A distanza di pochi giorni, Apple, Amazon e Google avevano accusato Parler di ospitare sulla sua piattaforma contenuti violenti e ne avevano bloccato la vendita sui loro store
John Matze, l’amministratore delegato del social netowrk americano, Parler, ha annunciato che il social resterà chiuso per un tempo più lungo di quanto previsto inizialmente. La chiusura di Parler, noto per ospitare per lo più utenti seguaci del presidente in carica, Donald Trump, è dovuta all’improvvisa mancanza di sostenitori economici per il social e alla decisione di tutte le organizzazioni con server abbastanza grandi per ospitare la piattaforma di non aiutare il la piattaforma.
Il ban di Amazon, Google e Apple
Matze ha accusato Apple, Amazon e Google di avere di fatto messo fine all’esperienza dei social. A distanza di pochi giorni, le tre aziende avevano accusato Parler di ospitare sulla sua piattaforma contenuti violenti e ne avevano bloccato la vendita sui loro store. Per tutta risposta, Parler aveva accusato le tre aziende di «odiare la libertà di parola» e di «essere politicamente orientate». La decisione dei tre giganti tecnologici ha infatti pubblicato un effetto valanga da parte di molti altri soggetti coinvolti nel sostegno al social sovranista che hanno deciso di fatto di portare alla chiusura una paiattaforma da tempo accusata di ospitare fake news e teorie cospirazioniste in favore di Trump.
Il contesto
Nato nel 2018, Parler si era fin da subito imposto come valida alternativa a Twitter e Facebook per i sostenitori di Trump dopo che le due piattaforme avevano iniziato a cercare di porre un argine alle notizie false divulgate dai fan del repubblicano. Non a caso il vero exploit del social è avvenuto a novembre dopo l’elezione di presidente eletto, Joe Biden e la decisione di Twitter e Facebook di marchiare come “non provate” le affermazioni di Trump riguardo i presunti brogli commessi dal democratico. La pericolosità delle fake news postate sul social è però divenuta un argomento centrale dopo che i sostenitori di Trump hanno assaltato il Congresso il 6 gennaio. La decisione di Twitter e Facebook di bloccare l’account del presidente repubblicano ha infatti dato il via libera alla migrazione di massa degli utenti sovranisti su un altro social che non limitasse la diffusione di teorie cospirazioniste come quella di QAnon. Anche il leader della Lega, Matteo Salvini, si era iscritto domenica 10 gennaio al social come segno di protesta verso la decisione di Twitter e Facebook di oscurare il social.
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