Papa Francesco ha nominato ventuno nuovi cardinali. Diciotto di questi sono elettori, tre hanno invece già compiuto 80 anni. L’analisi
Il nono concistoro per la creazione di nuovi cardinali tenuto da papa Francesco si è svolto alla vigilia del sinodo, con qualche novità ma in un contesto molto difficile. Anche per motivi che investono il collegio cardinalizio, il cui compito principale è l’elezione del pontefice. Innanzi tutto, per il caso Rupnik: in appoggio del mosaicista che ormai non è più gesuita – scomunicato e poco dopo riabilitato, è stato espulso dall’ordine per aver commesso gravi abusi su donne – di recente si è infatti schierato il vicariato di Roma guidato dal cardinale Angelo De Donatis, e proprio in un momento in cui diversi media internazionali si stanno sempre più ponendo domande sul ruolo, tuttora non chiarito, svolto dal pontefice nello spinoso affare.
Nei giorni scorsi, poi, davanti al tribunale vaticano è iniziata l’ultimo tratto del processo per malversazioni finanziarie, caratterizzato da un iter molto lungo e altrettanto criticato, dove tra gli accusati figura anche Angelo Becciu, uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco nella Segreteria di stato. Prima ancora dell’inizio del procedimento, più di tre anni fa, il prelato sardo è stato escluso – pur mantenendo il titolo e alcune prerogative cardinalizie – dal diritto di voto attivo nel futuro conclave. Diritto che invece mantiene un altro elettore, il francese Jean-Pierre Ricard, nonostante abbia ammesso nei confronti di una minorenne abusi per i quali è stato sanzionato da Roma.
Ventuno nuovi cardinali
Sullo sfondo di queste tre vicende, non ancora concluse, gravide di conseguenze e che potrebbero affiorare anche durante il sinodo, il pontefice ha creato 21 cardinali: di essi 18 sono elettori mentre 3 non entreranno in conclave perché hanno già compiuto ottant’anni. Le norme sull’elezione del papa escludono infatti dal diritto attivo di voto gli ultraottantenni.
Questa decisione, senza precedenti, venne presa nel 1970 da Paolo VI, che in questo modo ridusse di un quinto il collegio degli elettori: all’inizio del 1971 – quando entrò in vigore il motuproprio Ingravescentem aetatem di papa Montini – a perdere di colpo la possibilità di entrare in conclave furono infatti ben 25 cardinali su 126, in buona parte curiali e per metà italiani, quasi tutti creati dai pontefici precedenti. Nell’ultimo mezzo secolo, saggiamente, nessun papa ha modificato il provvedimento, cosicché la normativa che regola sede vacante ed elezione del pontefice è in sostanza quella che risale a Paolo VI, con qualche ritocco.
Molto aspre furono allora le reazioni degli esclusi dal diritto di voto: fecero scalpore le crude affermazioni di Alfredo Ottaviani, che aveva retto l’antico Sant’Uffizio, e del francese Eugène Tisserant, autorevole decano del «sacro collegio» (così era denominato il «Senato del papa» fino al 1983, da allora «collegio cardinalizio»). Alle critiche replicò, spiegando e difendendo la decisione di Montini, il loro collega Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino: «È vero, c’è il rischio che il conclave debba rinunciare al contributo di qualche cardinale di grande esperienza; ma è più grave il rischio opposto, che giunga al voto un cardinale non più in possesso delle piene facoltà mentali. E anche un solo voto può essere determinante, per eleggere un papa».
137 elettori
Nel quadro della riforma del conclave Montini stabilì anche un tetto massimo per il numero di elettori, fissandolo a 120, ma poi lo stesso Paolo VI lo oltrepassò, come più volte hanno fatto i suoi successori, compreso Bergoglio. Con questo concistoro – finora il più numeroso di papa Francesco – si è arrivati così alla cifra senza precedenti di 137 elettori. Bisogna però aggiungere che nei quattro conclavi successivi alle disposizioni di Paolo VI, il limite di 120 è stato rispettato: nei due conclavi del 1978 sono infatti entrati 111 cardinali e 115 sono stati in quelli del 2005 e del 2013.
Infatti, entro la fine del 2024 a perdere il diritto di voto per ragioni di età saranno ben 18 cardinali, quasi tutti non europei, e questo spiega il macroscopico sfondamento del tetto deciso da papa Francesco. E nel collegio – oggi composto da 242 cardinali, mai così tanti – i non elettori sono 105, ma già domani saliranno a 106, perché perde il diritto di votare in conclave l’arcivescovo emerito di Dhaka, il primo cardinale bengalese. Con l’allungamento della vita è dunque prevedibile che il numero degli ultraottantenni si avvicini sempre più a quello degli elettori.
