Inizia oggi il processo all’ex presidente del Brasile, accusato di aver dichiarato un colpo di stato. Tutto è partito da un discorso pubblico, nel quale annunciava il rischio di elezioni «truccate», denunciava la corruzione endemica nel paese e accusava il tribunale elettorale di essere guidato da «partigiani corrotti»
È iniziato oggi il processo contro l’ex presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, accusato di abuso di potere politico e mediatico. Se fosse condannato non potrebbe candidarsi per i successivi otto anni. La pena avrebbe un immenso impatto non solo per la vita personale di Bolsonaro ma per tutto il paese, dato che l’ex presidente rimane uno dei personaggi più influenti della politica brasiliana – nel 2022 ha perso contro l’attuale presidente Luis Inázio Lula da Silva per soli due milioni di voti – e soprattutto la figura di spicco della destra brasiliana. La corte analizzerà il caso in tre sedute. La prima oggi giovedì 22 giugno, per poi procedere con il processo martedì e giovedì della prossima settimana.
Sabato scorso lo stesso Bolsonaro ha ammesso che «le previsioni non sono buone» e pensa di essere definitivamente condannato. Nel discorso tenuto ieri al Senato, pur ammettendo la possibilità di uscire sconfitto dal processo, l’ex presidente non si è pentito della sua azione e continua a sostenere di «aver sempre agito all’interno del dettato costituzionale».
Durante lo stesso discorso Bolsonaro ha nuovamente confrontato il suo caso giudiziario con il processo Dilma-Temer, in cui la presidente brasiliana, Dilma Roussef, era stata accusata nel 2017 di abuso di potere politico. In quel caso l’imputata era però uscita vincitrice. Chiedendo lo stesso trattamento, Bolsonaro ha detto che «altre accuse sono state aggiunte al suo caso per dotarlo di una qualche credibilità».
Perché viene processato Bolsonaro?
Il processo ha origine dalle dichiarazioni rese dall’ex presidente, riprese dalla tv nazionale, davanti a 70 ambasciatori il 18 luglio 2022. Nella riunione con i diplomatici convocata al Palácio da Alvorada, la residenza ufficiale del presidente del Brasile, Bolsonaro ha sparato menzogne a raffica sul sistema elettorale, definito «completamente vulnerabile», ha attaccato i giudici della corte suprema e del Tribunale superiore elettorale (Tse) definendo il suo presidente, Edson Fachin, avvocato di quel gruppo «terrorista » del “Movimento dei senza terra”. Infine ha chiesto per le elezioni del 2 ottobre un conteggio parallelo dei voti da parte delle forze armate.
La dichiarazione di Bolsonaro, che getta fango sulla democrazia del proprio paese, è stata letta come la dichiarazione di un colpo di stato in diretta nazionale. Questo ha fatto si che le reazioni arrivassero anche dai conservatori come: membri dell’Alto comando dell’esercito, le tre associazioni della polizia federale e anche dalla grande stampa conservatrice, oltre che chiaramente dalle forze politiche, da numerosi giuristi, dalle più diverse organizzazioni della società civile e dai movimenti che hanno dato vita alla Campagna Fora Bolsonaro nel 2021 e che oggi sollecitano «una forte reazione contro il possibile golpe».
Bolsonaro e Trump
Più che con Dilma Roussef la stampa internazionale ha trovato una somiglianza tra la figura di Bolsonaro e quella dell’ex presidente statunitense, Donald Trump, sebbene gli esiti delle due vicende sembrano essere radicalmente diversi.
Entrambi i loro sostenitori più fidati hanno attaccato le istituzioni, il Campidoglio a Washington nel gennaio 2021 e il parlamento brasiliano quasi esattamente due anni dopo. Anche le modalità dei due assalti sono molto simili. Diversi slogan portoghesi riprendevano quelli propagandati dagli assalitori americani e alcuni erano addirittura in inglese. Soprattutto gli assalti sono derivati dalle dichiarazioni dei rispettivi leader sul non riconoscere la veridicità dei risultati delle elezioni democratiche.
Non solo Trump e Bolsonaro hanno anche visioni politiche simili e si sono affidati in momenti diversi agli stessi consiglieri, a partire da Steve Bannon, ex stratega del presidente americano e riferimento dell’estrema destra statunitense e l’ex portavoce di Trump, Jason Miller.
Negli anni di presidenza, mentre la sua amministrazione si rendeva colpevole di una gestione deficitaria della pandemia e di ripetuti episodi di corruzione, Bolsonaro aveva portato avanti una continua delegittimazione del sistema elettorale democratico, senza però addurre mai prove per le sue teorie. Stesso metodo usato dal suo omologo statunitense.
L’unica differenza
Una diversità la si ritrova tra i due personaggi, ma questa non è connaturata tanto a caratteristiche intrinseche dei due, quanto al sistema istituzionale dei paesi in cui vivono. Il Brasile ha un tribunale elettorale nazionale, incaricato dalla Costituzione, di mantenere l’integrità territoriale e formato da giudici della corte suprema e giudici e avvocati federali che ruotano periodicamente. Questo tribunale ha il potere di rimuovere politici dalle cariche e privarli delle loro libertà politiche. Gli Stati Uniti non hanno alcuna autorità equivalente.
Non è un caso che mentre Donald Trump sta affrontando processi in cui è accusato di aver usato materiale classificato e aver falsificato affari… sta correndo per diventare il nuovo presidente alla Casa Bianca. Mentre gli alleati di Bolsonaro la considerano solo una questione di tempo prima che a Bolsonaro venga impedito di candidarsi per il suo secondo mandato.
Il precedente di Lula
Nel 2018 il il tribunale elettorale aveva squalificato Lula, che era stato ingiustamente condannato per riciclaggio e corruzione. Successivamente, le accuse sono state respinte e i suoi diritti politici ripristinati, tanto che Lula ha vinto le elezioni dell’ottobre scorso ed è adesso l’attuale presidente del Brasile.
Ma molti pensano che sia altamente improbabile che a Bolsonaro accada una cosa simile perché seppur un politico influente «il suo sostegno sta svanendo» ha detto Hélio Silveira, un ex senior funzionario presso l’Ordine degli avvocati brasiliano. Non solo durante l’attuale governo di Lula «l’economia sta migliorando» e Silveira «non crede Bolsonaro sarà in grado di guidare una rivolta popolare».
I suoi sostenitori comunque pensano che anche in caso di sconfitta Bolsonaro potrebbe trarre un vantaggio dalla situazione perché gli permetterebbe di interpretare il ruolo della vittima e potrebbe far campagna elettorale per altri conservatori, sebbene l’ex presidente non abbia ancora designato un suo possibile successore in caso di condanna. Un consigliere anziano in forma anonima ha però dichiarato che «La morte politica di Bolsonaro vuol dire automaticamente la morte della politica di Bolsonaro».
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