- Sulla scena sudanese, a qualche giorno da una tornata elettorale interna molto delicata, piomba il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan.
- I cessate il fuoco in Sudan ormai si susseguono a ritmi sostenuti, ma ad ogni firma apposta da entrambe le fazioni in lotta, corrispondono sistematiche violazioni che stanno rendendo la situazione di giorno in giorno più drammatica.
- A rendere i colloqui zoppi, se non del tutto incapaci di procedere, contribuisce al momento anche la totale assenza delle forze civili, protagoniste della rivoluzione che aveva condotto alla cacciata del despota al Bashir nel 2019 e ora fondamentali sul campo nelle poche tregue che reggono.
Sulla scena sudanese, a qualche giorno da una tornata elettorale interna molto delicata, piomba il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan. Nella giornata del 9 maggio ha sentito al telefono al Burhan, capo dell’esercito e leader di una delle fazioni in lotta, a cui ha detto di essere pronto a ospitare colloqui di mediazione per il paese ormai arrivato a quasi un mese di conflitto.
L’iniziativa arriva mentre proseguono a Gedda i colloqui tra delegati delle forze armate sudanesi e delle Rapid Support Forces (Rsf) iniziati lo scorso 6 maggio grazie alla mediazione di Arabia Saudita e Stati Uniti e ancora caratterizzati da scarsi risultati.
Le due fazioni sarebbero ancora in una fase di pre-negoziato e i progressi tardano a farsi evidenti. Il generale al-Burhan, ha dichiarato per bocca del suo inviato Dafallah Alhaj di «non essere disposto a negoziare con il generale Hemedti (il leader delle Rsf, ndr)» e fatto sapere che l’unica e imprescindibile precondizione per il cessate il fuoco è che le Rsf lascino le aree urbane, in particolare a Khartoum.
Colpa della Wagner
I cessate il fuoco in Sudan ormai si susseguono a ritmi sostenuti, ma ad ogni firma apposta da entrambe le fazioni in lotta, corrispondono sistematiche violazioni che stanno rendendo la situazione di giorno in giorno più drammatica.
Secondo alcune fonti l’esercito avrebbe il controllo del 70 per cento del territorio ma negli ultimi giorni, come riportato da Al Jazeera, ci sarebbero stati avanzamenti territoriali delle Rsf. Lo stallo dei colloqui, quindi, è dovuto al fatto che entrambe le parti credono ancora di poter risolvere il conflitto militarmente.
Le Nazioni unite hanno chiesto di essere della partita e di accogliere come terzo mediatore il sottosegretario e responsabile per gli aiuti umanitari Martin Griffiths, ma finora la richiesta non è stata accolta. A complicare un quadro già drammatico giungono un numero sempre maggiore di testimonianze sulla partecipazione attiva della milizia Wagner in supporto alle Rsf.
Numerosi rapporti, come afferma il sudafricano Daily Maverick, sostengono che l’unità dei paramilitari russi di stanza nella Repubblica Centrafricana abbia iniziato a fornire armi e munizioni all'Rsf attraverso un campo d'aviazione in Darfur.
Circolano poi una serie di video sui social media che mostrano truppe dell'Rsf con sistemi di difesa aerea portatili di recente acquisizione, probabilmente provenienti dalla Libia, mentre l’arrivo di combattenti mercenari stranieri attraverso il Ciad, il Mali e il Niger per sostenere i ribelli è ribadito da varie fonti. Se confermati, questi potenti rifornimenti di mezzi e uomini cambierebbero gli equilibri attualmente in campo.
La grande fuga
Ma a rendere i colloqui zoppi, se non del tutto incapaci di procedere, contribuisce al momento anche la totale assenza delle forze civili, protagoniste della rivoluzione che aveva condotto alla cacciata del despota al Bashir nel 2019 e ora fondamentali sul campo nelle poche tregue che reggono. La loro voce, oltre che sacrosanta, potrebbe tornare molto utile nella ricerca di un accordo. Il timore, inoltre, come riporta Africa Report, è che se si dovesse arrivare a un compromesso, sarebbe una nuova spartizione di potere che farebbe fuori la società civile.
Sono tantissimi nel frattempo i sudanesi che hanno lasciato il paese terrorizzati dal conflitto e che hanno trovato temporaneo rifugio in Stati a loro volta in condizioni di grave instabilità se non addirittura di conflitto. Secondo l’Africa Center for Strategic Studies in 30mila sono giunti in Ciad, in 6mila in Centrafrica, in circa 28mila in Sud Sudan, in 9mila in Etiopia e in 42mila in Egitto.
Un’intera regione, già sottoposta a livelli record di stress umanitario, con oltre 13 milioni di profughi in fuga dall’uno o dall’altro dei paesi sopra citati già prima dello scoppio del conflitto, si trova ora a rischio collasso specie se si aggiunge che sempre nella stessa area, 40 milioni di individui soffrono di grave insicurezza alimentare. A ogni ora che passa, il successo dei colloqui di Gedda da urgente si fa improrogabile.
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