- La condanna del leader dell’opposizione Sonko ha scatenato un’ondata di proteste tra i giovani, contro l’eventualità di un terzo mandato del presidente Macky Sall
- Le manifestazioni e la repressione della polizia ora devastano il paese, andando anche a colpire luoghi simbolo come l’università Cheikh Anta Diop di Dakar
- La rete e i social sono stati bloccati o funzionano al minimo mentre lo scorso 6 giugno, il ministero degli Esteri del Senegal ha annunciato la chiusura temporanea dei suoi consolati all’estero
Tutto è cominciato quando, alla fine del maggio scorso, il leader dell’opposizione senegalese Ousmane Sonko è stato condannato a due anni di carcere per «corruzione di giovani» e, quindi, all’impossibilità di candidarsi alle prossime elezioni del 2024.
Sonko, a capo del partito Pastef (Patrioti del Senegal per l’etica, il lavoro e la fraternità), forte del grande seguito specie tra i giovani, ha chiamato i suoi seguaci alla rivolta e dall’inizio di giugno, il Senegal, uno dei paesi più stabili del continente, è precipitato nel caos.
Nel giro di pochi giorni le manifestazioni che si sono susseguite a Dakar e in altri luoghi, hanno fatto registrare violente repressioni da parte delle forze dell’ordine, devastazioni da parte dei dimostranti, centinaia di feriti e tra i 20 e i 30 morti.
Le forze di opposizione, a nove mesi dalle presidenziali che si terranno a febbraio del 2024, imputano a Macky Sall, attuale presidente, al termine del suo secondo mandato (è in carica dall’aprile 2012), di usare il martello giudiziario per annientare Sonko che lo incalza nei sondaggi fino forse a superarlo.
Il capo del Pastef agita l’incostituzionalità del terzo mandato che Sall se vincesse andrebbe a ricoprire (la costituzione vieta tassativamente la ricandidatura dopo due incarichi e non è stata emendata) e incarna il sentimento di una fetta sempre maggiore di popolazione che chiede cambiamento.
Le devastazioni
Al di là del merito delle motivazioni alla base della condanna di Sonko per la quale i suoi legali hanno presentato un ovvio ricorso, colpisce l’estrema violenza delle forze di polizia così come quelle di alcuni partecipanti alle rivolte, in un paese fin qui pacifico, stabile, tra i più avviati verso una percorso pienamente democratico iniziato all’indomani dell’indipendenza dalla Francia nel giugno del 1960. Oltre alla triste conta di morti e feriti, vanno inserite nel computo di questi giorni di caos, le continue devastazioni di luoghi importanti per la società.
L’ultima, in ordine di tempo, è quella toccata all’università Cheikh Anta Diop di Dakar, la principale, presa d’assalto nei giorni scorsi. Gli studenti stanno ora cercando di salvare circa 200mila documenti universitari conservati negli archivi dati alle fiamme.
Non mancano voci secondo le quali i facinorosi a capo dell’assalto all’università Diop non farebbero parte dei manifestanti fedeli a Sonko e c’è chi si spinge a ipotizzare che siano gruppi mandati ad arte a creare disordini e innescare una strategia del caos.
Le condanne
L’acredine di Sall verso Somko risale al 2017 quando il leader dell’opposizione pubblicò Pétrole et gaz au Sénégal, un testo nel quale accusava apertamente il presidente di svendere petrolio, gas e terre all’Europa e alla Cina e di curare i propri affari a scapito dei cittadini del paese che governava.
Da quel momento in poi, sostengono i suoi supporter, si è scatenata una macchina del fango che ha condotto Sonko a una prima condanna nel 2021 per un presunto stupro di una massaggiatrice (da cui è stato assolto a fine maggio) e, più recentemente, alla condanna di due anni per un non ben precisato reato di «corruzione di giovani».
La rete e i social sono stati bloccati o funzionano al minimo mentre lo scorso 6 giugno, il ministero degli Esteri del Senegal ha annunciato la chiusura temporanea dei suoi consolati all’estero in seguito alle forti tensioni politiche che hanno alimentato gli attacchi alle sue missioni diplomatiche a Parigi, Bordeaux, Milano e New York.
La diaspora in Italia
In Italia la comunità senegalese conta oggi più di 110 mila presenze. Il legame tra il nostro paese e quello dell’Africa occidentale è molto radicato e di vecchia data e rappresenta una fetta consistente di una diaspora mondiale enorme che è considerata ufficialmente la quindicesima regione del Senegal e ha diritto di voto.
Anche a Roma e Milano si è manifestato e non sono mancate tensioni. «C’è una forte preoccupazione nella diaspora in Italia per quanto sta avvenendo in un paese storicamente stabile», spiega Valentina Geraci, ricercatrice ed esperta del Senegal: «Al tempo stesso c’è una forte condanna di ogni violenza, compresa quella registrata al consolato di Milano il 6 giugno a opera di un gruppo di persone che hanno fatto irruzione, spaccato vetri e materiale. Fortunatamente il caso è stato immediatamente stigmatizzato e isolato da tutta la comunità che continua a manifestare pacificamente e a richiedere l’attenzione dell’Italia e la comunità internazionale nella speranza che tutto torni presto alla normalità».
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