Francesco incontra il grande imam indonesiano e firma con lui una dichiarazione congiunta, ideale proseguimento della “Dichiarazione sulla fratellanza umana” del 2019 sottoscritta col grande imam di al-Azhar. La strategia del dialogo con l’islam parte da Giovanni Paolo II con gli incontri di Assisi e ha resistito all’11 settembre, alle guerre, ai califfati e ai nazionalismi
Con l’incontro con il grande imam Nasaruddin Umar a Giacarta nella moschea di Istiqlal, la più imponente di tutta l’Asia, si chiude idealmente un percorso di dialogo con l’islam che ha portato Francesco a incontrare alcuni dei principali leader religiosi musulmani del mondo.
Non solo: la firma di una dichiarazione congiunta fra il pontefice e l’imam costituisce l’ideale continuazione della Dichiarazione sulla fratellanza umana, sottoscritta ne 2019 negli Emirati Arabi, ad Abu Dhabi, da Francesco e dal grande imam di Al Azhar, Ahmad Al Tayyeb, una delle massime autorità religiose dell’islam sunnita.
Il pontefice fra le altre cose ha osservato: «Mi piace ricordare che questa moschea è stata progettata dall’architetto Friedrich Silaban, che era cristiano e si aggiudicò la vittoria del concorso. Ciò attesta che, nella storia di questa nazione e nella cultura che vi si respira, la moschea, come anche gli altri luoghi di culto, sono spazi di dialogo, di rispetto reciproco, di armonica convivenza tra le religioni e le diverse sensibilità spirituali.
Questo è un grande dono, che ogni giorno siete chiamati a coltivare, perché l’esperienza religiosa sia punto di riferimento di una società fraterna e pacifica e mai motivo di chiusura e di scontro». La tappa indonesiana della visita del pontefice si è poi conclusa con la messa celebrata nel Gelora Bung Karno Main Stadium, di fronte a decine di migliaia di persone.
Non va dimenticato, poi, che Bergoglio aveva incontrato nel 2021 in Iraq l’ayatollah al Sistani, esponente di punta dell’islam sciita, sostenitore di un Iraq indipendente dalle ingerenze straniere; nel 2023, in una lettera indirizzata proprio ad al Sistani, Francesco scriveva: «Caro fratello, siamo entrambi convinti che il rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona e di ogni comunità, in particolare la libertà di religione, di pensiero e di espressione, sia fonte di serenità personale e sociale e di armonia tra i popoli».
Nel 2024, ancora, Francesco, nel corso della sua visita a Istanbul, era andato anche nella celebre Moschea Blu, dove si era raccolto in preghiera silenziosa, accompagnato dal Gran Muftì, la massima autorità religiosa della Turchia, davanti al «mirhab», la nicchia che indica la direzione della Mecca, la città santa dell’islam. Un gesto analogo a quello compiuto dal suo predecessore, Benedetto XVI, nel 2006, nella stessa moschea di Istanbul. Un evento che, all’epoca, contribuì a smontare l’immagine di un Ratzinger proteso soltanto a difendere l’identità cristiana di stampo europeo e incapace di gesti di apertura verso il mondo islamico.
Di certo un forte impulso al dialogo fra le grandi tradizioni religiose, venne dato da Giovanni Paolo II, che inaugurò la stagione degli incontri interreligiosi di Assisi (il primo si svolse il 27 ottobre del 1986). Una strategia che fu messa a dura prova dalle tensioni scaturite dagli attacchi di al Qaida dell’11 settembre del 2001, e poi dai conflitti che si aprirono in Medio Oriente, a cominciare dalla guerra in Iraq scatenata dagli Stati Uniti. Senza contare il succedersi di conflitti a sfondo etnico religioso dal Caucaso, ai Balcani, allo stesso Medio oriente all’Asia, in cui spesso le correnti più estremiste dell’islam sono state protagoniste (anche se non sempre: si pensi alle persecuzioni cui sono sottoposte le popolazioni di etnia Rohingya del Myanmar, di fede musulmana, fatto evocato di frequente dal papa Francesco).
In un contesto segnato dunque dal terrorismo di matrice islamista, dal risorgere di improbabili califfati, da recrudescenze fondamentaliste, mentre cresceva la voragine che separava paesi ricchi e nazioni povere, la Santa Sede non ha mai cessato di cercare vie di dialogo e incontro per dare voce a quell’ampia parte di umanità che, a qualsiasi fede appartenga, desidera vivere in pace. Per fare questo non ha mai smesso di cercare interlocutori autorevoli per dare forza a impegni comuni che non vogliono essere solo simbolici. Così nell’arco di questi decenni è stata scritta una sorta di enciclica del dialogo interreligioso, in cui i papi hanno fatto non di rado il primo passo, trovando per questo accoglienza e riconoscimento in un islam che ha viveva anche fra vittimismo e senso di rivalsa.
Tutto questo ovviamente non cancella le difficoltà, «le strumentalizzazioni della religione» denunciate anche in Indonesia da Francesco, né d’incanto spariscono i problemi legati all’esercizio della libertà religiosa n determinate realtà; eppure il messaggio del papa è chiaro: «Cari fratelli e sorelle, promuovere l’armonia religiosa per il bene dell’umanità – ha detto nel discorso tenuto nella moschea di Giacarta – è l’ispirazione che siamo chiamati a seguire e che dà anche il titolo alla Dichiarazione congiunta preparata per questa occasione. In essa assumiamo con responsabilità le gravi e talvolta drammatiche crisi che minacciano il futuro dell’umanità, in particolare le guerre e i conflitti, purtroppo alimentati anche dalle strumentalizzazioni religiose, ma anche la crisi ambientale, diventata un ostacolo per la crescita e la convivenza dei popoli. E davanti a questo scenario, è importante che i valori comuni a tutte le tradizioni religiose siano promossi e rafforzati, aiutando la società a sconfiggere la cultura della violenza e dell’indifferenza».
© Riproduzione riservata