Mentre Stati Uniti ed Unione europea non riescono ad accordarsi sui nuovi fondi destinati a Kiev, la situazione militare rimane bloccata e la Russia continua ad attaccare. Nel frattempo, la leadership politica e militare appare sempre più divisa
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha fornito spiegazioni per aver disertato all’ultimo minuto l’audizione che lo attendeva al Congresso degli Stati Uniti.
Ma le ragioni sembrano chiare: Zelensky aveva capito che sarebbe finito in mezzo a uno scontro partigiano tra democratici e repubblicani e che non avrebbe fatto avanzare di un centimetro la causa dei nuovi fondi all’Ucraina bloccati.
Se ci fosse di mezzo anche la sua personale frustrazione, sarebbe comprensibile. Questo inverno si sta dimostrando il più duro per il paese invaso quasi due anni fa e il più stressante per il suo presidente.
Fondi bloccati
Il problema dei fondi destinati al suo paese riguarda Unione Europea e Stati Uniti insieme. In un caso è il primo ministro Viktor Orbán a minacciare di bloccare i 50 miliardi di euro destinati a Kiev, nell’altro è la destra repubblicana a fare lo stesso con oltre 60 miliardi di dollari.
I fondi attualmente stanziati dai due alleati finiranno a dicembre e se le cose non dovessero cambiare, Kiev si troverà con un buco da quasi 30 miliardi di dollari nel suo bilancio del 2024, una cifra pari al 20 per cento del Pil dell’intero paese.
Per non parlare delle armi. Senza nuove forniture da parte degli Stati Uniti per le forze armate ucraine sarà pressoché impossibile organizzare una nuova controffensiva nel corso del 2024.
Kiev sarà relegata sulla difensiva, come sta già avvenendo ormai da due mesi dopo il fallimento dell’assalto lanciato a giugno e che, nella più ottimistica delle ipotesi, avrebbe dovuto portare le forze armate ucraine a raggiungere il Mar d’Azov e a tagliare il corridoio di terra tra Russia e Crimea in 90 giorni.
Il Cremlino all’attacco
Non sarà necessariamente uno stallo nel senso tecnico-militare del termine, visto che l’esercito russo ha dimostrato di avere ancora energie e organizzazione sufficienti da attaccare. L’area fortificata di Avdiivka, nella regione di Donetsk, è tornata a essere sotto pressione ormai dai primi giorni di ottobre.
Più a nord, lungo la linea Kupiansk-Lyman, le truppe russe cercano di raggiungere il fiume Oskil, confine naturale della regione di Luhansk annessa dal Cremlino.
Gli ucraini mantengono l’iniziativa soltanto molto più a sud, vicino alla città di Kherson, dove hanno costituito una testa di ponte oltre il fiume Dnipro, che in quella regione costituisce la linea del fronte.
Ma per il gruppo di marine ucraini insediati in territorio russo, mantenere il loro perimetro è già un successo e negli ultimi giorni si sono moltiplicati i racconti sulla stampa delle difficoltà nel difendere questa magra conquista.
Leader divisi
In questo clima che per il pessimismo diffuso ricorda i primi giorni dell’invasione, si stanno moltiplicando le divisioni interne alla leadership ucraina. Lo scontro tra Zelensky e il suo capo di stato maggiore, il generale Valery Zaluzhny, si sta acuendo.
Questa settimana, fonti vicino all’alto comando militare hanno confidato alla stampa ucraina che Zelensky ha ormai aperto dei canali di comunicazione diretta con i generali sul campo, paralleli alla linea gerarchica ufficiale.
Zelensky avrebbe già uno suo favorito per sostituire Zaluzhny, il comandante delle truppe di terra Oleksandr Syrsky, apprezzato dall’entourage presidenziale, ma poco popolare tra gli ufficiali sul campo. Liberarsi di Zaluzhny nel mezzo del conflitto, però, sarebbe un duro colpo al morale e avrebbe il risultato di spedire il capo di stato maggiore direttamente nell’agone politico, dove la sua popolarità rivaleggia con quella di Zelensky, sostengono diversi analisti politici ucraini.
L’unica consolazione per gli ucraini in questo inverno dello scontento è che arrivato dicembre e le temperature sotto zero, la Russia non ha ancora ripreso la sua sistematica campagna di bombardamenti sulle infrastrutture energetiche del paese.
Dopo l’attacco di due settimane a Kiev, i cieli della capitale sono tornati silenziosi. A parte qualche piccolo black out locale, l’energia elettrica e il riscaldamento continuano a funzionare in tutto il paese, eccetto le zone più vicine ai fronti attivi.
L’ipotesi che circola è che il Cremlino abbia valutato che una campagna come quella dello scorso anno, che ha gettato al freddo e al buio migliaia di ucraini per ore e a volte giorni consecutivi, avrebbe l’effetto di ricompattare la popolazione intorno a una leadership che invece oggi, per la prima volta dall’inizio del conflitto, appare in declino. Una magra consolazione sulla quale, per di più, nessuno al momento si sente di scommettere.
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