Il Segretario di stato vaticano esprime prudenza nei giudizi sulle posizioni relative a guerre e migrazioni del nuovo presidente, la Santa sede resta in attesa di fatti concreti. Intanto i cattolici Usa hanno votato a favore del candidato repubblicano, ma sull’aborto esprimono posizioni contrarie all’intransigenza del movimento pro-life
Il giorno dopo l’elezione di Donald Trump, in Vaticano prevale la prudenza nei giudizi e nei toni sul nuovo capo della Casa Bianca, anche per l’andamento del voto cattolico in questa complessa tornata elettorale.
Da parte della Santa Sede si ragiona in queste ore su tre punti: la necessità di unire il popolo americano dopo un lungo periodo di forte conflittualità interna; quindi emergono le attese – venate da una certa dose di scetticismo - per valutare se sulla volontà di fermare le guerre in corso, la nuova amministrazione fa su serio.
Infine non potevano mancare le preoccupazioni, non trasformatesi però ancora in allarme in un conclamato, rispetto al tema della tutela dei diritti dei migranti; anche in questo caso, infatti, si preferisce vedere se i roboanti proclami della campagna elettorale si tradurranno in fatti concreti.
D’altro canto, in Vaticano, come negli States, la Chiesa sta cercando di fare i conti anche con il mutato sentimento dell’elettorato cattolico, comprovato dai sondaggi precedenti il voto e confermato dai rilevamenti statistici realizzati a poche ore dalla chiusura delle urne che indicano una tendenza netta dei cattolici a favore di Trump, accompagnata da un rifiuto, anch’esso evidente, di dire no all’aborto. Ma andiamo con ordine.
Basta polarizzazioni
Di fronte a uno scenario tumultuoso, è stato il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, a esprimere la posizione del Vaticano. Intercettato dai giornalisti nel corso di un evento all’università Gregoriana di Roma, commentando l’elezione di Trump ha osservato: «All’inizio del suo mandato, gli auguriamo tanta saggezza perché questa è la virtù principale dei governanti secondo la Bibbia». «Io credo – ha quindi aggiunto - che deve lavorare soprattutto per essere presidente di tutto il Paese, quindi superare la polarizzazione che si è verificata, che si è avvertita in maniera molto molto netta in questo tempo».
A nome della Santa Sede, il cardinale ha poi espresso l’auspicio che il nuovo presidente Usa «possa davvero essere un elemento di distensione e di pacificazione negli attuali conflitti che stanno insanguinando il mondo». Su come questo obiettivo possa essere ottenuto, ha però aggiunto: «È difficile pronunciarsi su questi aspetti, vedremo che proposte farà, perché molti appunto sono rimasti sempre incerti. Per esempio quella famosa frase: "Il giorno dopo terminerà la guerra…”, ma come? Nessuno lo ha saputo mai dire e neppure lui ha dato indicazioni concrete su come. Vediamo adesso che cosa proporrà dopo che si sarà insediato».
Pe raggiungere la pace «ci vuole tanta umiltà, tanta disponibilità – ha affermato ancora il cardinale - ci vuole davvero la ricerca degli interessi generali dell’umanità, piuttosto che concentrarsi su interessi particolari. Io me lo auguro». Quindi, interrogato sul tema migranti e sulle parole di Trump relative alla più grande deportazione di migranti della storia, cui avrebbe dato seguito una volta eletto, Parolin ha osservato: «Noi siamo per una politica saggia nei confronti dei migranti e quindi che non si arrivi a questi estremi. Il Papa ha dato indicazioni molto precise, molto chiare su questo tema. Credo che sia l’unica maniera per affrontare il problema e risolverlo in maniera umana».
Aborto, il “tradimento” cattolico
Guardano più da vicino i dati emersi dalle elezioni de 5 novembre, si può dire che una buona maggioranza dei voti cattolici sia andata al candidato repubblicano (e fra questi una prevalenza più netta – oltre il 60 per cento - è certificata fra i cattolici maschi e bianchi, che significa un certo allineamento al voto protestante-evangelico, già da tempo considerato lo zoccolo duro del trumpismo), mentre in passato si divideva abbastanza equamente fra i due schieramenti.
Non solo: È ormai comprovato che la maggioranza dei cattolici Usa sull’aborto esprime posizioni "pro-choice” piuttosto che “pro-life”, lo dimostrano, fra le altre cose, i 7 referendum a favore del diritto d’aborto celebrati in altrettanti stati americani (Maryland, Missouri, Arizona, Colorado, New York, Montana e Nevada).
Senza contare che diverse altre consultazioni del genere si erano tenute in diversi stati, anche a guida repubblicana, nel corso dell’anno passato con identico risultato. Ancora, da segnalare come in Florida non sia passato un emendamento che introduceva il diritto all’aborto nella costituzione dello stato: erano necessari il 60 per cento dei voti favorevoli e il provvedimento ha raggiunto comunque una maggioranza assoluta del 57 per cento.
Infine su temi come l’immigrazione e l’economia – le due questioni risultate determinati per la vittoria di Trump - i cattolici si fidavano nettamente più del leader repubblicano che della democratica Kamala Harris, in questo condividendo l’orientamento diffuso in modo prevalente nel Paese.
Insomma anche per i vescovi Usa, che da sempre indicano il tema del no all’aborto come la prima questione sulla quale misurare la bontà di un partito o un candidato, ci sarà da riflettere, anche perché lo stesso Trump ha ammorbidito non poco le sue posizioni (dopo essere stato un intransigente pro-life) su una questione che, potenzialmente, gli potrebbe far perdere consensi nel prossimo futuro.
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