Il messaggio dopo la benedizione Urbi et orbi. Invia una lettera all’Espresso: «Bisogna anche avere il coraggio di dire “no” al riarmo». Si rivolge ai migranti e avverte i paesi d’arrivo: «Nessun uomo o donna sia discriminato e calpestato nella sua dignità»
Papa Francesco si prodiga per quanto possibile, ed è così che nel giorno di Pasqua si fa avanti in modo convenzionale e no per la pace. Da una parte classico messaggio dopo la benedizione Urbi et orbi, dall’altra scrivendo una lettera all’Espresso, che si guadagna la copertina del settimanale. Vuole la pace e il disarmo, e gli auguri sono inviati strategicamente a tutte le parti, Ucraina e Russia, israeliani e palestinesi.
I giorni in ospedale per la bronchite sembrano ormai superati. Venerdì sera il pontefice aveva seguito la via Crucis dalla sua residenza di Santa Marta per il freddo, ma ha regolarmente partecipato alla veglia pasquale e presieduto la messa di Pasqua. Nessun riferimento ai giorni della malattia: «A Pasqua, insomma, il cammino accelera e diventa corsa, perché l’umanità vede la meta del suo percorso, il senso del suo destino, Gesù Cristo, ed è chiamata ad affrettarsi incontro a lui, speranza del mondo», ha detto nella parte iniziale del suo messaggio.
Il messaggio
«Affrettiamoci a superare i conflitti e le divisioni e ad aprire i nostri cuori a chi ha più bisogno. Affrettiamoci a percorrere sentieri di pace e di fraternità. Gioiamo per i segni concreti di speranza che ci giungono da tanti Paesi, a partire da quelli che offrono assistenza e accoglienza a quanti fuggono dalla guerra e dalla povertà», ha detto alle 12 subito dopo la benedizione urbi et orbi.
«Lungo il cammino ci sono però ancora tante pietre di inciampo, che rendono arduo e affannoso il nostro affrettarci verso il Risorto». Ed è così che lancia il suo messaggio internazionale: «Aiuta l’amato popolo ucraino nel cammino verso la pace, ed effondi la luce pasquale sul popolo russo». Allo stesso modo prega per «i cuori dell’intera Comunità internazionale perché si adoperi a porre fine a questa guerra e a tutti i conflitti che insanguinano il mondo».
Cita la Siria, quanti sono stati colpiti dal violento terremoto in Turchia e nella stessa Siria. Il pontefice cita Gerusalemme e dimostra «viva preoccupazione per gli attacchi di questi ultimi giorni che minacciano l’auspicato clima di fiducia e di rispetto reciproco, necessario per riprendere il dialogo tra israeliani e palestinesi, così che la pace regni nella Città Santa e in tutta la Regione».
Prosegue poi con il Libano e la Tunisia, i pasi africani e asiatici in preda alle crisi economiche e sociali. Dedica un passaggio alla situazione migratoria: «Conforta i rifugiati, i deportati, i prigionieri politici e i migranti, specialmente i più vulnerabili». Con una parte per i paesi d’arrivo: «Ispira, Signore, i responsabili delle nazioni, perché nessun uomo o donna sia discriminato e calpestato nella sua dignità; perché nel pieno rispetto dei diritti umani e della democrazia si risanino queste piaghe sociali, si cerchi sempre e solo il bene comune dei cittadini, si garantisca la sicurezza e le condizioni necessarie per il dialogo e la convivenza pacifica».
Al termine «Pace a voi», ha ripetuto per tre volte.
La lettera
In mattinata è uscita la sua lettera all’Espresso. «Bisogna anche avere il coraggio di dire “no” al riarmo al quale stiamo purtroppo assistendo, perché la vera pace non può nascere dalla paura».
Ciò che serve, prosegue, è quello che sessant’anni fa san Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in terris, chiamava «disarmo integrale»: «Al criterio dell’assenza di guerra che si regge sull’equilibrio degli armamenti dobbiamo sostituire il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Capisco che a qualche orecchio queste parole possano sembrare utopistiche, specialmente in questo momento».
Per papa Francesco «è sano realismo: solo fermando la corsa agli armamenti, che sottrae risorse da impiegare per combattere la fame e la sete e per garantire cure mediche a chi non ne ha, potremo scongiurare l’auto-distruzione della nostra umanità».
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