Le forze armate del Libano vivono oramai da anni un complicato rompicapo militare e politico. Hanno la fiducia dei cittadini, ma sono 118esime su 145 nella classifica del Global Firepower
L’offensiva israeliana e le tensioni con la missione di pace dell’Onu Unifil hanno riacceso i riflettori sulla profonda crisi politica e istituzionale che paralizza il Libano: in questo quadro, l’immobilismo delle Forze armate libanesi (Laf) appare come un segnale ulteriore della fragilità di Beirut, incapace di esercitare un ruolo concreto sul proprio territorio. L’esercito regolare del Libano vive infatti un rompicapo militare e politico, alla ricerca di un ruolo chiaro in un paese ormai sgretolato da anni di instabilità.
Per il momento, le forze libanesi collaborano con Unifil nel sud del paese, supportando dal 2006 la missione Onu nell’area tra il fiume Litani e la Linea Blu. Nelle ultime settimane, al confine meridionale quattro membri delle forze libanesi sono stati uccisi e diversi altri feriti dal fuoco israeliano, ma le possibilità che questo esercito possa reagire o intervenire nel conflitto, in qualsiasi senso, sono molto basse. A scoraggiare un possibile intervento ci sono molteplici fattori, tra cui l’impreparazione e le scarse risorse di cui dispongono le Laf, le relazioni con i partner occidentali e i calcoli politici che guardano già alla fine del conflitto.
Un esercito fragile
La debolezza strutturale è senza dubbio l’ostacolo più tangibile a un intervento sul campo: l’organizzazione di valutazione militare Global Firepower ha classificato l’esercito del Libano al 118° posto su 145 paesi, e le forze libanesi non dispongono di aerei da combattimento, possiedono carri armati obsoleti e hanno poco più di 70mila soldati attivi, molti dei quali svolgono due o tre incarichi. Mancano sistemi di difesa aerea, tecnologie radar avanzate, veicoli corazzati e supporto di intelligence; l’esercito non ha una rete di bunker o altre strutture fortificate su cui fare affidamento, per cui la maggior parte delle postazioni potrebbero facilmente essere colpite dall’artiglieria o dall’aviazione nemica. Infine, un soldato semplice può guadagnare meno di cento euro al mese, una cifra che costringe molti militari a cercare lavori supplementari per sostenersi.
Essere numericamente e tecnologicamente inferiori è solo una parte del problema, perché anche gli equilibri geopolitici sono molto intricati: se sul piano interno c’è da tenere in considerazione il monopolio di Hezbollah, anche spostando lo sguardo fuori dal Libano la situazione appare molto intricata. Dal 2006, gli Stati Uniti hanno speso più di tre miliardi di dollari per le Laf e hanno contribuito persino agli stipendi del personale durante la recente crisi economica del paese. Sarebbe quindi un controsenso immaginare, come ha fatto qualcuno, che le Laf possano usare equipaggiamenti pagati da Washington contro Israele, un alleato chiave dell’Occidente.
Un ruolo difficile
L’esercito libanese si trova costretto a camminare su un filo sottile, cercando di bilanciare il suo ruolo di difensore del territorio con la dipendenza cruciale dagli aiuti internazionali, in particolare dagli Stati Uniti. Questa fragile posizione obbliga le Forze armate libanesi a mantenere una neutralità strategica che, per il momento, appare necessaria per evitare ulteriori tensioni tra le diverse comunità del paese. La missione dei militari libanesi ha storicamente messo al primo posto la tutela della stabilità interna, piuttosto che una postura difensiva convenzionale. Dopo l’indipendenza del paese nel 1943, le Laf hanno gradualmente acquisito il ruolo di arbitro tra alleanze settarie e politiche, nonostante il complesso gioco delle élite confessionali per gestire le proprie reti clientelari. Dalla fine della guerra civile nel 1990, hanno agito principalmente come baluardo interno, nonostante secondo molti, dopo la fine della guerra e dopo il ritiro delle forze di occupazione siriane nel 2005, le fazioni rivali del Libano non avessero interesse a vedere le Laf emergere come una forza nazionale forte e multiconfessionale.
Questo paradosso, unito alle forze geopolitiche che hanno plasmato l’ordine politico libanese del dopoguerra, ha portato all’ibridazione della sicurezza, in cui attori militari non statali come Hezbollah mantengono sia l’autonomia operativa che la legittimità della sicurezza nazionale. Durante questo periodo di dualismo militare, le Laf e Hezbollah hanno convissuto nonostante le loro divergenti ragioni d’essere. Ora il conflitto totale con Israele potrebbe cambiare molte cose: l’indebolimento di Hezbollah potrebbe restituire nuovi margini di manovra alle istituzioni libanesi, con gli Stati Uniti che nelle scorse settimane hanno segnalato il loro desiderio di un reset politico, che potrebbe partire proprio dalle forze armate.
La fiducia dei cittadini
L’esercito libanese è infatti considerato come una delle poche istituzioni nazionali ancora funzionanti, e i sondaggi hanno confermato la fiducia dei cittadini: in molti auspicano che le Laf possano giocare un ruolo di rilievo al termine del conflitto, ad esempio intervenendo tra le varie comunità del paese per facilitare o far rispettare qualsiasi accordo di pace. L’esercito è visto poi come l’unica istituzione non partigiana in Libano ed è rispettato da persone di tutto lo spettro religioso; potrebbe quindi essere l’unico attore in grado di mediare in caso di tensioni.
C’è già chi guarda al comandante in capo delle Forze armate Joseph Aoun come futuro leader libanese: le prime voci sulla sua possibile candidatura erano state sollevate nel luglio 2022, con il Qatar che aveva dichiarato il proprio sostegno durante una visita diplomatica, promettendo di sostenere l’esercito con aiuti finanziari e militari, seguito anche dagli Stati Uniti. Un anno prima, Aoun era diventato popolare sui social media grazie a un discorso sulla situazione locale e regionale. Rivolgendosi alla classe politica, si era concentrato sulla crisi economica e sul suo impatto sul personale militare: «Dove stiamo andando? Cosa state aspettando? Cosa pensate di fare? Abbiamo avvertito più di una volta del pericolo della situazione», aveva detto, in un passaggio diventato virale sui social. In futuro potrebbe tenere altri discorsi presidenziali.
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