuore, il nostro paese ha resistito all’impatto della pandemia, coordinato misure anti-epidemiche, mentre lo sviluppo socio-economico ha raggiunto risultati significativi».
Consigli di lettura della settimana:
- Climate ABCD – Alignments, Blocs, Countries, Divisions;
- COP26: China’s leaders make climate change position clear but what do the people think?;
- Why fossil fuels will remain a key stumbling point at COP26 climate conference;
- Can the COP26 climate negotiations reach an agreement on Article 6?;
- AIIB’s environmental and social safeguards under scrutiny ahead of annual meeting.
Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it
Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.
A presto!
Michelangelo Cocco @classcharacters
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