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Questo è un nuovo numero di Weilai, la newsletter di Domani sulla Cina.
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Questa settimana in via eccezionale dedichiamo l’intera newsletter alla guerra in Ucraina. Martedì 8 marzo Xi Jinping ha manifestato al cancelliere tedesco Olaf Scholz e al presidente francese, Emmanuel Macron, la volontà della Cina di mediare – in un contesto multilaterale – per cercare di porre fine al conflitto. Le ragioni per cui Pechino ci ha messo la faccia sono tante, e le analizzeremo punto per punto.
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Durante il confronto in video conferenza che si è svolto l’8 marzo tra Xi Jinping, Olaf Scholz ed Emmanuel Macron, Pechino ha manifestato la sua intenzione di partecipare a una mediazione diplomatica multilaterale per cercare di fermare la guerra che sta devastando l’Ucraina. Secondo il resoconto dell’agenzia Xinhua, il presidente cinese ha elogiato «gli sforzi di mediazione di Francia e Germania», aggiungendo che «la Cina rimarrà in comunicazione e coordinamento con Francia, Germania e Unione europea e, alla luce delle esigenze delle parti coinvolte, lavorerà attivamente insieme con la comunità internazionale». Il 9 marzo la Cina ha poi spedito la prima parte degli aiuti umanitari (per 791mila dollari complessivamente) promessi a Kiev.
Con i leader di Francia e Germania Xi ha insistito in particolare su due punti:
- il rispetto dei princìpi di sovranità e integrità territoriale
Si tratta di princìpi base del diritto internazionale, che per la Repubblica popolare cinese assumono un’importanza particolare. Infatti circa un quarto del territorio della Rpc è costituito da due regioni autonome (Xinjiang e Tibet) popolate dalle minoranze uigura e tibetana, e da sempre teatro di movimenti separatisti. Coerentemente con questa impostazione ogni soluzione del conflitto in Europa, in teoria, dovrebbe prevedere per Pechino il ritorno del territorio ucraino allo status quo ante bellum, senza alcuna nuova conquista territoriale da parte della Russia.
- la contrarietà alle sanzioni
Xi Jinping ha ribadito l’assoluta contrarietà del suo governo alle sanzioni varate contro Mosca, che rischiano di «deprimere l’economia mondiale, che è già sotto il pesante fardello della pandemia». Pechino giudica “illegali” le sanzioni decise al di fuori delle Nazioni Unite, come quelle varate dagli Stati Uniti e dai loro più stretti alleati contro la repressione nel Xinjiang e a Hong Kong, che hanno colpito alti funzionari e istituzioni del Partito comunista cinese.
In questo articolo dell’economista Gian Paolo Caselli vengono analizzate i tipi, le criticità e le contraddizioni delle sanzioni.
Perché dovremmo affidarci alla Cina?
Il colloquio che si è svolto oggi, 10 marzo, ad Antalya tra il ministro degli Esteri ucraino, Dmitri Kuleba, e quello russo, Serghei Lavrov, segnala il tentativo della Turchia – spiegato in questa analisi da Mario Giro –, una potenza regionale, di essere protagonista di un negoziato che potrebbe avere come sbocchi per porre fine al conflitto le opzioni “austriaca” e “finlandese” analizzate in questo articolo.
Pechino ha auspicato di poter svolgere la sua opera di mediazione all’interno di un contesto multilaterale, preferibilmente assieme all’Ue.
Quando tra le parti in conflitto c’è una o più grandi potenze (in questo caso la Russia), la mediazione deve essere condotta da una o più potenze almeno di pari grado. La Cina inoltre è amica sia dell’Ucraina (della quale è il primo partner commerciale e che spera di trasformare nella porta d’accesso all’Europa della sua nuova via della Seta) sia della Russia (che per l’esportazione di carbone, gas e petrolio nei prossimi anni – in base ai contratti recentemente firmati – dipenderà sempre di più dalla Cina). Dunque Pechino possiede una potente leva economica nei confronti di entrambi i paesi. E ha interesse a raffreddare le tensioni montate con l’occidente durante l’amministrazione Trump e la pandemia.
In questo momento la cooperazione sull’Ucraina, più di quella sull’ammaccata transizione verde, potrebbe contribuire a riavvicinare la Cina all’occidente. Inoltre l’aumento dei prezzi sui mercati internazionali – nel caso il conflitto in Ucraina andasse avanti a lungo o si allargasse – avrebbe pesanti ripercussioni sull’economia cinese, alimentata dall’importazione massiccia di energia da tutto il mondo.
Le reazioni
La diplomazia ucraina è favorevole a un intervento della diplomazia di Pechino. Dmitri Kuleba ha dichiarato che «la Cina è interessata a fermare questa guerra». Secondo quanto riferito dal Financial Times, il ministro degli Esteri di Kiev ha aggiunto che «la diplomazia cinese ha strumenti sufficienti per fare la differenza e contiamo che sia già coinvolta... e che i loro sforzi avranno successo».
