- Il fallimento del regime filo-occidentale deriva dal fatto che il sentimento d’indipendenza afghano sia stato lasciato nelle mani dei talebani cioè dei pashtun.
- Esiste poi una narrazione talebana sulla democrazia all’occidentale: una “falsa democrazia corrotta”. Meglio la severa ma intransigente tradizione nazionale legata ad una morale comprensibile.
- Infine c’è un terzo elemento dialettico che i talebani stanno utilizzando: il fatto di non essere interessati a nient’altro che all’Afghanistan. I talebani negano (come hanno sempre fatto) di far parte del jihadismo internazionale o di avere a che fare con i movimenti terroristici globali.
Il repentino crollo delle istituzioni afghane davanti all’avanzata dei talebani deve far riflettere. Il movimento degli studenti islamici (questo il significato del nome) non è una macchina da guerra particolarmente sofisticata: si tratta di un’armata popolare quasi tutta di origine pashtun (l’etnia più numerosa del paese) e sommariamente armata. Sulla carta l’esercito afghano formato e equipaggiato dagli occidentali è molto più forte e meglio equipaggiato: ad esempio possiede un’aviazione che i talebani non hanno. Eppure indietreggia, abbandona le sue posizioni e fugge.
Gli americani sono molto irritati: avevano scommesso su una maggior resistenza con il segreto proposito di dividere il paese in due zone di influenza. Invece la repubblica afghana filo-occidentale crolla repentinamente e non riesce nemmeno a resistere quanto fece il regime filo-sovietico di Najibullah dopo il ritiro dell’armata rossa nel 1989, che cedette ai signori della guerra islamisti dopo più di due anni. In questo caso nemmeno due mesi. Molti esperti si chiedono il perché.
La spiegazione risiede nella composizione etnica afghana: la maggioranza relativa della popolazione è pashtun (circa il 40 per cento) e considera i talebani come “i nostri”: nessun regime sostenuto dall’estero può piegare tale patriottismo afghano che in buona sostanza è un patriottismo pashtun. Costoro hanno appena oltre confine nei beluchi pakistani i loro alleati naturali.
Le altre due etnie importanti sono i tagiki (27 per cento) e gli hazara (15 per cento). Questi ultimi sono sciiti e quindi da sempre considerati estranei ed eretici dagli altri afghani. al limite si può trovare un talebano tagico o uzbeko ma mai hazara. I profughi che fuggono sono in maggioranza hazara, passano per l’Iran sciita e entrano dalla porta turca verso l’Europa.
I tagichi invece (nonostante i miti occidentali sul Panshir) hanno un rapporto negoziale con i pashtun, alternando alleanza e ostilità, dipende dai momenti. In tale quadro si capisce che, consapevoli ormai da mesi della ritirata americana, molti tagichi o uzbeki abbiano fatto accordi preventivi con i talebani che ora si realizzano tutti assieme, dandoci l’impressione del crollo generale.
La narrazione talebana
È necessario comprendere la narrazione della battaglia che talebani hanno elaborato negli anni. Si tratta di una narrazione patriottica che risale fin dagli anni Novanta, quando i mujahidin (inclusa la nascente al qaeda) avevano scacciato i sovietici ed erano entrati a Kabul, senza tuttavia riuscire a mettersi d’accordo. Anzi: i signori della guerra si erano aggrediti tra loro dentro Kabul. L’arrivo dei talebani nel 1996 aveva riportato pace ed unità, anche se a caro prezzo.
Di conseguenza nell’immaginario afghano la tradizione pashtun è unitaria e capace di tenere insieme il paese. La sharia dei talebani è una versione della tradizione pashtun, più dura della stessa legge islamica e con radicate usanze arcaiche.
Ma non è tutto così semplice: anche la società pashtun ha le sue diversità e basta leggere le testimonianze di Malala (peraltro odiata dai talebani) per capire che un’evoluzione è possibile. Lo stesso Pakistan, che esce vittorioso da questa fase, la favorisce. Ma nessun miglioramento può essere imposto dall’esterno, in particolare dagli stranieri: in quel caso si ferisce l’orgoglio pashtun e afghano assieme.
Il fallimento del regime filo-occidentale deriva dal fatto che il sentimento d’indipendenza afghano sia stato lasciato nelle mani dei talebani cioè dei pashtun. Esiste poi una narrazione talebana sulla democrazia all’occidentale: una “falsa democrazia corrotta”. Davanti alla conclamata corruzione di chi è stato sostenuto in questi 20 anni da Usa ed Europa, che i nostri stessi media hanno descritto in lungo e in largo, i talebani chiedono agli afghani: «se la democrazia è questa, perché difenderla?». Meglio la severa ma intransigente tradizione nazionale legata ad una morale comprensibile.
