Annunciato dal presidente della federazione russa nell’agosto 2020, il primo vaccino registrato al mondo è stato oggetto di scetticismo e di scherno nel dibattito scientifico e nell’opinione pubblica internazionale. Ma si è rivelato più importante del previsto
- Annunciato dal presidente Vladimir Putin nell’agosto 2020, il primo vaccino registrato al mondo è stato oggetto di scetticismo e di scherno nel dibattito scientifico e nell’opinione pubblica internazionale, ma ora aumentano i paesi che lo vogliono adottare.
- Come in altri paesi, la logistica, l’organizzazione e la produzione frenano la somministrazione dello Sputnik nel vasto territorio della Federazione russa.
- La partita del vaccino si sta giocando a livello globale sul piano economico e politico, mettendo in luce tutte le fragilità dell’ordine liberale internazionale e segnando un punto a favore nella politica estera russa.
«Chi disprezza, compra». Nessun altro proverbio è più efficace per descrivere la dissonanza cognitiva sul “caso Sputnik” cui abbiamo assistito in questi mesi. Annunciato dal presidente Vladimir Putin nell’agosto 2020, il primo vaccino registrato al mondo è stato oggetto di scetticismo e di scherno nel dibattito scientifico e nell’opinione pubblica internazionale.
Tuttavia il riconoscimento della notevole efficacia (91.6 per cento e il 100 per cento di prevenzione per le gravi infezioni) del vaccino da parte della rivista scientifica The Lancet lo scorso 2 febbraio, i giudizi molto positivi espressi da Anthony Fauci e l’evidente difficoltà dell’Ue di garantire la distribuzione dei vaccini già approvati dall’Ema, hanno, da un lato, ridimensionato i dubbi sull’affidabilità dello Sputnik e, dall’altro, avviato la corsa alla sua registrazione in 47 paesi e alla sua somministrazione in 17.
Particolare scalpore ha suscitato l’avvio della trattativa dell’Austria e della Repubblica ceca con la Russia e la somministrazione dei primi lotti di Sputnik in Ungheria e Slovacchia senza l’approvazione dell’Ema. La validità del farmaco russo ha quindi minato la coesione interna dell’Ue e ha favorito accordi bilaterali a effetto domino.
In Italia alle “manifestazioni di interesse” dei presidenti di alcune regioni si è aggiunta una collaborazione scientifica tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca, dove è stato messo a punto il vaccino, con l’obiettivo di avviare una filiera di produzione nel Lazio. Il primo contratto europeo è stato raggiunto tra il Fondo russo per gli Investimenti e la società svizzera Adienne PhBiotech per la produzione di 10 milioni di dosi entro l’anno negli stabilimenti italiani.
Anche la cancelliera Angela Merkel ha proposto a Putin una co-produzione del vaccino e ha individuato il partner tedesco (R-Pharm GmBH) necessario per avviare la procedura di approvazione alla sua commercializzazione.
A tal riguardo abbiamo assistito ad uno scambio di accuse reciproche tra la Russia, che aveva dimostrato in un Twitter dell’account Sputnik di aver già presentato la documentazione richiesta (datata 29 gennaio), e l’Ema che negava di aver ricevuto la domanda della rolling review per poi formalizzarla lo scorso 4 marzo.
Nella classifica mondiale delle vaccinazioni effettuate la Russia si attesta al nono posto, al quarto posto per numero di contagiati ed è ottava per numero di decessi, con un incremento del tasso di mortalità del 19.6 per cento in un anno, pari alla popolazione di due città come Smolensk e Jakutsk.
I dati disponibili
Per avere un quadro generale del numero dei vaccinati si può accedere al sito Gogov.ru, che è il primo e unico portale russo in cui sono raccolti i dati provenienti dal ministero della difesa, dalle istituzioni locali, dai bollettini medici e dalle segnalazioni dei cittadini.
