- La guerra in Ucraina impatta sull’Africa mettendo a repentaglio la stabilità di stati già infragiliti dal jihadismo e dalle conseguenze della pandemia.
- I militari prendono il potere più frequentemente ma non sono certi di durare. La piazza passa dai momenti di ribellione a quelli di rassegnazione.
- Intanto il continente diviene un terreno di scontro di concorrenza economico-commerciale se non di aperta battaglia tra potenze esterne.
La guerra in Ucraina impatta sull’Africa mettendo a repentaglio la stabilità di stati già infragiliti dal jihadismo e dalle conseguenze della pandemia. Il risultato è il moltiplicarsi dei colpi di stato militari, non una assoluta novità per il continente africano, che sono diventati più frequenti.
Oltre mezzo secolo dopo la decolonizzazione la maggior parte degli stati non possiede ancora sistemi democratici efficienti che offrano prosperità e sicurezza alla popolazione. Nel 2020 il Democracy Index ha classificato solo un paese del continente (Mauritius) come democrazia completa, a cui si può ragionevolmente aggiungere Capoverde. Per il resto si tratta di regimi inadeguati, ibridi o autoritari (quasi la metà). La democrazia è ostacolata da corruzione endemica, povertà, alti livelli di violenza e instabilità politica, il che si trasforma in politiche pubbliche fragilissime (vedi educazione e sanità) e una capacità statale molto debole.
L’epidemia recente di colpi di stato militari (riusciti o falliti) in varie regioni del continente (Mali, Ciad, Burkina Faso, Guinea Bissau, Guinea Conakry o Sudan) giunge improvvisa ma anche prevedibile. Ci sono molteplici ragioni: jihadismo, secessionismi, corruzione, crisi alimentare, conseguenze della guerra di Libia e, ora, del conflitto ucraino.
Secondo Africa Report stiamo assistendo a una forma di disincanto delle società africane, diffuso in tutto il continente, che mette in crisi la politica. Nessuno crede più alle promesse di miglioramento fatte dai leader. Ciò che colpisce di più è il divaricarsi dello stile di vita tra le élite sempre più ricche e la maggioranza della popolazione sempre più povera.
Approccio burocratico
L’azione dei cittadini organizzati va a ondate: cresce attraverso proteste di massa ottenendo anche dei risultati, ma poi rifluisce per lunghi periodi, quasi presa dalla rassegnazione. Come altrove, anche in Africa le misure anti pandemia hanno lasciato i più vulnerabili in grave difficoltà, in seguito alla chiusura dei mercati o all’impossibilità di accedere a servizi sanitari adeguati.
L’insicurezza è una sfida permanente per molti stati che non sono più in grado di mantenere l’autorità su tutta l’estensione del loro territorio, come nel caso di guerre etniche, ribellioni e jihadismi di varia natura. Gli stati del Sahel sono in preda alla frammentazione a causa dell’attacco jihadista, mentre l’Africa orientale, il Corno e l’Africa centrale sono alla mercé di vere forme di privatizzazione della guerra, in cui milizie, traffici illegali e criminalità transnazionale si connettono insieme.
Di fronte a tale quadro le organizzazioni multilaterali del continente, sia l’Unione africana sia le regionali, si dimostrano inefficaci e senza strategia. L’approccio abituale è quello burocratico: condannare i golpe, imporre sanzioni e chiedere un rapido ritorno alla legalità. Il problema con tale approccio è l’assenza di dialogo diplomatico che fa irrigidire le parti.
Così le organizzazioni regionali perdono autorevolezza e i militari golpisti si trincerano in una posizione di isolamento. A complicare la situazione vi è la polemica sulla presenza di militari stranieri in Africa (francesi, europei o russi) che avvelena il dibattito pubblico. Il ruolo delle potenze esterne trasforma l’Africa in un terreno di concorrenza economico-commerciale se non di aperta battaglia.
L’operazione “Barkhane” della Francia e quella dell’Ue nel Sahel, create per contrastare il jihadismo, non ha ottenuto i risultati attesi. L’arrivo dei russi ha complicato il quadro innescando una violenta diatriba tra governo maliano e Parigi. Da parte europea si consolida l’idea che tutto l’aiuto offerto (economico e militare) non riesca a cambiare le cose a causa della corruzione dilagante.
Da parte africana si sostiene invece che si tratti sempre di aiuti condizionati e mirati al solo interesse di chi li offre e perciò stesso inefficaci. In questo caos non c’è da essere sorpresi se assisteremo a ulteriori prese di potere militari nel continente. Altri paesi africani mostrano sintomi di disfacimento delle istituzioni che preludono a tale possibilità. Tuttavia anche i militari che prendono il potere non dormono sonni tranquilli: non hanno remore ad ammettere di temere la piazza. In un primo tempo, stanchi di corruzione e inefficienza, i cittadini hanno spesso sostenuto l’arrivo dei graduati al comando. Ma gli stessi alti gradi dell’esercito sanno che il tempo loro concesso è breve e che le proteste possono presto ricominciare.
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