Mondializzazione del collegio
A ogni creazione cardinalizia viene sottolineata, insieme alla crescita numerica, la mondializzazione del collegio, voluta soprattutto da Pio XII e da Paolo VI, poi continuata da Giovanni Paolo II e portata al culmine da Francesco. «Non devono forse essere scelti da tutto il mondo coloro che il mondo dovranno giudicare?» si chiedeva già intorno al 1145 – e cioè alle origini del sacro collegio – Bernardo di Chiaravalle descrivendo gli elettori del papa. Ma i primi passi per realizzare l’auspicio del santo medievale risalgono al pontificato di Pio IX, oltre sette secoli più tardi.
È papa Mastai a ridurre il numero dei cardinali italiani: da quasi l’80 per cento – percentuale stabile nei secoli dell’antico regime – scendono al 58 per cento nel 1878, alla fine del suo lunghissimo pontificato. Ma la vera rivoluzione si ha nel 1946 con il primo concistoro di Pio XII: dei 32 nuovi cardinali creati da Pacelli subito dopo la Seconda guerra mondiale ben 28 sono infatti di altre nazioni. Così alla morte di Pio XII nel 1958 gli italiani crollano al 27 per cento. La tendenza viene molto accelerata da Paolo VI, portando nei conclavi tenutisi dal 1978 a una sostanziale parità numerica tra europei e non europei, fatto che spiega la successione degli ultimi tre papi non italiani.
Francesco ha spinto ulteriormente in questa direzione. Così oggi i cardinali elettori non europei superano quelli europei, scesi sotto il 40 per cento, e in questo quadro gli italiani sono intorno al 12 per cento, il minimo storico. Inoltre, il primo pontefice non europeo da tredici secoli – coerente con la propria convinzione del valore rappresentato dalle periferie – ha moltiplicato i paesi presenti nel collegio cardinalizio, a volte molto piccoli e dove i cattolici sono minuscole minoranze. Anche se bisogna tenere presente che alcuni cardinali di queste nazioni sono europei: un missionario italiano rappresenta la Mongolia, un salesiano spagnolo il Marocco e altri suoi connazionali alcuni paesi latinoamericani.
Previsioni papali
Sarebbe dunque logico ripetere per un non europeo quanto disse Montini ai seminaristi di Milano undici giorni prima di essere eletto nel conclave del 1963: «Non c’è mai stata tanta probabilità come in quest’ora della chiesa che il papa non sia italiano. E non sarebbe niente di strano. L’ecumenismo porta a questo, non è vero? E forse l’ora è matura perché ci sentiamo fratelli con uno che non è della nostra lingua e della nostra nazione. Ma sarà quel che Dio vorrà». La storia ha però smentito il più delle volte i pronostici sulle elezioni papali.
Le previsioni non sono un esercizio facile, soprattutto prima del tempo, anche per la difficoltà di entrare nell’ottica e nelle reali dinamiche degli elettori, su questo tendenzialmente riservati. A questo si aggiungono oggi – come ha ricordato Thomas Reese, uno specialista in materia – non solo l’accentuata varietà degli elettori ma soprattutto la scarsa conoscenza reciproca tra i cardinali. Tanto che il gesuita statunitense è arrivato a suggerire, sul National Catholic Reporter, di abbandonare l’idea di conclavi brevi, come quelli degli ultimi due secoli, nonostante la crescente pressione mediatica: «È meglio prendere due settimane per eleggere un papa piuttosto che votarlo rapidamente con una conoscenza insufficiente».
Insieme ai cardinali più noti di Benedetto XVI (O’Malley, Sarah, Marx, Filoni, Dolan, Tagle), dei 142 creati da Francesco in nove concistori non sono molti quelli che ricorrono con qualche frequenza nei media e sono dunque conosciuti al di là di cerchie ristrette: gli italiani Parolin, Becciu, Zuppi, il tedesco Müller, il birmano Bo, lo statunitense Farrell, lo svedese Arborelius, il maltese Grech, il coreano You. E tra quelli creati ieri – in media relativamente giovani – spiccano lo statunitense Prevost, l’argentino Fernández, detto «il teologo del papa», l’italiano Pizzaballa, primo patriarca latino di Gerusalemme a divenire cardinale, il sudafricano Brislin, lo spagnolo Cobo, il cinese Chow. Non è stato invece incluso nel collegio cardinalizio Svjatoslav Ševčuk, l’arcivescovo maggiore degli ucraini greco-cattolici, ed è una grande assenza.
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