Aumentare i seggi alla alla Corte suprema aumenterebbe la polarizzazione e diminuirebbe la fiducia nello stato di diritto. È esattamente il contrario di quello di cui l’America ha bisogno
- La proposta dei democratici per espandere la Corte è semplicistica, destinata all’insuccesso e probabilmente aggraverà il problema che abbiamo con i tribunali, anche se proposte più pratiche vengono ignorate.
- Per sistemare i tribunali, bisogna prima diagnosticare correttamente il malessere. Il problema che il nostro paese deve affrontare è la politicizzazione dei tribunali, che si è stratificata nel corso degli anni, ma si è intensificata a partire dal 2016.
- Il processo di nomina dei giudici alla Corte suprema si è trasformato in un’opportunità di mobilitazione della fazioni e di guerriglia politica, come hanno dimostrato le audizioni di Brett Kavanaugh nel 2018 e Amy Coney Barrett nel 2020.
Qualche settimana fa i democratici al Congresso hanno introdotto un nuovo progetto di legge per ampliare la Corte suprema (e ottenere la maggioranza), aumentando il numero dei giudici da nove a tredici. La proposta è semplicistica, destinata all’insuccesso e probabilmente aggraverà il problema che abbiamo con i tribunali, anche se proposte più pratiche vengono ignorate.
Cominciamo dal semplicistico. L’intero disegno di legge conta meno di cento parole e ha precisamente uno scopo: dà la possibilità ai democratici di fare quattro nuove nomine alla Corte suprema. Anche se è stato chiamato Judiciary Act, non ha la pretesa di affrontare questioni di giurisdizione federale, le dimensioni delle Corti d’appello o le questioni tecniche che sono tradizionalmente oggetto di simili disegni di legge.
Ricorda piuttosto la proposta fallita del presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1937 di ampliare la Corte per accertarsi che il New Deal passasse. Quella proposta venne respinta dai democratici come una minaccia alla democrazia liberale, e per una buona ragione: se un solo partito si muove per ampliare la corte quando controlla il Senato e la presidenza, l’altra parte probabilmente farà lo stesso quando le parti si invertiranno, e il potere giudiziario sarà visto, ancor più di quanto non sia già, come un altro organo fazioso.
Forse per questo lo speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha fatto capire che il disegno di legge non arriverà vivo alla Camera e dunque il progetto è puro teatro politico. Il deputato Jerry Nadler, uno degli sponsor del disegno di legge, ha suggerito che la ragione è semplicemente di garantire che ci sia un giudice per ciascuno dei circuiti giudiziari, com’era di norma nel diciannovesimo secolo.
Nessuno crede a questa giustificazione: se questo fosse stato l’unico motivo, avrebbe potuto proporre il disegno di legge l’anno scorso quando erano i repubblicani a controllare il Senato. Questo è un chiaro appello alla faziosità.
Si potrebbe intravedere una logica se non ci fossero altre idee in giro. Eppure durante le primarie delle elezioni presidenziali del 2020, i candidati democratici hanno attinto alle riflessioni condotte per anni da accademici e gruppi apartitici come Fix the Court, per approvare diverse proposte di riforma della corte.
Ridurre le aspettative
Da candidato Joe Biden ha cercato di ridurre le aspettative dicendo che avrebbe studiato la questione, e ora ha istituito una commissione presidenziale per esaminare le possibili riforme. Pare che alcuni membri del Congresso non vogliano attendere.
Per sistemare i tribunali, bisogna prima diagnosticare correttamente il malessere. Il problema che il nostro paese deve affrontare è la politicizzazione dei tribunali, che si è stratificata nel corso degli anni, ma si è intensificata a partire dal 2016, quando l’allora leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell ha rifiutato di dare udienza a Merrick Garland, candidato del presidente Obama.
Il processo di nomina dei giudici alla Corte suprema si è trasformato in un’opportunità di mobilitazione della fazioni e di guerriglia politica, come hanno dimostrato le audizioni di Brett Kavanaugh nel 2018 e Amy Coney Barrett nel 2020.
Sono finiti i giorni in cui David Souter e Ruth Bader Ginsburg venivano confermati con novanta voti o più. Invece le nomine alla Corte suprema sono diventate un affare quasi esclusivamente politico. Una estensione su base politica della Corte suprema non spezzerebbe questo circolo, lo alimentererbbe soltanto.
Le nomine a vita
Perché dunque siamo in questa posizione? Parte del problema è che siamo i soli tra le nazioni democratiche ad avere nomine a vita per la Corte suprema. Altri paesi con incarichi “a vita”, come l’India o il Giappone, hanno un’età di pensionamento obbligatoria, e quindi i loro giudici finiscono con l’avere mandati relativamente brevi.
Al contrario, il nostro sistema aumenta la pressione sulle nomine, perché i senatori si aspettano che il candidato rimanga in carica per molti decenni. Come Aziz Huq ed io abbiamo scritto altrove, questo incoraggia la nomina della persona più giovane che si possa trovare nel proprio schieramento, e di cui il pubblico sa meno.
Ciò significa che i candidati hanno meno esperienza, cosa che potrebbe danneggiare la qualità giuridica delle loro decisioni. Il peso della nomina, di conseguenza, fa sì che a loro volta si mobilitino i gruppi di interesse. Ognuna delle parti pensa al candidato come il “nostro” o il “loro” e usa il processo di conferma per ottenere punti politici e raccogliere fondi.
La stessa Corte suprema è in parte responsabile di innescare queste dinamiche infilandosi nelle controversie dei partiti e diventando un’istituzione politica centrale nella nostra vita nazionale. Dato il numero limitato di giudici, ciò significa che le preferenze personali di un singolo individuo possono influenzare milioni di persone.
Il giudice Anthony Kennedy (che, vale la pena notare, è stato confermato all’unanimità) è stato il voto decisivo in una serie di casi politicamente rilevanti, dandoci l’uguaglianza matrimoniale, Citizens United, la fine della pena di morte minorile e il presidente George W. Bush. Queste cose possono essere buone o cattive, ma che sia una sola persona a deciderle per l’intero paese non è il modo per condurre una democrazia.
La proposta dei democratici aggraverebbe questi problemi. Se il piano andasse in porto e il presidente Biden nominasse quattro nuovi giudici, la configurazione dei partiti nella Corte passerebbe da 6-3 a 7-6. Chiunque si trovi ideologicamente nel mezzo su una questione particolare potrebbe avere il voto decisivo, e questa probabilità cresce con la valenza politica del caso.
Un’alternativa moderata
Un piano di gran lunga migliore sarebbe quello di riformare i tribunali in modo bipartisan, magari ampliando il collegio federale nel suo insieme e ripristinando l’ostruzionismo per le nomine giudiziarie.
Molti tribunali sono a corto di personale e la Conferenza giudiziaria degli Stati Uniti potrebbe suggerire la creazione di nuove cariche. La commissione giudiziaria del Senato potrebbe presentare una lista bipartisan di candidati da far approvare e potrebbe inviarla al presidente perché da lì possa scegliere.
Molte delle idee esistenti sulla riforma della Corte suprema sono buone. Un mandato di 18 anni, un sistema di rotazione in cui i giudici federali possono passare alla Corte suprema per un periodo limitato, o un sistema in cui ogni presidente nomina almeno un giudice: tutte queste soluzioni hanno merito perché ridurrebbero il peso nelle nomine individuali. Il piano dei Democratici invece lo aumenta. Dovremmo respingerlo perché rappresenta una minaccia per la democrazia liberale, la corte e il paese.
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