- Uno dei punti deboli del partito repubblicano negli ultimi anni è stata l’eccessiva dipendenza dalla personalità carismatica di Donald Trump.
- Il loro leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, in vista delle elezioni di midterm, ha annunciato che non ci sarà alcuna agenda particolare da proporre agli americani.
- Ma il capo del Comitato elettorale repubblicano del Senato ha presentato un dettagliato piano d’azione diviso in undici punti con il titolo altisonante “Rescue America”, “salvare l’America”.
Uno dei punti deboli del partito repubblicano negli ultimi anni è stata l’eccessiva dipendenza dalla personalità carismatica di Donald Trump. Dipendenza che si è trasformata in un’arma a doppio taglio dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.
Un bel paradosso: non se ne può fare a meno, ma meglio tenerlo alla larga. Così, ad esempio, il governatore della Virginia Glenn Youngkin, eletto lo scorso novembre, ha adottato la strategia, vincente, di attuare alcune politiche trumpiane senza però alzare troppo i toni. Un sottile filo su cui camminare che a livello locale può funzionare, specie in caso di debolezza del candidato avversario.
La linea McConnell
E a livello nazionale? Che fare? Nel 2020 i repubblicani hanno sostituito il loro programma elettorale da approvare alla convention quadriennale con una generica dichiarazione di “fiducia” nei confronti di Donald Trump.
Quest’anno il loro leader al Senato Mitch McConnell, in vista delle elezioni di midterm, ha annunciato che non ci sarà alcuna agenda particolare da proporre agli americani sul modello del “Contratto con l’America” presentato nel 1994 dall’allora leader repubblicano alla Camera, Newt Gingrich.
Un modello timido che però può funzionare, data l’impopolarità del presidente in carica Joe Biden, che McConnell vorrebbe vedere sottoposto a referendum. In parole povere, puntare su un “repubblicano qualsiasi” anziché un sostenitore dei democratici.
La linea Scott
Non aveva evidentemente pensato, McConnell, che un altro senatore, Rick Scott, capo del Comitato elettorale repubblicano del Senato, aveva altre idee: presentare un dettagliato piano d’azione diviso in undici punti con il titolo altisonante “Rescue America”, “salvare l’America”.
Scott non è un politico che fa spesso parlare di sé. Molto equilibrato nei toni e con poca vis polemica. Il suo retroterra è quello di un tipico imprenditore milionario prestato alla politica.
Classe 1950, cresciuto in un contesto familiare povero e con un padre biologico alcolista e abusatore, dopo aver servito nella Marina militare a inizio anni ’70 si è laureato in legge.
La sua, però, è soprattutto una storia imprenditoriale di successo nel campo della sanità privata: dopo un periodo da avvocato d’affari, nel 1988 ha comprato i suoi primi asset insieme a un finanziatore di Fort Worth, Texas, rilevando la Columbia Hospital Corporation e i suoi quattro ospedali a El Paso, in Texas.
L’affare si è rivelato un successo. Qualche anno più tardi si è trasferito a Naples, in Florida, dove è diventato un ricco venture capitalist in campo sanitario: 220 milioni di dollari secondo la rivista Fortune, il più ricco dei senatori americani.
Ma non sono tutte luci. Scott è stato coinvolto nel più grande patteggiamento per frode al Medicare, il programma sanitario federale destinato agli anziani over 65. Attraverso la sua compagnia, Columbia/Hsa, ha dovuto versare una multa da un miliardo e settecento milioni di dollari al dipartimento di Giustizia nel 1997.
La vicenda però non gli ha impedito di essere eletto per due mandati governatore della Florida e dal 2018, senatore. Chi meglio di lui per fare eleggere nuovi senatori? Questo deve aver pensato la leadership repubblicana al Congresso.
Rescue America
Già nell’introduzione Scott avverte che il programma sarà «ridicolizzato dalla sinistra-woke, preso in giro dagli insider di Washington e farà paura a qualche repubblicano».
Il tono del documento è apocalittico: «Le grandi nazioni non durano per sempre in automatico» e «l’ora è tarda per l’America» perché «la sinistra militante controlla il governo federale, i media, le università, Hollywood e la maggior parte dei consigli di amministrazione».
Il monito di Scott è «vogliono di più». Che cosa? Distruggere «la storia americana, il patriottismo, la sicurezza dei confini, la famiglia nucleare (che quindi include anche le coppie omosessuali), il genere, la moralità tradizionale…» e una lunga serie di altri elementi, tra cui spicca un termine tradizionalmente utilizzato dai repubblicani come i «valori giudaico-cristiani» e, naturalmente, il diritto di possedere e utilizzare armi da fuoco.
Insomma, più che un programma una chiamata alle armi. In fondo dall’«altissimo debito pubblico» alla «cancel culture» (che i repubblicani non esitano a utilizzare per cancellare libri “sconvenienti” dagli scaffali delle biblioteche scolastiche), all’inflazione, la violenza nelle città, l’economia «di Washington» che si arricchisce a discapito di quella reale e le droghe che arrivano «dalla Cina» e l’obbligo vaccinale «da Grande fratello» che colpisce «i combattenti americani», c’è poco da stare allegri.
Motivare la base
Le soluzioni sono svariate, ma Scott ammette nel finale che non sono da intendersi come «un programma depositato dal notaio». La novità storica è la proposta di far pagare a tutti una tassa sul reddito. Anche a chi adesso non la paga perché troppo povero. «Un piccolo importo per aver diritto di partecipare».
Un frase che ha il sapore della beffa per chi fino a oggi ha vissuto ai margini della società, ma Scot parla anche di quelli che vengono «pagati per non lavorare». Ciò che non è chiaro è però chi dovrebbe raccogliere questi tributi, dato che l’Irs, l’Agenzia delle entrate statunitense, andrebbe ridotta del 50 per cento.
In mezzo a qualche punto di moderazione, come quello che dice che l’America dovrebbe «essere prima al mondo per le scienze e la matematica entro il 2030» ma anche quella sul «melting pot» dove tutti diventano americani, che richiama l’ultimo discorso di Ronald Reagan da presidente. Il resto sono tutte politiche amate dai polemisti repubblicani. Vanno benissimo per motivare i militanti, un po’ meno per convincere nuovi elettori.
C’è un altro elemento, notato dallo stratega repubblicano Tony Fabrizio su Twitter: «Vuoi sfidare McConnell come nuovo leader al Senato?». Questa palese contravvenzione agli ordini di scuderia sul referendum su Biden forse vuol dire questo. E non è un mistero che Trump voglia sostituire il “vecchio corvo” di Washington.
Forse Scott non si candiderà a presidente, come da lui affermato ripetutamente, ma forse sfiderà McConnell. Del resto, la frase dove dice «dobbiamo far meglio di altri Congressi a maggioranza repubblicana» suona come una dichiarazione di ostilità.
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