- In vista delle elezioni di Midterm dell’8 di novembre fiorisce l’acquisto degli “scores”, ovvero i “punteggi di identità” affibbiati ad ogni singolo elettore.
- Un effetto della de-partitizzazione delle scelte elettorali e, da noi in particolare, dello svanire di sezioni e sagrestie che acquartieravano democristiani e comunisti in collocazioni fisiche e ideali.
- A monte sta la “rivoluzione silenziosa”, che ha segnato i figli dei boomer nel passaggio epocale dal regno del bisogno oggettivo e condiviso a quello del bisogno su misura, futile e fungibile.
Una quantità senza precedenti di miliardi esce dalle tasche dei più ricchi americani che puntano sul successo repubblicano alle elezioni di midterm dell’8 di novembre.
È probabile che molto venga speso per acquistare gli “scores”, ovvero i “punteggi di identità” affibbiati ad ogni singolo elettore secondo i dati anagrafici, il patrimonio, il livello d’istruzione, il mestiere, il valore della casa, il numero dei figli, le armi, i cani e i gatti che possiede, i contributi a iniziative benefiche o politiche, la frequenza alla palestra, il carrello della spesa, il giocare d’azzardo o fare bricolage, nonché, ovviamente, l’essersi o meno vaccinato.
In sostanza (almeno negli Stati Uniti) le prove d’acquisto dei servizi e delle cose in cui spendi la pensione o lo stipendio, nonché i dati delle carte fedeltà completi di telefono tracciabile, vengono venduti a imprese di ricerca sociale che le trasformano in punteggi personali e ne traggono mappe che rivendono al marketing e ai politici (ovviamente a quelli che hanno i soldi necessari).
Sono dati preziosi nelle contese elettorali, se si pensa, ad esempio, che il tracciamento dei telefoni al tempo del lockdown riconobbe, a seconda che l’apparecchio fosse al domicilio oppure a spasso, gli elettori tendenzialmente democratici (comunitari e dunque rispettosi di quel vincolo) rispetto ai probabili repubblicani diffidenti per principio alle discipline e alle tasse imposte dal governo.
Una volta scovate le rispettive inclinazioni gli uni e gli altri hanno ricevuto messaggi che li inducevano a correre al seggio oppure a stare a casa a seconda dell’interesse del mittente.
Il che, nei sistemi maggioritari, dove basta un voto in più degli altri per prendersi tutto il cucuzzaro (come coi collegi uninominali e le presidenze regionali in Italia) il sistema degli scores è perfetto per condurre l’elettorato come un gregge inconsapevole, spartendolo secondo convenienza fra votanti ed astenuti.
Nel fiorire di questi fenomeni si manifesta, rispetto ai primi settant’anni del Novecento, la de-partitizzazione delle scelte elettorali e, da noi in particolare, lo svanire di sezioni e sagrestie che acquartieravano democristiani e comunisti in collocazioni fisiche e ideali.
La rivoluzione silenziosa
Lo svanire dei partiti discende da fattori sociali strutturali e decorre dai mitici anni Sessanta, quando era ormai acquisita (grosso modo) la soddisfazione dei bisogni essenziali (le tre “c” di casa, cibo, cura) e il consumo s’ampliò a una inesplorata e potenziale gamma di bisogni (culturali, estetici, dietetici, affettivi…) cui cominciarono a corrispondere scelte d’acquisto iper personalizzate tanto al banco del negozio quanto nel firmamento dei “valori”.
Con buona pace dei partiti che da “chiese laiche” non poterono che restringersi a macchine da voti, incistate – a seconda delle alterne sorti elettorali – ora nella “governabilità” come missione ora nel “populismo” di chi bussa al suo turno di potere.
Il passaggio dalla centralità del bisogno oggettivo e condiviso al regno del bisogno individuale, futile e fungibile, ha determinato (argomenta Pippa Norris, politologa di rango, con Ezra Klein sul New York Times) una “rivoluzione silenziosa” dei comportamenti pratici di chiunque, ma ha inciso in modo differenziato sulle idee di politica e democrazia a seconda della generazione d’appartenenza.
Per il carattere permanente, questo dice la ricerca, dell’imprinting ricevuto da bambini e adolescenti, quando prende forma la visione e l’idea di società che ci seguirà per il resto della vita.
Nonni, nipoti e genitori
Così i boomer, nati nel ventennio dai Quaranta ai Cinquanta, considerano il tramonto dei partiti di massa, della religione e della parsimonia una perdita di baricentro e senso della democrazia, indipendentemente dalla circostanza che essi stessi non sfuggano alla frammentazione del consumo.
I loro figli invece, segnati nei Sessanta e Settanta dall’affermarsi del discrezionale rispetto al necessario, galoppano leggeri fra mille gusti e scelte che paiono un dato naturale.
I primi, finché campano, incarnano il tradizionalismo strutturale (sia progressista o reazionario), mentre la generazione successiva tiene in uggia il vincolo ideale. Non per caso, diremmo, il 25 settembre la destra s’è rivelata particolarmente forte fra i figli dei boomer, ovvero gli attuali genitori.
Così vacillano i sistemi democratici che nacquero sulle misure dei nonni per essere poi snobbate dai genitori dei nipoti.
Ai quali la gravezza dei primi e l’inafferrabilità dei secondi paiono entrambe lontane e inessenziali, giacché il loro imprinting lo fanno bombe d’acqua, ghiacciai disciolti e mari spazzatura.
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