Dal 18 febbraio 2021, data dell’inizio della vaccinazione di massa gratuita (privatamente costa tra i 20 e 50 euro a dose), al 9 marzo risultano 5.149.589 (3.51 per cento della popolazione) somministrazioni della prima dose e 1.544.760 anche della seconda per un totale di 6.694.349 persone (4.57 per cento).
Se la media giornaliera è pari a 148.427 inoculazioni della prima dose, si stima che per vaccinare almeno il 50 per cento della popolazione ci vorrebbero 460 giorni.
Pure in Russia la vaccinazione sta perciò procedendo lentamente, ma vi sono alcuni elementi che potrebbero accelerare il processo. Per prima cosa, la commercializzazione di una versione “light” dello Sputnik, che prevede un’unica somministrazione, eliminando il richiamo dopo 21 giorni, e l’utilizzo di altri due vaccini EpiVakCorona, che verrà avviato da metà marzo, e Kovivak, alla terza fase del test. Oltre ad altri due spin off.
Al contempo, il ministero della salute sta cercando di risolvere i problemi di logistica e di organizzazione che suscitano il divario fra il centro (Mosca,) ben attrezzato e organizzato grazie alla buona gestione del sindaco, Sergej Sobjanin, e la vastissima periferia con una situazione sanitaria precaria. Anche il presidente Putin si è lamentato del fatto che nove regioni non abbiano ancora ricevuto il vaccino e ha esortato le autorità a garantire la distribuzione di otto milioni di dosi previste dalla tempistica del piano vaccinale.
Una critica emersa nella pubblicistica occidentale riguarda il fatto che «nemmeno i russi si vogliono vaccinare». Ne è prova lo stesso presidente, che non si è ancora sottoposto all’inoculazione, e vive, secondo i suoi detrattori, rinchiuso in un bunker.
Posto che anche altri leader europei non l’hanno ancora fatto, per Putin, nel solco della tradizione sovietica, è importante che il messaggio sia quello della “priorità al popolo”. Tant’è vero che il suo portavoce Dmitrij Peskov ha ribadito che presto anche il presidente sarà vaccinato e comunque la prova di affidabilità del vaccino è stata offerta in diverse occasioni.
È stato infatti somministrato alla figlia di Putin in agosto e ad altri membri del governo e dell’opposizione in autunno.
La diffidenza dei russi
Per capire le motivazioni della diffidenza dei russi nei confronti del vaccino Sputnik è possibile avvalersi della rilevazione, condotta fra il 18 e il 24 febbraio e pubblicata il 1 marzo, su un campione di 1600 persone dall’istituto indipendente Levada Center.
Sin dall’inizio la popolazione russa è stata piuttosto reticente a riconosce l’esistenza del coronavirus e il pericolo da esso rappresentato. Il 56 per cento degli intervistati ha da ultimo dichiarato di non avere paura del contagio. È un valore che un anno fa si attestava al 68 per cento.
Tra coloro che non hanno timore del virus, il 42 per cento conosce amici o colleghi che sono stati ammalati, il 17 per cento è stato ammalato, il 22 per cento ha avuto un parente ammalato, mentre il 28 per cento dei rispondenti ammette di non conoscere nessuno che si sia ammalato.
È in secondo luogo interessante lo scostamento tra dicembre 2020, quando il 58 per cento degli intervistati non era pronto a farsi vaccinare (contro il 38 per cento disponibile), e febbraio 2021 quando la percentuale dei contrari è aumentata al 62 per cento, mentre è diminuita al 30 per cento quella dei favorevoli.
Tra coloro che dichiarano di non avere paura del virus il 69 per cento non accetta l’inoculazione e solo il 24 per cento è favorevole, ma è eclatante il 37 per cento di coloro che sono pronti a fare il vaccino e il 52 per cento che è contrario tra quanti temono il virus.
