- La candidata governatrice dell’Arizona ha poco a che fare con il conservatorismo di due icone politiche novecentesche come i senatori Barry Goldwater e John McCain, entrambi eletti nello stato.
- La sua cifra politica è la fedeltà all’ex presidente Donald Trump. Esattamente quello che serve in un partito trasformato a sua immagine e somiglianza.
- Lake non ha una visione che può dire sua. E questo a Trump e al suo cerchio magico piace moltissimo. Nessun rischio di rottura, come quella in corso con il governatore della Florida, Ron DeSantis, che di fatto esprime le stesse idee di Lake ma ha ambizioni presidenziali per il 2024 che confliggono con quelle di Donald Trump.
L’Arizona ha sempre rappresentato un laboratorio importante per il conservatorismo americano, lanciando nell’agone politico americano delle figure che più di altre hanno rappresentato il prodotto di questo singolare laboratorio politico: ultima, in ordine di tempo, è la candidata governatrice Kari Lake a incarnare alla perfezione lo spirito del tempo, corrispondente al trumpismo aggiornato al 2022.
Le ragioni di questa peculiarità sono molte: l’Arizona è stato l’ultimo stato continentale a essere ammesso nell’Unione nel 1912, ha sempre avuto un apparato statale leggero e ha rappresentato, per la prima metà del Novecento, un’opportunità per chi voleva fare la sua fortuna allevando bestiame, coltivando cotone o cercando terreni ricchi di rame.
Tutte attività che con la Grande depressione hanno subìto una battuta d’arresto, ma che nel secondo Dopoguerra sono state in gran parte sostituite dal turismo naturalistico e paesaggistico (nello stato ci sono le due maggiori riserve nativo-americane degli Stati Uniti, quella dei Navajo e quella degli Hopi), settori aiutati dall’avvento dell’aria condizionata, che ha fatto esplodere il settore immobiliare, rendendo molto più sopportabili le lunghe estati roventi.
Made in Arizona
Insomma, un ambiente estremamente favorevole al business e diffidente delle regolamentazioni provenienti dai burocrati di Washington. Così è nata la carriera politica di uno dei padri fondatori del moderno conservatorismo, Barry Goldwater, senatore e candidato perdente alle presidenziali del 1964, alfiere di una cancellazione totale dell’eredità del New Deal in favore di un ritorno ai ruggenti anni Venti e alle loro infinite possibilità, in vecchiaia fautore di una svolta libertaria a favore dei diritti Lgbt, anche per quanto riguarda il loro servizio delle forze armate.
La sua posizione però, negli ultimi anni, era già molto isolata. Una nuova forma di repubblicanismo prese piede, sull’onda della vittoria di Ronald Reagan, erede politico di Barry Goldwater: un’istanza politica che mischiava il messaggio antistatalista e liberista con un massiccio rafforzamento dell’apparato militare.
Chi meglio di John McCain, erede di una dinastia di militari, reduce dal Vietnam pluridecorato per aver resistito alla prigionia dei Vietcong, poteva prendere quindi il testimone da un Goldwater che con il suo cambiamento senile era ormai fuori target con i suoi elettori, che non apprezzavano nemmeno la sua opposizione alla crescente forza delle chiese evangeliche.
McCain, per anni, ha rappresentato quasi un idealtipo di repubblicano: duro nel difendere i princìpi ma molto signorile nei rapporti personali con gli avversari. Come Goldwater, però, McCain era molto antirazzista e aperto all’inclusività dei migranti messicani e al loro contributo all’economia dello stato.
Il partito di McCain
Con la crescita dei flussi però, anche l’argomento economico in favore di un afflusso di migranti controllato è venuto meno: a partire dal 2015, con la sua candidatura alle primarie presidenziali repubblicane, Donald Trump ha scosso alle fondamenta questo sistema valoriale, sostituendolo con un nazional-conservatorismo protezionista che strizza l’occhio a un razzismo a volte nemmeno troppo velato.
Il governatore uscente, Doug Ducey, ha tentato di mantenersi in equilibrio tra questi due mondi, ma nel febbraio 2019. con l’elezione a presidente del partito repubblicano statale di Kelli Ward, soprannominata “Chemtrail Kelli”, osteopata prestata alla politica e nota per essere una cospirazionista sui più vari argomenti, questo equilibrio si è rotto.
A fine anno, l’ultimo tweet mandato dall’account ufficiale del partito è stato inequivocabile: “Non torneremo mai più a essere il partito di John McCain”.
La conversione
Arriva dunque così il momento di Kari Lake, classe 1966, ex reporter della tv locale Ksaz-Tv, di proprietà di Fox News. Nessun background conservatore per lei, anzi: nel 2008 si registra nelle liste del partito democratico dopo la vittoria di Obama ai caucus dell’Iowa. E ci resta fino al 2012, quando passa col partito repubblicano nuovamente.
Questo non le impedisce di essere scelta nel marzo 2016 tra vari giornalisti locali per intervistare proprio il presidente Obama alla Casa bianca, con toni anche affettuosi. Cosa ha portato a questo cambiamento? Non abbiamo una risposta chiara.
Qualche ex collega dice l’opportunismo, qualcun altro parla di una crescente insofferenza alle norme del politicamente corretto. Non importa: quello che conta è la sua sbandierata fedeltà al presidente Donald Trump e alla sua agenda, che prevede, tra le altre cose, il negazionismo completo dei risultati elettorali delle presidenziali 2020, elezioni ovviamente “rubate” da Joe Biden. Quest’ultimo nell’ultimo biennio avrebbe portato avanti non soltanto un’agenda politica di sinistra, ma sarebbe l’alfiere di un progetto “demoniaco”.
Importa la fedeltà
Lake ha chiesto più volte dal palco dei comizi l’arresto di alcuni suoi ex colleghi giornalisti liberal e della segretaria di Stato Kate Dobbs, sua avversaria per la carica di governatrice per aver “truccato” il voto nel 2020. Non manca in tutto questo mix di complottismo con una parvenza politica di destra radicale anche l’opposizione all’uso della mascherina e a qualsiasi obbligo vaccinale.
Argomenti come il liberismo e il conservatorismo scompaiono di fronte a questa valanga di idee raffazzonate che hanno in comune soltanto il fatto di essere apprezzate da Donald Trump. Del resto, Kari Lake ha puntato tutto il suo credito politico proprio su questa vicinanza al presidente. Anche più del candidato al Senato Blake Masters, che pure esprime una visione fortemente nazional-conservatrice.
Lake non ha una visione che può dire sua. E questo a Trump e al suo cerchio magico piace moltissimo. Nessun rischio di rottura, come quella in corso con il governatore della Florida, Ron DeSantis, che di fatto esprime le stesse idee di Lake ma ha ambizioni presidenziali per il 2024 che confliggono con quelle di Donald Trump.
Del resto, già nel marzo 2017 l’ex presidente aveva detto in un colloquio con l’allora capo dell’Fbi James Comey che lui dai collaboratori non chiedeva onestà, bensì “fedeltà”. Lake risponde perfettamente a questi desiderata. Una sua vittoria (possibile, secondo i sondaggi) aprirebbe la via a candidati come lei, pronti a cambiare idea a un cenno del leader intoccabile Donald Trump.
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