Il papa è anche tornato a chiedere ai leader religiosi di levare la loro voce in favore della pace, in riferimento non solo alla guerra in Ucraina, ma anche alle tensioni crescenti fra Armenia e Azerbaigian intorno alla regione contesa del Nagorno-Karabakh.
- La visita di Bergoglio nel paese asiatico è entrata nel vivo, il papa ha condannato il fondamentalismo e l’ateismo di stato, ha parlato dell’importanza della libertà religiosa che non deve però mai diventare imposizione della fede.
- Francesco ha chiamato i leader religiosi ad affrontare quattro sfide comuni: la pandemia che ha mostrato le forti diseguaglianze della nostra epoca, la pace di fronte al moltiplicarsi dei conflitti, l’accoglienza quale risposta ai grandi flussi migratori, la salvaguardia dell’ambiente per le generazioni future.
- C’è stato anche spazio per un appello del pontefice affinché cessino gli scontri e le tensioni fra Azerbaigian e Armenia e le spese militari vengano convertite in aiuti alle popolazioni
«Non giustifichiamo mai la violenza. Non permettiamo che il sacro venga strumentalizzato da ciò che è profano. Il sacro non sia puntello del potere e il potere non si puntelli di sacralità». È questo un passaggio chiave del discorso pronunciato dal papa durante la sessione plenaria del VII Congresso dei leader mondiali delle religioni tradizionali in corso a Nur Sultan capitale del Kazakistan, dove Bergoglio si è recato in questi giorni. Il richiamo fatto da Francesco sembra ricalcare altri appelli simili lanciati dai suoi predecessori, da Wojtyla a Ratzinger, in riferimento alle strumentalizzazioni delle religioni compiute dai gruppi terroristici islamisti o dai settori più fanatici di varie confessioni compresa quella cristiana.
Separazione fra potere politico e fede
In parte è certamente così e lo stesso pontefice argentino lo ha ricordato nel suo intervento. E tuttavia le parole di Bergoglio sembrano riecheggiare quanto lui stesso disse del patriarca ortodosso russo Kirill in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera subito dopo l’inizio del conflitto in Ucraina: e cioè di non trasformarsi nel chierichetto di Putin. Che poteva sembrare una battuta velenosa detta al capo della chiesa ortodossa colpevole di aver difeso con fin troppo ardore le ragioni del Cremlino per giustificare l’invasione russa.
In realtà, il discorso è più ampio poiché papa Francesco da tempo insiste sulla separazione netta fra trono e altare, fra potere politico e religione, sulla necessità che non vi siano commistioni o ambiguità fra i due ambiti, temendo in particolare quei leader che alimentano le spinte nazionaliste e populiste cercando di accreditarsi come paladini della cristianità, magari intesa come immagine della Madonna portata nelle piazze o sotto forma di un cattolicesimo ideologico brandito quale estrema difesa di identità chiuse e in definitiva soffocanti e autoritarie. Ma è proprio questa visione del cristianesimo che, ha detto Francesco in varie occasioni, non esiste più, né come potere temporale né come cultura prevalente o più diffusa in occidente.
Per questo il papa chiede in primo luogo alla Chiesa di aprirsi al dialogo con la contemporaneità, e poi cambia il paradigma religioso sul piano generale, come ha fatto a Nur Sultan dinanzi ai leader di tante religioni differenti ai quali si è rivolto in questi termini: «Di fronte al mistero dell’infinito che ci sovrasta e ci attira, le religioni ci ricordano che siamo creature: non siamo onnipotenti, ma donne e uomini in cammino verso la medesima meta celeste».
In questo contesto, il papa ha sottolineato il valore della libertà religiosa, ha messo sullo stesso piano fondamentalismo e ateismo di stato (in riferimento esplicito alla passata esperienza sovietica del Kazakistan), ha rivendicato un ruolo pubblico per la voce dei credenti nelle società moderne senza che essa diventi imposizione o proselitismo aggressivo.
I leader religiosi si mobilitino per la pace
E poi, di fronte ai leader spirituali di islam, cristianesimo, buddismo, ebraismo, induismo, taoismo, zoroastrismo, shintoismo, nel tracciare le sfide globali che riguardano le religioni e il nostro tempo ha indicato quattro snodi ben precisi: la pandemia che ha mostrato le tante diseguaglianze che attraversano il mondo e la pace quale bene universale da raggiungere anche attraverso «le trattative pazienti».
«Negli ultimi decenni - ha ricordato nel merito Francesco - il dialogo tra i responsabili delle religioni ha riguardato soprattutto questa tematica. Eppure, vediamo i nostri giorni ancora segnati dalla piaga della guerra, da un clima di esasperati confronti, dall’incapacità di fare un passo indietro e tendere la mano all’altro. Occorre un sussulto e occorre, fratelli e sorelle, che venga da noi». Quindi ha indicato fra le priorità quella dell’ «accoglienza fraterna» perché «mai come ora assistiamo a grandi spostamenti di popolazioni, causati da guerre, povertà, cambiamenti climatici, dalla ricerca di un benessere che il mondo globalizzato permette di conoscere, ma a cui è spesso difficile accedere».
Non solo. Secondo il papa, «un grande esodo è in corso: dalle aree più disagiate si cerca di raggiungere quelle più benestanti. Lo vediamo tutti i giorni, nelle diverse migrazioni nel mondo». «Non è un dato di cronaca - ha aggiunto il pontefice - è un fatto storico che richiede soluzioni condivise e lungimiranti. Certo, viene istintivo difendere le proprie sicurezze acquisite e chiudere le porte per paura; è più facile sospettare dello straniero, accusarlo e condannarlo piuttosto che conoscerlo e capirlo». Infine Francesco ha parlato della «custodia della casa comune», perché «è la mentalità dello sfruttamento a devastare la casa che abitiamo. Non solo: essa porta a eclissare quella visione rispettosa e religiosa del mondo voluta dal Creatore».
Il tema della ricerca della pace e della via negoziale per risolvere i conflitti, è poi tornato al termine della messa che Francesco ha celebrato nella grande area dell’Expo Grounds a Nur Sultan di fronte ad alcune migliaia di fedeli; il papa è tornato a parlare dell’Ucraina, ma anche delle tensioni sorte negli ultimi giorni fra Armenia e Azerbaigian intorno alla regione contesa del Nagorno-Karabakh. «Ho appreso con preoccupazione - ha detto Francesco - che in queste ore si sono accesi nuovi focolai di tensione nella regione caucasica. Continuiamo a pregare perché, anche in questi territori, sulle contese prevalgano il confronto pacifico e la concordia. Il mondo impari a costruire la pace, anche limitando la corsa agli armamenti e convertendo le ingenti spese belliche in sostegni concreti alle popolazioni».
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