Un ruolo importante di Pechino è caldeggiato anche dalle istituzioni comunitarie. Lunedì 7 marzo l’alto commissario per la politica Estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, ha parlato con il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, per la seconda volta dall'inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Borrell ha ringraziato la Cina per essersi astenuta dai voti di condanna della Russia alle Nazioni Unite e «ha espresso apprezzamento per la disponibilità della Cina a sostenere la cessazione delle ostilità e il dialogo».
Tuttavia sarà determinante la posizione che sull’offerta negoziale di Pechino assumerà Washington. All’interno dell’amministrazione Biden è in corso un dibattito sull’opportunità di un ruolo della Cina nel negoziato. Gli ultimi segnali non sono incoraggianti. Nel suo recente viaggio in Europa il segretario di stato, Antony Blinken, ha rimproverato più volte Pechino per non aver preso le distanze da Mosca e ha tirato in ballo lo scontro della Cina con la Lituania (confinante con l’enclave russa di Kaliningrad e con la Bielorussia) che tuttavia riguarda Taiwan e non il conflitto in Europa.
Perché Pechino non condanna Mosca?
Quello del 4 febbraio scorso a Pechino è stato il trentottesimo incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping da quando quest’ultimo (nel novembre 2012) è stato eletto segretario generale del Partito comunista cinese. Nell’ultimo decennio le relazioni bilaterali (economiche, militari e politiche) tra Mosca e Pechino si sono fatte sempre più strette, fino ad arrivare al manifesto anti-Nato e anti-Usa sottoscritto dai due leader il giorno dell’apertura delle olimpiadi invernali.
Tuttavia Cina e Russia non sono paesi alleati e – come spiegano alcune analisi riportate più avanti tra i consigli di lettura – nel momento in cui Pechino dovesse valutare che la sua difesa delle ragioni di Mosca rischia di danneggiare i suoi interessi economici globali, potrebbe cambiare politica nei confronti del vicino quasi-alleato. Al momento siamo ancora lontani da un simile voltafaccia.
Putin ha avvertito Xi che avrebbe invaso l’Ucraina?
È questo il sospetto – fondato su due fonti anonime d’intelligence Usa riportate dal New York Times – brandito contro l’opportunità di una mediazione cinese dagli avversari della Cina. Tuttavia è improbabile che la Russia abbia comunicato a uno stato non alleato il piano per un’invasione di simile portata di uno stato indipendente.
Più verosimilmente la leadership cinese – che era stata avvertita dagli Stati Uniti, con i quali le relazioni sono al momento pessime – aveva intuito che Mosca si sarebbe mossa contro l’Ucraina, ma, forse, non aveva idea dell’entità dell’attacco che avrebbe sferrato.
In questo quadro è probabile che alla vigilia delle olimpiadi invernali di Pechino (4-20 febbraio 2022) i cinesi si siano limitati a chiedere ai russi di rispettare la tregua olimpica… e così l’attacco è scattato il 24 febbraio. Se così fosse, la diplomazia e l’intelligence cinese non ne uscirebbero benissimo e Xi sarebbe stato in un certo senso “ingannato da Putin”. Le astensioni della Cina al Consiglio di sicurezza e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle risoluzioni di condanna dell’invasione russa possono essere dunque interpretate (come ha fatto Borrell) come una quasi-opposizione della Cina alle mosse di Putin.
Ma i cinesi cosa pensano della guerra in Europa?
Dopo le iniziali dimostrazioni di simpatia nei confronti dell’Ucraina, negli ultimi giorni sui social media cinesi (filtrati e censurati h24) ha prevalso una narrazione stereotipata – del tutto simile a quella della propaganda ufficiale – anti-Nato e anti-Usa, a sostegno delle rivendicazioni della Russia. Eppure non è detto che ciò che appare di più e che fa più rumore sui social rappresenti l’orientamento prevalente nell’opinione pubblica cinese.
I cinesi sono un popolo pacifico e per decenni sono stati bombardati da una propaganda che ricorda l’importanza dei princìpi di “non ingerenza”, “sovranità” e “integrità territoriale” e hanno riconosciuto chiaramente in Putin un invasore.
Il 3 marzo circa duecento ex studenti dell’Università Tsinghua (nella quale si è laureato Xi Jinping), la maggior parte dei quali residenti in Cina, ha fatto circolare su Weibo (il Twitter locale) un clamoroso appello nel quale si legge, tra l’altro, che «Putin è un guerrafondaio che ha condotto guerre contro Cecenia, Crimea, Georgia e, più recentemente, ha sfacciatamente lanciato una guerra contro l’Ucraina, una guerra di aggressione che è stata osteggiata e condannata dalla stragrande maggioranza dei paesi del mondo». Anche di questa opinione pubblica interna di classe media e upper-middle class (la loro constituency senza diritto di voto) Xi e compagni dovranno tenere conto nello scegliere se e come intervenire con la diplomazia per fermare la devastazione dell’Ucraina.
Consigli di lettura della settimana:
- China needs to rethink its Russia Policy
- Russia’s Ukraine invasion could push US and China to mend ties
- Ukraine and the Implications for China
- What’s at Stake for China’s Economic Relationship With Ukraine?
- How Weibo Became a Diplomatic Battlefield
Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it
Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.
A presto!
Michelangelo Cocco @classcharacters
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