Infine c’è un terzo elemento dialettico che i talebani stanno utilizzando: il fatto di non essere interessati a nient’altro che all’Afghanistan. In altre parole negano (come hanno sempre fatto) di far parte del jihadismo internazionale o di avere a che fare con i movimenti terroristici globali. La battaglia è nazionalista e sostengono di non rappresentare una minaccia.
Si tratta di un popolo fiero e orgoglioso, un avversario temibile se attaccato, una forma di civiltà passatista se si vuole, ma nulla di più. Nel 2001 il pretesto della guerra occidentale fu l’ospitalità offerta a Ben Laden; ora tale eventualità è più remota. Difatti le relazioni dei talebani con l’Isis e altri movimenti della jihad islamica sono pessime al punto di combattersi.
Patrioti nazional-religiosi
L’Occidente dovrà adattarsi ad avere a che fare non solo e non tanto con dei radicali islamici ma soprattutto con un movimento patriottico nazional-religioso. Resta una parte di ambiguità certamente, ma non è dissimile da quella che esiste nelle relazioni occidentali con il Pakistan, ad esempio.
Russi e cinesi stanno già trattando con i talebani e non si vede perché l’Occidente, che è in possesso di una conoscenza migliore del terreno, non debba fare altrettanto. Come procedere? Innanzi tutto salvare quanti più amici afghani possibile, senza lasciare indietro nessuno che ci abbia aiutato o che sia in pericolo, in particolare gli interpreti, le donne professioniste e chi ha collaborato con le nostre Ong.
Non si deve agire come nel caso degli harkis (gli algerini filofrancesi che furono abbandonati e poi in gran parte trucidati) o dei montagnards o hmong vietnamiti. L’attuale ponte aereo italiano deve portare via non solo i connazionali ma anche tutte e tutti coloro che ci sono stati vicini.
In secondo luogo occorre creare fin d’ora una rete di contatti interni, utili in futuro. In terzo luogo negoziare con i talebani una serie di garanzie sia per i nostri interessi che per alcuni settori della società afghana. Pare che ciò si stia facendo, ad iniziare dalla salvaguardia delle ambasciate che – se possibile – non andrebbero chiuse.
L’onda in fuga
Infine, la cosa a cui dobbiamo prepararci per tempo è accogliere in Europa l’onda umana di chi sta fuggendo. Ciò rappresenta la miglior caparra per il domani in favore di un Afghanistan pacificato e plurale. Per quanto la sua politica sia arcaica, il nuovo regime talebano nel tempo dovrà confrontarsi con le diversità interne del suo popolo.
Senza la guerra contro lo straniero a fare da collante, emergerà una distinzione e diversificazione anche all’interno dell’universo talebano che conosciamo poco nelle sue articolazioni. Secondo alcuni esperti l’esportazione della democrazia ha saldato assieme fazioni diverse.
A questo livello la collaborazione del Pakistan potrà rivelarsi utile. Nell’ora dell’euforia della vittoria i talebani saranno inflessibili ma tale fase non durerà. Governare è tutt’altra cosa che vincere una guerra sostanzialmente rurale. La loro prima esperienza di governo non fu probante e i talebani lo sanno. Tuttavia a quell’epoca le ONG occidentali avevano il permesso di operare nel paese, fatta salvo la separazione dei sessi.
Come tutti i regimi nazionalisti e nazional-religiosi anche i talebani sono alla ricerca della nazione perfetta e omologata. Al momento paiono meno interessati alla rivoluzione jihadista globale. Il loro ideale è votarsi alla tradizione religiosa e alla causa nazionale, una forma allargata di patriottismo pashtun. In questo non c’è nulla di nuovo.
L’esportazione violenta della democrazia ha portato l’Occidente al fallimento: ora si tratta di ricucire con intelligenza una relazione difficile ma non impossibile. Tenuto conto della posizione geo-strategica dell’Afghanistan, per l’Occidente la scelta peggiore sarebbe quella vendicativa che isoli il paese, lasciando così spazio alle ambizioni economiche e geopolitiche di altre potenze.
In questo gli Stati dell’Unione europea –mai del tutto convinti della postura combat degli anglosassoni a Kabul- possono svolgere con utilità la loro parte, anche collaborando con la Turchia che potrebbe pragmaticamente rivelarsi un mediatore possibile. Cercare ora l‘aiuto turco o pakistano è una forma di umiliazione: gli errori si pagano ma non c‘è altra via per non perderci proprio tutto.
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