Il Cremlino ha annunciato la decisione del presidente Vladimir Putin, resa nota in un discorso del presidente russo in diretta televisiva, di riconoscere, come avevano richiesto i deputati del suo partito alla Duma alcuni giorni or sono, le due Repubbliche secessioniste russofone di Donetsk e Lugansk, in Ucraina, come entità statali indipendenti: una decisione politica di aperta sfida alla comunità internazionale e all’occidente che segna ovviamente la fine del processo di Minsk e che consente l’ingresso di truppe russe in territorio ucraino: da ieri sera per Mosca quel territorio non appartiene più all’Ucraina.

Modello georgiano

Putin ha detto che l’Ucraina fa parte integrante della storia e cultura russa. Al punto che il Cremlino ha deciso di applicare di nuovo il cosiddetto “modello georgiano”, una metodologia di difesa della sfera di influenza russa che prevede un ingresso limitato negli obiettivi come quello avvenuto l’8 agosto 2008, in Ossezia del Sud e in Abkhazia ufficialmente a tutela delle minoranze russofone.

L’azione militare russa in Georgia, ex Repubblica sovietica durò appena nove giorni con successiva sconfitta del governo georgiano dello stato allora governato da Mikhail Saakashvili, un giovane filo americano che voleva portare il suo paese nella Nato e che invece fu cacciato dal paese e ora ha perso anche la cittadinanza georgiana ed ucraina.

In sostanza Putin ha deciso di seguire l’esperienza militare fatta in Georgia, poi replicata in Moldavia nella Transnistria, dove sono stanziate le truppe russe e parzialmente anche in Armenia, quando questo paese caucasico ha manifestato troppo apertamente di voler unirsi all’Unione europea. Mosca non ha gradito ed è scattata la guerra nel Nagorno-Karabakh, messa in pratica dall’Azerbaigian ma concepita all’unisono con la Russia. Alla fine Mosca è intervenuta con truppe sul terreno per dividere i due contendenti e mettere fine alle velleità armene di voler avvicinarsi all’occidente.

In sostanza il modello di intervento alla “georgiana” prevede l’intervento russo a difesa delle minoranze russofone, la successiva sfida russa dell’occidente sicuri della impunità e della scarsa efficacia delle sanzioni. Più in dettaglio l’intervento russo prevede che una zona dell’Ucraina passi sotto controllo diretto russo ufficialmente per “aiutare la minoranza russa” e il paese nel mirino resta così bloccato nelle sue decisioni sovrane per decenni a causa della minaccia di intervento militare di Mosca.

Siamo di fronte a un ritorno ai tempi della Guerra fredda, al filo spinato del muro di Berlino e alla dottrina sovietica della sovranità limitata dei paesi aderenti al patto di Varsavia. Putin, da ex agente del Kgb nella Ddr, cerca di riportare indietro l’orologio della storia quando ha parlato della storia comune con l’Ucraina che è effettivamente il luogo dove storicamente è nata la prima entità statale slava russofona (Rus) sotto la regìa dell’allora impero bizantino che la riconobbe in cambio dell’accettazione della religione ortodossa e dell’uso del cirillico.

Restaurazione zarista

Arroganza e azzardo del Cremlino? Putin sta cercando di ricreare un’area di influenza russa dopo che, proprio alla conferenza per la sicurezza di Monaco di Baviera 15 anni or sono aveva parlato della dissoluzione dell’Unione sovietica come della «più grande tragedia geopolitica del Ventesimo secolo». Nessuno lo ascoltò. Putin invece sta cercando di ricreare l’impero perduto così come dopo il Congresso di Vienna nel 1815 i vincitori di Napoleone restaurarono (e da qui il termine di restaurazione) l’Europa. Putin sta appunto cercando

di restaurare l’eredità imperiale di Mosca vista come terza Roma, erede dei cesari (da cui la parola Czar), con cinismo e accettazione del rischio. Molto dipenderà dall’occidente, dalla pressione militare e sanzionatoria, ma intanto il limes, il confine verso occidente, è stato spostato in avanti. Putin ha varcato un’altra volta il Rubicone.

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