In sostanza, l’assenza o la presenza di paura non cambia la diffidenza nei confronti del vaccino perché il 37 per cento teme gli effetti collaterali (il 29 per cento nel 2020), il 30 per cento vuole aspettare la fine di tutti i test, il 16 per cento lamenta la mancanza di postazioni, mentre il 10 per cento è contrario a qualsiasi tipo di vaccinazione.
Non rientra nella batteria di domande di questa rilevazione la sfiducia nei confronti delle istituzioni russe. Il dato per fascia d’età ci consente di esplorare meglio questo fenomeno.
Ben il 75 per cento dei giovani tra i 18-24 anni e il 73 per cento tra i 25-39 non vogliono essere vaccinati, mentre tra gli over 55 il 40 per cento è favorevole e il 49 per cento è contrario. Le generazioni più giovani hanno un’ampia gamma di fonti di informazione rispetto a quelle più anziane, che guardano prevalentemente la tv statale.
La diffusione nei social di notizie, provenienti anche dall’estero, che hanno enfatizzato la pericolosità del vaccino russo a causa dei mancati controlli, la diffusione di meme e foto che mostrano corpi deformati dopo l’inoculazione, hanno sicuramente influenzato la fiducia verso Sputnik.
La “campagna negativa” contro il vaccino russo ha suscitato, infatti, la reazione del ministro della difesa, Sergej Shoigu, che ha denunciato la diffusione di fake news da parte dell’Occidente per indebolire l’immagine della Russia.
Come rileva Vladimir Gel’man, politologo dell’Istituto universitario europeo di San Pietroburgo, il vaccino Sputnik può essere annoverato tra le “storie di successo” che hanno caratterizzato le scoperte tecnologiche e scientifiche dell’URSS e, ora, della Russia postcomunista.
La Russia sottovalutata
La tendenza occidentale di sottovalutare e sminuire gli avanzati laboratori scientifici russi si è scontrata con un elevato livello di expertise dell’apparato medico-militare, che ha anche lavorato ai programmi contro l’ebola. E questo spiegherebbe la reticenza russa nel ritardo della richiesta all’Ema, che dovrebbe ispezionare i siti di produzione del vaccino, oggetto delle recenti sanzioni americane perché ritenuti parte del “programma di armi chimiche” del governo russo.
Di questi centri fanno parte alcuni medici che hanno partecipato alla missione umanitaria “Dalla Russia con amore” che ha suscitato tanto scalpore da indurre un giornalista italiano ad invocare «l’invasione russa del nostro paese» per l’arrivo di 111 militari guidati dal generale Sergej Kikot, ignorando che le operazioni della protezione civile russa dipendono dal ministero della difesa russo e che, certamente, gli Usa in primis e la NATO non sarebbero rimasti a guardare.
Non si esclude tuttavia che l’aiuto rivolto a un “popolo amico” sia stata anche un’operazione di intelligence sanitaria, che ha consentito ai medici di fare ricerca sul campo in un paese che era il principale focolaio europeo raccogliendo dati sul virus utili a sviluppare un vaccino prima degli altri paesi.
Nello scacchiere internazionale si sta giocando una partita dove la Russia (come del resto la Cina) gode di “sovranità vaccinale” e utilizza Sputnik come strumento di soft power e di penetrazione in aree di interesse (America latina, Balcani, Africa e spazio post-sovietico).
Per contro, gli Stati Uniti non hanno svolto il ruolo di leader globale nella crisi pandemica e l’Ue ha dapprima sottovalutato la gravità della situazione e, poi, non ha gestito efficacemente il suo piano vaccinale, lasciando prevalere una logica imprenditoriale ad esclusivo interesse delle case farmaceutiche.
Putin ha sempre sostenuto che il vaccino dovrebbe essere «proprietà comune dell’umanità», ma lo scontro politico fra Occidente e Oriente non ha consentito quello spirito di collaborazione che ritroviamo nel significato originario del termine Sputnik, “compagno di viaggio”, che avrebbe potuto conciliare la messa a punto del vaccino con la sua produzione su scala mondiale a beneficio di tutto il pianeta.
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